Telegiornale Rai uno,
ore 8,25 del 14 settembre 2006.
“Un minuto di storia” a cura di Gianni Bisiac
Non s’intravede alcuna razionale motivazione per cui un
giornalista possa essere pagato per diffondere inesattezze o per
stravolgere gli avvenimenti storici e, pertanto, non rimane che
prendere atto dell’esistenza, in seno alla RAI, dell’incresciosa
tendenza al pressappochismo e alla superficialità informativa.
Un fenomeno che rappresenta una delle principali cause per cui,
attraverso il piccolo schermo, la disinformazione e l’ignoranza
si diffondono a macchia d’olio, e del perché i cosiddetti
“luoghi comuni”, piuttosto che essere concretamente demoliti,
hanno preso ad imperversare, alla stregua di tante zanzare "anofele”, sulla indifesa massa dei teleutenti.
Ma passiamo ai fatti. Giovedì, 14 settembre 2006, alle ore 8,25 circa, è ancora in corso il “telegiornale del mattino” quando il conduttore annuncia la messa in onda della rubrica “un minuto di storia”, a cura di Gianni Bisiac.
Parlando di
Amedeo di Savoia – Duca d’Aosta, Bisiac ne traccia un brevissimo “curriculum” che si proietta sino alla sua nomina a Viceré e Governatore dell’A.O.I. (Africa Orientale Italiana - comprendente Etiopia, Somalia ed Eritrea). Si sofferma sulla sua passione per il volo (divenne provetto pilota sotto la guida dell’asso Arturo Ferrarin e, dopo il passaggio dall’Arma di Artiglieria a quella Aeronautica, raggiunse il grado di Generale di Divisione Aerea), nonché sull’inossidabile dirittura morale frutto della rigida formazione giovanile e dell’innato coraggio che animava ogni sua determinazione. Si arruola volontario, a 16 anni, per partecipare alla Guerra 1915-1918 e il suo genitore Duca Filiberto di Savoia Aosta - comandante della III° Armata -, nel presentarlo ai colleghi del suo Stato Maggiore tiene a sottolineare: “deve essere trattato alla stregua di ogni altro militare, senza onori o privilegi di sorta”. E sin qui tutto va bene!
I dolori vengono, invece, quando il simpatico Bisiac, con stile telegrafico e con voce melliflua asserisce fatti non rispondenti alla comprovata realtà storica. Racconta, ad esempio, che il Duca d’Aosta, prima del 10 giugno 1940 “…fece ripetutamente presente a Mussolini (ecco il solito stantio “luogo comune”) lo stato d’impreparazione delle FF.AA. dell’A.O.I. e l’insufficienza dei mezzi a disposizione”. Seguita poi con l’affermare che “il Duca era molto amico di Balbo e condivideva con lui l’avversione verso i tedeschi, nemici della I° Guerra”. E non si ferma ancora. Assicura che “…assieme agl’altri Generali (?), Badoglio, Graziani e Balbo, fa pressioni su Mussolini (per molti pseudo “storici”, evidentemente, Mussolini è il para fulmini d’ogni circostanza) per evitare che l’Italia scendesse in guerra”. E non manca, alla fine, di porre la ciliegina sulla torta col riferire che “…il Duca, sull’Amba Alagi, dovette arrendersi per … mancanza di munizioni”.
Mediante le pur scarne considerazioni che seguono, non è difficile, per fortuna, confutare le affermazioni dell’illustre giornalista della RAI, sig. Bisiac, e avremmo piacere che lui le leggesse.
In merito alla richiamata “impreparazione” (sarebbe l’ora di radiare dal lessico storico questo brutto termine che, oltre tutto, non serve a rispecchiare, per la sua genericità, la verità dei fatti) dell’A.O.I., il Duca d’Aosta era bene a conoscenza che tale stato di cose non era un problema di competenza di Mussolini, almeno per la parte militare e tecnica, bensì dello Stato Maggiore Generale del super Maresciallo Badoglio che per anni aveva trascurato, risaputamente, il delicato problema, sia sul piano strategico che organizzativo (specie dopo il settembre del 1939, data d’inizio della 2° Guerra) e non aveva posto la giusta attenzione su ciò che sarebbe stato indispensabile fare, a tempo opportuno, con coraggio e con determinazione, per evitare l’evidente pericolo di un irreversibile isolamento dei vasti territori dell’Impero dalla madrepatria.
Badoglio avrebbe dovuto responsabilmente e maggiormente farlo in relazione al fatto che andava gloriandosi (ricavandone onori e cospicue rendite vitalizie) di essere stato lui l’artefice, in campo militare, della conquista dell’Impero. Il Duca d’Aosta, in funzione della sua responsabilità, avrà magari sottoposto la situazione all’attenzione “politica” del Duce, ma non poteva non essere conscio che quest’ultimo, non disponendo della famosa bacchetta magica, tutt’al più sarebbe potuto intervenire presso chi di competenza e nella speranza di essere ancora
in tempo per rimediare al malfatto. E’ incredibile, quindi, che un attento cultore di storia, quale dovrebbe essere Bisiac, possa lasciare intravedere, fra le righe, una qualche plausibile attribuzione di responsabilità diretta a Mussolini in merito alla macroscopica “impreparazione” dell’A.O.I.
Per quanto attiene, poi, ai rapporti del Duca d’Aosta con Balbo e alla presunta “condivisa avversione antitedesca”, si sa con certezza che i due si conoscevano molto alla lontana (i loro sporadici incontri erano più che altro di natura formale e di servizio, essendo Balbo – Maresciallo dell’Aria – suo superiore) e che, in ogni caso, Amedeo di Savoia non era certo il tipo da lasciarsi influenzare dal riflusso di ataviche avversioni o da congenite odiosità. E non risulta che Balbo fosse da meno. Circa la partecipazione, poi, ad una sorta di combutta con “altri Generali” (forse Bisiac ha inteso degradare - per punizione ? - Badoglio, Graziani e lo stesso Balbo avendo dimenticato che essi, a quell’epoca, rivestivano il ben superiore grado di “Maresciallo d’Italia”), nessuno può asserire a cuor leggero, tranne il disattento Bisiac, che esistessero, tra il Duca e costoro, rapporti tali da imbastire, “assieme”, una qual si voglia comunella volta a far desistere Mussolini dall’idea (giusta o sbagliata che fosse) di fare entrare l’Italia in guerra. E’ ampiamente dimostrato, anzi, che il Duca non avesse tanti buoni rapporti con Badoglio e Graziani (con quest’ultimo, poi, erano “d’istintiva diffidenza”) i quali, fra l’altro, avevano creato i presupposti (specie Graziani) perché gli fosse rifilata la patata bollente della difficile situazione dell’ A.O.I., in gran parte proprio da loro determinata. E’ risaputo, altresì, che ambedue (l’uno quale Capo di Stato Maggiore Generale delle FF.AA. e l’altro come Capo di Stato Maggiore dell’Esercito) lo avversarono senza mezzi termini quando ebbe a suggerire (molto tempo prima del 10 giugno e in forza di un attento studio operato dal suo Comando) la predisposizione di un valido piano d’azione per infrangere, attraverso il Sudan e in parallelo con una forte azione militare in partenza dalla Libia, l’accerchiamento dell’A.O.I. In seno all’inetto Alto Comando romano, l’idea prima venne presa in considerazione ed esaminata nei dettagli, mentre poi, come di consueto, venne accantonata. Badoglio, adoperando il suo poco elegante gergo, ebbe a dire che i piani proposti da “generalungoli di second’ordine e di periferia” erano utili solo a “fare ginnasticare le loro menti”. Il Duca, altresì, fu fatto oggetto d’aspre rimostranze per il dissenso che si era permesso di manifestare riguardo l’autolesionistica “direttiva” della cosiddetta “difesa attiva” (perentoriamente confermata da Badoglio il giorno prima della dichiarazione di guerra) che, già in partenza, condannava l’Impero ad una brutta sorte. Per quanto riguarda, infine, l’Amba Alagi, Bisiac è incorso in un’ulteriore distorta versione dei fatti. A prescindere dagli errori di valutazione strategica e tattica commessi nel predisporre la difesa dell’Impero (magari seguendo le direttive imposte dall’alto e dando magari ascolto ai consigli di molto mediocri Generali), è noto a chiunque che Amedeo d’Aosta dovette amaramente accettare la resa (con l’onore delle armi) dei resti della martoriata guarnigione dell’Amba (circa 4000 uomini, con i quali aveva condiviso, in caverna, pericoli, privazioni e sofferenze), nel momento in cui si rese conto che non esisteva più alcuna ragione (ne alcuna prospettiva) per portare avanti l’impari lotta svoltasi ai “limiti dell’impossibile”, come recita la motivazione della medaglia d’oro al valore militare attribuitagli. Ogni ulteriore resistenza sarebbe servita solo a mandare a morte sicura altre vite umane, fra cui i feriti privi di adeguata assistenza medica. Va ricordato che non esisteva neppure la possibilità di dare sepoltura ai morti abbandonati negli anfratti della montagna. Prevalse, quindi, più lo spirito umanitario (una delle doti caratteriali del Duca) che la volontà di rinuncia alla lotta. Vedi caso, quindi, “la mancanza di munizioni”, contrariamente a quanto asserito da Bisiac e ammesso che mai fosse esistita (cosa peraltro mai comprovata), non fu sicuramente la causa determinante della dolorosa decisione di chiedere la resa!
E mentre il Generale Platt, che comandava le forze inglesi, riconobbe ed onorò il coraggio e lo spirito di sacrificio degli italiani e del Duca d’Aosta, a Roma parecchi imboscati burocrati e qualche malfido super gallonato del Comando Supremo, si permisero (e non avrebbero dovuto farlo qualunque fosse stata l’analisi a posteriori degli avvenimenti) d’esprimere giudizi poco lusinghieri sull’operato dell’Eroe
dell’Amba Alagi.
Occorrerebbe, a questo punto, chiedere all’esimio “professore” Bisiac (non sarebbe male, in ogni caso, che i dirigenti della testata giornalistica RAI da cui dipende esercitassero un più consono controllo redazionale) come mai non curi con attenzione gli elementi informativi del suo intervento prima di presentarsi, al mattino, alla platea di milioni di ascoltatori. Eviterebbe, in tal modo, d’ammannire soggettive interpretazioni dei fatti storici, o versioni approssimate o inverosimili degli stessi.
Tutto ciò fa convergere il discorso verso la chiara dimostrazione che, di massima, il mondo giornalistico di “mamma RAI” non è che l’insano portavoce d’una scorretta e poco attendibile informazione. Sembra che nella televisione di Stato esista ben poco di quella professionalità che contraddistingue il vero giornalismo e, pertanto, i telegiornali e i servizi sono lacunosi, raffazzonati e, spesso, palesemente di parte. Come più volte si è avuto occasione di ribadire, i vari redattori, nel riempire i pochi minuti di trasmissione loro assegnati, farebbero cosa più meritevole se dedicassero meno tempo alla cronaca nera, ai quotidiani delitti, ai drammi umani (infliggendo meno “stress” - da psicosi collettiva e da ansia - ai telespettatori, peraltro già bombardati da una gragnola di altre brutte o poco allegre notizie), per curare a fondo la congruità, l’esattezza e la completezza almeno delle informazioni culturali fornite.
15/09/2006 A. Lucchese
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