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Giovedì 03 Settembre 2020
Mafia si, mafia no, mafia a tutto tondo
Ero a Palermo l’8 ed il 9 marzo 2002 per una conferenza internazionale presso la facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università di Palermo dal tema: “Letteratura e Storia”. Il caso Camilleri. Il Preside della facoltà Antonino Buttitta (figlio di Ignazio) ospitava Andrea Camilleri, prima che gli fosse consegnata la “Laurea Honoris Causa in Lingue e Letterature Straniere” dalla IULM - Libera Università di Milano. Partecipavano professori e sicilianisti di tutto il mondo, oltre che giornalisti ed esponenti televisivi. Madrina era Elvira Sellerio, titolare della casa editrice che pubblicava e pubblica i romanzi di Andrea Camilleri. Feci amicizia con il Prof. Joseph Fenec dell’Università di Malta, al quale diedi un passaggio per il rientro a Catania, da dove avrebbe proseguito per Malta. Passammo da Enna in quanto lo avevo incuriosito sulle vestigia di antica civiltà del mio luogo natio, con il tempio di Cerere-Demetra, il Castello di Lombardia, la Torre di Federico, la storia di Euno ecc., ecc., ecc. tanto che mi propose di portare avanti un gemellaggio tra Enna e la sua città natale Musta di Malta, entrambe nelle quali la Settimana Santa è una manifestazione coreografica con incappucciati, confraternite e quant’altro. Purtroppo il tempo tiranno non mi consentì di portare a buon fine il progetto. Sta di fatto che dopo qualche mese Joseph mi chiese uno spaccato puntiglioso e dettagliato del fenomeno mafioso in Sicilia. Gli serviva al fine di studi universitari. Dovetti fargli una descrizione minuziosa partendo dalle origini, nella notte dei tempi, relativi al brigantaggio istituitosi in Sicilia ai tempi dell’Impero Romano, conseguenza del duro servaggio riservato alle centinaia di migliaia di schiavi adibiti ai lavori dei campi, degli armenti e delle greggi, da parte dei grandi latifondisti di allora; trasformatisi nei secoli in baronie con potere di vita e di morte sugli schiavi-contadini tenuti alla catena dei bisogni primari di sopravvivenza. Ancora oggi avviene con i poveri emigranti provenienti da guerre e miseria, anche se le “leggi feudali” di oggi non prevedono più la libera facoltà di vita e di morte. Tranne che nel fenomeno mafioso. La mafia trova facilmente bassa manovalanza esecutiva pescando in questo enorme bacino di miseria e ignoranza. Gente disposta a contravvenire anche alle più basilari leggi di umanità e di coscienza, obliterando totalmente ragione e sentimento in osservanza ai “postulati” che legano gli affiliati a leggi e comandi contro ogni senso morale. Esseri umani resi feroci fiere, inizialmente dai bisogni e successivamente dal potere con dettami delinquenziali di ogni ordine e grado: da quello economico, al famoso detto siciliano: “U cumannari è megghiu do futtiri” (comandare è meglio di fare l’amore). L’avvento del flagello della droga ha reso tutti questi orrori, come nei flipper, in azioni e reazioni facili ed immediate. Nell’osservanza di una logica distorta ove è facile trovare giustificazioni ad azioni delittuose e orripilanti omicidi, commessi dai mafiosi con un detto monitorato dalla mafia americana: “Niente di personale, si tratta solo di affari”, ignorantemente sciorinato in Sicilia con il detto: “Si tratta di Bisiniss”. Cioè, per loro, la vita, la morte, le stragi, i delitti più efferati, sono solo “business-affari”. Chissà da quale libro dell’inferno, scritto personalmente da Lucifero, hanno tratto questa folle filosofia. La cosa più strana in questo carosello infinito di fatti e personaggi particolari è che in tale spirale di delitti contro l’umanità, contro la vita, contro i popoli e gli esseri deboli e indifesi, c’è tutta una serie di categorie e di uomini-marionette insediati nelle organizzazioni sociali a tutti i livelli, dal basso sino all’apice della piramide, dagli straccioni affamati, ai tanti colletti bianchi. Dalla base sociale che parte dai lavori più umili, agli altisonanti nomi perennemente presenti nei mass-media. Accuratamente nascosti dietro società, aziende, politica, piccola ed alta finanza: infinite gerarchie burocratiche, imprenditoriali, politiche. Ce n’è per tutti, e per tutti i gusti. Quando vedo personaggi che dal niente assurgono agli onori della cronaca, mi chiedo quale patto con “mammona” hanno stipulato. Quando, dove e perché hanno venduto l’anima al Diavolo? Mi ricordo un aneddoto raccontato da Mussolini alla sua amante ebrea, scrittrice e critica d’arte Margherita Sarfatti. Questa racconta che Mussolini, in un momento di languore ebbe a confessarle un aneddoto della sua vita. All’età di circa undici anni Mussolini avrebbe fatto un sogno che lo suggestionò per il resto della sua esistenza. Il futuro dittatore sognò un signore elegante vestito in nero (allora era il blasone dei becchini) che gli chiedeva che cosa volesse dalla vita: il successo, l’amore delle donne, la ricchezza o cos’altro. Questo becchino sorridente, vestito in nero, gli assicurava che era in grado di dargli qualunque cosa lui desiderasse. Il giovanissimo Mussolini, in sogno, rispose all’uomo in nero, in maniera forte e decisa: “Voglio il potere!”. Credo che il dittatore abbia raccontato all’amante quell’aneddoto di vita, indipendentemente dalla veridicità o meno, per affermare con vanagloria la sua determinazione a perseguire il potere assoluto ad ogni costo. A questo votando la sua anima sin dalla prima infanzia. Ritengo inoltre che l’aneddoto presuntuosamente raccontato all’amante, il dittatore lo abbia monitorato scopiazzandolo dalla ‘tentazione del Diavolo a Gesù Cristo, dopo i quaranta giorni di digiuno nel deserto’, narrata nei Vangeli, trasformandone in negativo il finale, per stupida vanteria. Il motivo per cui l’umanità ama così profondamente il denaro, e non ne è mai sazia, è per il dominio che questo consente su uomini e cose. Quindi il denaro come strumento di potere. La mafia attinge a tale fonte con ingordigia, e per abbeverarsi a tale ‘linfa’ è disposta a qualunque compromesso con la propria coscienza, sino a quando, dopo breve tempo, la coscienza viene completamente obliterata, zittita, annichilita. In un incontro con il giovane Giovanni Falcone ed un altro giudice dall’età giovanile, al quale la mafia aveva da poco ucciso il padre, avvenuto durante un recital al cinema teatro di Villabate, Ignazio Buttitta si scagliò ferocemente nei confronti della mafia, incurante di chi lo stesse a sentire. Subito dopo gli chiesi se non avesse paura ad essere così determinato a dileggiare e schiaffeggiare apertamente la mafia, in un contesto in cui potevano essere presenti soggetti mafiosi. Mi rispose che la mafia si muove solo se le si toccano gli interessi economici, sul resto fa spallucce e passa oltre. Questo sino a quando l’opinione pubblica ed i fatti culturali non inquinano la sua sete di guadagno: “i picciuli”. Mi disse inoltre che la mafia non attacca mai a viso aperto, si muove e vive nell’ombra, come in una tana di topi. L’arma della mafia è “il terrore”, sino a quando la società, formata dall’uomo medio, non si renderà conto che ogni qual volta la mafia colpisce, essa si impossessa della nostra vita, della vita di noi tutti. Così, parlando della mafia, “Ipse dixit”. (Detto tratto dal “De natura deorum” di Marco Tullio Cicerone, citando i pitagorici che erano soliti così affermare solennemente i detti di Pitagora).
flf
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Ass.
Socio-Cult. «ETHOS
- VIAGRANDE»
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