Sperando di fornire utili informazioni su uno specifico momento storico che riguarda l’Italia nella 2° Guerra Mondiale e non per spirito di polemica verso il periodico che nel settembre 2004 ebbe ingenuamente ad ospitare l’ameno servizio cui ci si riferisce, riguardante gli avvenimenti bellici che coinvolsero Malta, si ritiene opportuno riportare la risposta a suo tempo fatta pervenire agli estensori dello stesso .
Panzane su
MALTA 1942.
Opportune precisazioni e doverose rettifiche.
Leggendo il farraginoso servizio “Arcipelago Maltese, un popolo in difesa”, a firma di Carmelo Bonavia e Ricardo Nisi, apparso sulla rivista AGORA’ n°17/18 del settembre 2004, non si può non rimanere parecchio perplessi. Pur rispettando le soggettive opinioni degli autori, i quali, chiaramente, si sono basati su argomentazioni espositive strettamente di parte, oltre che su notizie chissà dove attinte, non si può non evidenziare taluni aspetti che non concordano con la realtà storica, così come non si può sorvolare su alcune discordanze di date, citazioni e riferimenti. Chiarire o rettificare il quadro generale fornito dagli estensori del servizio, che si presume debbano essere di estrazione maltese, può servire, perciò, a correggere il triste andazzo della “disinformazione a mezzo stampa” che distorce i fatti, diffonde pericolosi “luoghi comuni” e ammannisce notizie errate o quantomeno poco attendibili. Ciò non rappresenta certo la valenza migliore della corretta informazione. Dopo tale premessa è opportuno entrare subito in argomento e rassegnare i punti salienti. Nessuno osa porre in discussione le “sofferenze patite dal popolo maltese” durante i primi tre anni della 2° Guerra Mondiale. Per quanto attiene, invece, lo “straordinario coraggio” dello stesso, è da osservare che sarebbe stato meglio parlare di “straordinario spirito di sopportazione e di sacrificio” più che di vero e proprio “coraggio”, ove quest’ultimo termine venga inteso nel significato letterale. Lasciando da parte le cifre e i raffronti che, ovviamente, variano in relazione alle fonti da cui sono desunti, va subito detto che le guerre, di massima, non sono mai giustificabili, specie quando è la popolazione civile a pagarne duramente lo scotto. Ciò è accaduto in ogni parte del Mondo, e, a tal proposito, basta appena ricordare quanto è avvenuto, durante l’ultimo conflitto, in Polonia, Norvegia, Paesi Bassi, Francia, Gran Bretagna, Grecia, Jugoslavia, Russia, da una parte, e in Italia, Germania, Giappone e in molti dei Paesi aderenti all’Asse o al Patto Tripartito, dall’altra. Malta, sotto stretto “dominio” inglese dal 1814, non poteva sfuggire a tale regola e, ovviamente, subì analoga sorte. Nessuno può negare che, nel 1940, essendo ancora l’indipendenza maltese di la da venire, sull’Arcipelago sventolasse unicamente la bandiera inglese, che non era certamente il simbolo di una nazione alleata o amica bensì quello di uno Stato straniero che esercitava il proprio consolidato “dominio” anche ricorrendo a metodi repressivi e inumani . Le sofferenze della popolazione, costretta ad emigrare, a vivere nei rifugi o a disperdersi per le campagne, le privazioni, i danni materiali arrecati dai bombardamenti (vieppiù per le massicce incursioni tedesche del 1941 e del 1942), i 55 mila profughi, i 1500 morti, i 15/mila edifici distrutti o danneggiati, quindi, sono tutte cose che vanno ascritte più a demerito della politica egemonica inglese che alle iniziative “guerrafondaie” del nazismo e del fascismo. Il Governo fascista, in fondo, non aveva dichiarato guerra a Malta bensì all’Inghilterra, la “perfida Albione”, che, sostanzialmente, considerava l’Isola uno dei tanti “possedimenti” e l’aveva relegata al ruolo di sottomessa “colonia”. Ove l’Isola, data la sua posizione strategica, non fosse stata utilizzata quale sede di una munitissima base militare “inglese”, sicuramente non avrebbe subito, almeno in maniera tanto violenta, l’impatto delle cruente vicende belliche e non sarebbe divenuta, a pieno titolo, un importante “obiettivo militare” da colpire o smantellare, alla stregua delle altre basi britanniche sparse per il Mondo quali Gibilterra, Alessandria d’Egitto, Suez, Haifa, Aden, Singapore, Hong Kong, ecc. che, per il fatto di essere ubicate in territori occupati o governati dagli inglesi, si trovarono ad essere coinvolte, con conseguenze più o meno disastrose, negli avvenimenti che segnarono il corso della guerra. Alla luce di quanto detto, la reazione italo tedesca contro Malta non fu, quindi, un fatto improntato alla volontà di arrecare danni alla popolazione o al desiderio di dilettarsi nel “tiro al bersaglio”. I velivoli italiani e tedeschi, spesso lasciandoci le penne, scaraventarono effettivamente sugli obiettivi dell’Isola “migliaia di tonnellate di bombe”, ma ciò avvenne in relazione alla necessità di neutralizzare, nei limiti del possibile, le basi militari inglesi da cui partivano i mezzi navali inglesi (la famosa “Forza K”, composta da veloci incrociatori leggeri, cacciatorpediniere e sommergibili) e gli aerei inglesi (gli “Swordfisch” e i “Blenhein”) che falcidiavano i convogli italiani diretti in Libia provocando migliaia di morti (italiani e tedeschi), feriti e dispersi, oltre che ingentissimi danni materiali. Non appare, a tal proposito, rispettoso e civile (anzi, sarebbe meglio definirlo riprovevole) il linguaggio, e tanto meno lo stile, degli autori, Sigg. Bonavia e Nisi, nella misura in cui si sono compiaciuti nell’affermare che gli inglesi “fecero strage” degli italiani. E che dire dell’episodio, riportato con palese acredine e ironia, riguardante la bomba caduta, il 9 aprile 1942, sulla Chiesa della Madonna dell’Assunta di Mosta? I citati “cantastorie” maltesi narrano, con malcelata enfasi, che l’ordigno non esplose e che molta gente, logicamente, gridò al miracolo, tanto che ancora oggi, a quanto sembra, l’ordigno viene conservato nella stessa Chiesa come si trattasse di un “ex voto”. Aggiungono, però, gli autori che, a loro giudizio, non poteva trattarsi di un autentico “miracolo” … per il semplice fatto che la bomba era “di fabbricazione italiana”. Umorismo sciocco e di bassa lega che evidenzia, meglio di qualsivoglia altra considerazione, la personalità dei due poco insigni articolisti maltesi !
Vedi caso, un episodio del tutto simile ebbe a verificarsi a Enna, il 13 luglio 1943. Stavolta non trattavasi di una Chiesa ma della abitazione del sottoscritto. Nessuno, tuttavia, pensò mai di attribuire la mancata esplosione della bomba a congeniti difetti costruttivi, visto che molti altri simili amari “confetti”, distribuiti dagli americani “a tappeto” e con parecchia cattiveria, avevano pienamente raggiunto il loro scopo distruttivo, seminando morte e terrore. Nove persone, in quell’occasione, ringraziarono la Provvidenza per averli salvati e tutto finì li, senza isterismi religiosi o strumentali speculazioni !
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Tornando al “caso Malta”, non appare corretto che la verità storica possa venire distorta a piacimento. E’ azzardato, in ogni caso, parlare di “grossolanità degli errori italiani”, specie se tale affermazione proviene da persone palesemente disinformate circa le vicende politiche e militari di quel periodo e che, conseguentemente, basano il loro interloquire solo sul “sentito dire” o su strumentali versioni di parte. E’ da aggiungere che ogni atto di guerra ritenuto ammissibile per una delle parti in conflitto, non può essere considerato condannabile, o addirittura grondante d’inusitata crudeltà, per l’altra parte !
Il fascismo, certo, commise, negli anni che precedettero la guerra, molti errori di valutazione, ma esso, per come poi dimostreranno gli avvenimenti, non rappresentava “in toto” il popolo italiano, quel popolo che, proporzionalmente, subì molte più sofferenze, molte più distruzioni, molti più lutti di quanti ne dovette subire il popolo maltese in ragione del fatto che i “dominatori” inglesi utilizzavano militarmente il territorio dell’Isola, impiegando, ai fini bellici e operativi, anche la popolazione locale. Contrariamente a quanto avvenne a Malta, ove solo qualche sporadico ordigno colpi insediamenti civili (prova ne è il centro urbano di La Valletta che non subì alcun rilevante danno, come del resto altri agglomerati urbani dell’Arcipelago), gli inglesi e gli americani si accanirono volutamente sui centri abitati dell’intiera penisola italiana non risparmiando alcunché, talvolta neppure Chiese, ospedali, importanti monumenti. Ai due improvvisati storiografi è bene ricordare, inoltre, le angherie, i maltrattamenti, le umiliazioni che la popolazione civile italiana ebbe indiscriminatamente a patire ad opera dei “liberatori” inglesi e americani, francesi e marocchini. In molti casi (dei quali è facile trovare la cruda narrazione in inconfutabili documenti) cotanto “liberatori” non avevano adottato alcuna preventiva cautela per evitare che si verificassero (come si verificarono) episodi di “fucilazioni sommarie”, di “maltrattamenti” di “violenza carnale”, di “stupro” o di diffusa vessazione.
Perché gli astiosi articolisti maltesi non provano, con spirito di imparzialità, ad informarsi? O prediligono, in malafede, dare addosso solo a chi fa loro comodo?
Ma è d’uopo, adesso, ricondurre il discorso sull’argomento principale per attenzionare alcune delle “fandonie” contenute nello scritto dei Sigg. Bonavia e Nisi.
In merito alla mancata occupazione dell’Isola, risulta quantomeno avventata l’asserzione (testualmente riportata) secondo cui in Italia si “prepararono diversi piani, non solo da parte delle tre Forze Armate ma anche dei tedeschi e dei giapponesi”. E’ ampiamente provato che di “piani” ne venne redatto solo uno, nei primi del 1942, ad opera del Comando Supremo italiano, allora guidato dal Maresciallo d’Italia Ugo Cavallero. Tale “piano”, concordato col Maresciallo Albert Kesserling (comandante della 2° Luftflotte tedesca e “longa manus” di Hitler in Italia) e col Gen.le Kurt Student (comandante delle Unità paracadutiste tedesche), non fu tuttavia attuato per motivi che sarebbe troppo lungo analizzare in questa sede. E’ chiaro, inoltre, che il citato piano non aveva alcuna necessità di essere “sottoposto alla approvazione del Comando della VI Armata” (con sede ad Enna – ndr) stante che a quest’ultimo, ovviamente, non spettava alcuna facoltà di controllo, e tantomeno d’ “approvazione”, circa le già assunte decisioni dei Comandi Superiori che, fra l’altro, si erano già avvalsi del consenso di Mussolini e di Hitler. Per quanto attiene le località in cui si addestrarono i reparti destinati allo sbarco, non risulta che Taranto fosse stata scartata perché “nel raggio d’azione della Flotta e dell’Aviazione inglese”. La scelta cadde su Livorno e La Spezia per il semplice motivo che, in tale zona, si trovano parecchi luoghi e scogliere con caratteristiche molto simili a quelle maltesi. L’Amm. Vittorio Tur, non era il comandante designato dell’operazione ma era solo il responsabile della fase preparatoria dell’ “esigenza C.3 o operazione Hercules”, come dir si voglia, (sbarco a Malta) e aveva unicamente l’incarico di curare che l’addestramento fosse completato nel più breve tempo possibile. Per la fine di maggio 1942, infatti, tutto era pronto e mancava solo il segnale di “semaforo verde” che, come detto, non giunse. L’ammiraglio Tur, pertanto, non aveva alcuna ragione di “issare le proprie insegne sul pennone dell’incrociatore Bari”, sia perché quest’ultima unità era una vecchia nave declassata (assieme alla “Taranto”) a funzioni d’addestramento, quanto per il fatto che l’attività prima evidenziata non si svolgeva in zona d’operazioni e quindi non presupponeva alcun particolare uso di insegne distintive di comando. Ma ecco un altro passaggio che sta a dimostrare la palese approssimazione (per non dire altro) cui sono incorsi gli estensori dello scritto di che trattasi. Quando Hitler si rimangiò il consenso già dato alla “operazione Hercules”, non fu Kesserling ad influire su tale errata decisione (che, da li a breve, sarà foriera di gravi conseguenze), bensì Rommel che, dopo avere conquistato Tobruk, il 20 giugno, lo illuse asserendo di disporre di forze sufficienti per puntare su Suez, indipendentemente dal fatto che navi e aerei inglesi di stanza a Malta fossero ulteriormente in grado di disarticolare le linee di comunicazioni marittime da cui dipendevano i rifornimenti alla sua Armata. Ed è anche impropriamente citata la relazione di Kesserling ai comandi superiori, la quale faceva presente che “l’apparato militare di Malta è stato neutralizzato e non è più in grado di svolgere funzioni militari”. Tale rapporto informativo, peraltro di pura e semplice “routine”, risaliva addirittura a qualche mese prima (febbraio 1942) e non tendeva certo a dissuadere Hitler (sarebbe stato, da parte di Kesserling, un atto incoerente) ma, piuttosto, ad incoraggiarlo segnalando che il momento era propizio e che, quindi, era opportuno non differire l’ ”operazione Hercules”. Un’altra doverosa precisazione riguarda la data del 27/4/1942, indicata come “momento d’arrivo della potenza americana in Mediterraneo”. Se gli autori avessero provato a scorrere con doverosa attenzione la cronologia di quel periodo, si sarebbero accorti che gli americani giunsero in forze in Mediterraneo solo a fine novembre ‘42, con l’ “Operazione Torch” che portò alla occupazione del Marocco e dell’Algeria. Prima di allora gli americani si erano limitati (metà luglio) al “prestito” della portaerei “Wasp” (destinata ad irrobustire la scorta di un grosso convoglio diretto a Malta, del quale giunse a destinazione solo una nave) o alla fornitura (via Capo di Buona Speranza) di carri armati, automezzi ed aerei per l’VIII Armata inglese di Montgomery che si preparava ad attaccare a El Alamein, in Egitto.
Sorge, infine, la tentazione di confutare, magari un po’ scherzosamente, alcuni “strafalcioni” dei quali, almeno un paio, a parte gli errori di stampa o di
terminologia, potrebbero essere bonariamente attribuiti alla scarsa conoscenza del quadro complessivo degli avvenimenti, oltre che dei luoghi citati. Ci riferiamo, innanzi tutto, alla ilare asserzione secondo cui ad Augusta, nel periodo di che trattasi, “stazionavano” ben “quattro squadre navali italiane – la 2°, la 6°, l’8° e la 29°”. Sarebbe interessante conoscere quali e quante fossero le unità che componevano le squadre navali stazionanti in quella rada, considerato che, all’epoca, il grosso della flotta italiana d’alto mare se ne stava dolcemente a poltrire a Trieste, Taranto, Napoli e La Spezia. Altrettanto comica appare la notizia della presenza ad Augusta dell’ “83° gruppo aeronautico dei sommergibili …”, oltre che della misteriosa nave “Diana” che viene indicata, addirittura, come “avviso scorta del Capo del Governo”. Gli autori, bontà loro, asseriscono che tale avviso scorta, unitamente ad un non meglio identificato “Gruppo Navale d’assalto”, si avvalse della “base di Tetravecchia (Augusta)” per salpare alla volta di Malta. Ad Augusta, in verità, esiste una contrada denominata “Terravecchia” (non
“Tetravecchia”) ma in essa tutto avrebbe potuto trovarsi (scuole, strutture edilizie abitative, ospedale militare annesso al Comando Marina ecc.), tranne che una “base navale”. L’unico insediamento di tal tipo era ubicato, molto distante, nella rada. Solo per corretta informazione va precisato, ancora, che è assolutamente inverosimile asserire che su Malta, in quel periodo, furono abbattuti complessivamente 1252 aerei dell’Asse (1011 + 241), cifra che, ove rispondente al vero, avrebbe rappresentato circa il doppio dei velivoli operativi allora in forza all’Aviazione italiana e tedesca di stanza in Sicilia. Per quanto concerne, infine, l’incongruente affermazione dei menzionati autori, secondo cui “è difficile capire a quale scopo fu organizzato l’ulteriore assurdo tentativo di forzare il porto di La Valletta” (2/4/43), è meglio sorvolare e non rispondere, più che altro per rispetto dell’intelligenza dei lettori !
In conclusione, sembra opportuno ricordare ai simpatici maltesi (o “inglesi”?) Bonavia e Nisi che la loro Isola, “portaerei naturale e inviolabile base navale” (come definita da Churchill), piazzata al centro del “Mare Nostrum”, rimase inglese non per il “sacrificio” del popolo maltese o per la “capacità” di chi vi si trovava in armi (gli inglesi stessi erano del resto convinti di non potere resistere ad un eventuale sbarco italo tedesco), ma solo perché miracolata, una prima volta (10 giugno 1940) dall’inetto Maresciallo d’Italia Pietro Badoglio e una seconda volta (giugno – agosto 1942) dalla teutonica testardaggine di Rommel, la stanca “volpe del deserto”, che non seppe fare bene i conti di casa e non capì, lui che era ritenuto un genio della strategia, quale determinante peso avesse Malta nella complessiva situazione militare del settore mediterraneo.
Che poi Re Giorgio VI, magnanimamente o solo per tardivo scrupolo di coscienza, abbia conferito la “George Cross” all’Isola dei “Cavalieri di San Giovanni” quale riconoscimento per i patimenti dalla stessa sopportati nel corso della 2° guerra (come già detto originati dalla forte presenza militare inglese), non significa che tutti i controversi aspetti connessi con quel lungo periodo possano essere, di colpo, archiviati o ipocritamente strumentalizzati. Per il popolo maltese, così come per la parte avversa del momento, i “disagi della morte”, le sofferenze, le privazioni, i danni materiali, sono indelebilmente segnati nel “diario della Storia” e nessuno può arbitrarsi di distorcerne, per meschine opportunistiche valutazioni, le lontane o vicine cause da cui il reale e veritiero corso degli avvenimenti scaturisce.
2004 Augusto Lucchese
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[1] Il 28 novembre 1942 venne impiccato a Malta Carmelo Borg Pisani, irredentista maltese che, trovandosi in Italia prima dello scoppio della guerra, aveva espresso il desiderio di combattere per la liberazione di Malta dal dominio britannico. Recatosi volontario in missione di guerra nella sua isola natale, fu catturato e condannato a morte dagli inglesi. Scritto sulle mura del carcere, lasciò un vero e proprio testamento spirituale. Alla sua memoria venne concessa la Medaglia d'Oro. In calce al presente scritto è riportata la foto dell’Eroe maltese.
[2] Nel giorno della dichiarazione di guerra dell’Italia a Francia e Inghilterra, ove l’Alto Comando di Badoglio non avesse rinunciato, per colpevole inettitudine e forse per codardia, ad ogni pur minima iniziativa militare, anche una sparuta flottiglia di pescherecci avrebbe potuto occupare l’arcipelago maltese quasi del tutto sguarnito, in quel momento, di adeguati apprestamenti difensivi.
Foto di Borg Pisani, l’Eroe maltese catturato e impiccato dagli inglesi il 28 novembre 1942 (in divisa della MVSN -Milizia Volontaria per la Sicurezza Nazionale).
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