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 LA CINEMATOGRAFIA IN SICILIA:

ORIGINI E SVILUPPI
di Ignazio Burgio.
 


Ancor prima che i Fratelli Lumière dessero la prima proiezione pubblica della loro straordinaria invenzione il 28 dicembre 1895 al Salon Indien del Gran Cafè di Parigi, altri geniali inventori avevano provato a sviluppare apparecchi cinematografici di ripresa e proiezione, certamente meno sofisticati. Fra tutti spicca il nome dell'americano Thomas Alva Edison, che già dopo la prima sperimentale impressione di una pellicola nel 1888 in Inghilterra ad opera di L. A. Le Prince (di appena 2 secondi!), aveva creato il suo "Kinetoscopio", prima con un modello a visione individuale (dove lo spettatore accostava l'occhio su di una lente sporgente da un meccanismo all'interno del quale girava la pellicola) poi in versione a proiezione collettiva. È proprio con quest'ultimo modello che il cinema giunse in Sicilia, forse già – secondo alcune fonti – nel giugno del 1895 a Palermo, ma con sicurezza l'anno successivo, sempre nel capoluogo siciliano dove si svolse la prima proiezione pubblica (il 19 settembre 1896, in Via Maqueda n. 483). Tre mesi dopo, all'inizio di dicembre, a Catania giunsero ben due modelli di Kinetoscopio Edison, che – come riportato in maniera entusiastica da Nino Martoglio sul suo D'artagnan il 6 dicembre del 1896 - si potevano ammirare il primo al Palazzo Comunale ed il secondo in un locale al n. 139 di Via Etnea.
Secondo quanto ricostruito dalle ricerche dello storico del cinema Franco La Magna, fu l'impresario Giuseppe Lentini – menzionato successivamente in maniera esplicita dal medesimo Martoglio – a portare queste macchine Edison in Sicilia, facendole girare soprattutto tra Palermo, Messina e Catania, insieme ad un altro tipo di proiettore, quello inventato dall'inglese William Robert Paul (che molto probabilmente tuttavia non arrivò mai a Catania).
Il medesimo Giuseppe Lentini l'anno successivo portò in Sicilia le vere e proprie macchine dei F.lli Lumière, dove secondo le fonti dell'epoca risultavano presenti a Messina il 15 febbraio del 1897, ed il 17 aprile a Palermo, al Teatro Garibaldi. A Catania tuttavia esse non giunsero prima del febbraio del 1898, suscitando anche in quest'occasione l'entusiasmo di Nino Martoglio che sul suo D'artagnan del 13 febbraio sollecitava tutti i catanesi ad ammirare "l'ultimo grandioso ritrovato della scienza", esaltandone quelle qualità tecniche che finirono poi nel breve volgere di pochi anni per decretare il trionfo della tecnologia francese nei confronti di tutti gli altri modelli cinematografici: "con questo nuovissimo sistema Lumière, il cinematografo non subisce quel tremolio che stancava la vista, ed i quadri - noi li abbiamo già ammirati - si presentano d’una chiarezza addirittura sorprendente..." (da: "Il D'Artagnan", 13 febbraio 1898).

Prime pellicole siciliane. All'epoca tuttavia le macchine Lumière possedevano un'altra qualità vincente, ovvero la possibilità di effettuare col medesimo dispositivo sia riprese che proiezioni, ed infatti il medesimo Giuseppe Lentini – come espressamente riportato dal Martoglio sul suo articolo – realizzò due pellicole di soggetti catanesi, quasi certamente quel Passeggio alla Villa Bellini e quella Ricreazione di bambini alla Villa Bellini di cui si ha notizia proprio per l'anno 1898. Contemporaneamente comunque anche in altre città siciliane venivano realizzate brevi riprese documentaristiche – come Lo sbarco dei passeggeri dal Ferry-Boat, o il Convegno dei ciclisti messinesi allo chalet, sempre nel 1898 a Messina - poiché in quei primi anni "pionieristici" la semplice visione della realtà in celluloide era già uno spettacolo sorprendente, e del resto secondo le intenzioni dei Lumière, la finalità del cinema doveva essere scientifica e documentaristica.
Tuttavia nei primi anni del nuovo secolo vennero girate anche le prime vere e proprie pellicole a soggetto, ad es. da parte di George Meliès, l'inventore dei trucchi cinematografici ed autore anche del primo film di fantascienza, Viaggio verso la Luna del 1902. Ma secondo Aldo Bernardini l'anno precedente sarebbe stata girata anche una parodia comica della Cavalleria rusticana di Verga proiettata nella Sala Edison di Firenze sempre nel maggio del 1901.
A Catania in quello stesso periodo, a motivo del crescente interesse dei catanesi verso il cinema, il Teatro Sangiorgi, appena inaugurato nell'anno 1900, ospitò le prime proiezioni dei F.lli Lumière, immancabilmente pubblicizzate con sincero entusiasmo da Martoglio sul suo giornale ("ingresso per pochi baiocchi!"). Il medesimo teatro divenne nel 1905 la prima sala cinematografica stabile di Catania - in concomitanza con l'uscita del primo lungometraggio italiano, La presa di Roma (1905) di Filoteo Alberini - seguita poi dall'apertura di altre oggi non più esistenti, come il Cinematografo Mondiale, la Sala Italia, il Club Unione, ed il Cinematografo Moderno, distrutto da un incendio nel giugno del 1906 (ma riaperto a tempo di record nel settembre dello stesso anno con il nome di Lumière Moderno).
Queste sale tuttavia nei primi tempi continuavano a proiettare brevi documentari, come quelli ripresi in Sicilia da Luca Comerio, fotografo ufficiale del Re V. Emanuele III e proprietario della Società milanese SAFFI, che nel 1906 riprese la Targa Florio, mentre altri cineoperatori delle prime società sorte in Italia – come la Cines di Roma – producevano altri documentari, come Catania e la Circumetnea, L'inaugurazione dell'Esposizione di Catania, Sua maestà il re all'Esposizione di Catania, Visita dei sovrani d'Italia a Palermo, Una zolfara, tutti del 1907.

Verismo in celluloide. Purtroppo con il terremoto di Messina del 28 dicembre 1908 prese piede anche qui in Sicilia il documentario catastrofico. Nella città dello Stretto arrivò per prima una flotta russa, ed un cineoperatore della Corazzata Makaroff filmò il lavoro dei propri compagni che prestavano soccorso fra le macerie. L'anno dopo molte case cinematografiche anche straniere si recarono a Messina e Reggio per documentare la catastrofe, girando pellicole quali Il disastro di Reggio e Messina, della Ambrosio Film di Torino; Messina distrutta (Cines), Reggio and Messina earthquakes scenes (Vitagraph, USA) e molte altre, tutte del 1909. Le società cinematografiche della penisola girarono tra le macerie persino film a soggetto: Amore e morte, La fidanzata di Messina, L'orfanella di Messina.
Al medesimo anno 1909 risale anche la prima ripresa professionale di una Eruzione dell'Etna della Ambrosio Film di Torino.
Secondo il regista Ugo Saitta nel 1909 il popolare attore teatrale catanese Angelo Musco fece la sua prima apparizione in un film dal titolo Il divo. La scena, ambientata nel centralissimo mercato di Piazza Carlo Alberto (che a quanto pare al momento delle riprese non era stata trasformata in un “set”, ma era normalmente aperta al pubblico), prevedeva come da copione una finta lite con un mercante ambulante del posto, per poi essere immediatamente sedata da altri interpreti. Ma il Musco malmenò talmente il malcapitato interprete che aveva di fronte da provocare anche una vera e propria rissa generale in tutto il mercato, cosa che lo costrinse ad una fuga così rocambolesca da danneggiare per di più una gran quantità di merce esposta sulla strada. La società romana per poco non finì in bancarotta a causa dei danni che fu costretta a pagare per tutte le stoviglie, il vasellame ed i prodotti alimentari distrutti durante la fuga, ma ciò che lasciò maggiormente sconcertati i dirigenti della società fu la giustificazione che diede loro Angelo Musco: voleva cioè rendere più realistica la scena al di là della consueta recitazione teatrale, imponendo a se stesso e all'attore che aveva di fronte di “vivere” la parte anzichè recitarla come sul palcoscenico (anticipando così di parecchi anni i teorici della differenza tra “recitazione cinematografica” e “recitazione teatrale” (cfr. Saitta, U., 1981, p. 53).
Contemporaneamente però nello stesso periodo cominciavano ad essere prodotti – anche molto lontano dall'Italia - i primi film tratti da soggetti di autori catanesi. Nel 1909 Giovanni Grasso in tounee in Argentina interpretò Cavalleria rusticana e Morte civile, diretti da Mario Gallo (mentre, sempre nel medesimo 1909, Verga – come si vedrà più avanti - cedeva i diritti della sua Cavalleria alla francese ACAD che fece poi uscire una Chevalerie rustique nel 1910). Nel 1911 vennero girate anche due versioni della Norma belliniana, una della Vesuvio Film di Napoli e l'altra della Film d'Arte Italiana.
Anche Luigi Capuana venne messo in celluloide nel 1912 con il film Malìa, tratto dal suo lavoro teatrale ed interpretato dagli attori catanesi Attilio Rapisarda e Mariano Bottino. I medesimi due interpretarono sempre nello stesso anno un altro film interamente girato a Catania, Feudalesimo o Terra Baixa, (uno dei testi teatrali più rappresentati all'epoca, dello spagnolo Angel Guimerà, e cavallo di battaglia di Giovanni Grasso) prodotto dalla Roma Film per la regia del toscano Alfredo Robert. Quest'ultimo girò nel medesimo anno anche La Zolfara, dall'omonimo dramma dell'agirese Giuseppe Giusti Sinopoli.
Al 1912 appartiene però anche la pellicola Un amore selvaggio, ritrovata in Olanda in anni recenti e – dopo il dovuto restauro – proiettata nel 2005 alla rassegna del “Cinema Ritrovato” di Bologna. Prodotto dalla Cines di Roma, a tutt'oggi esso è l'unico film muto pervenutoci quasi integro (25 minuti) in cui compare Giovanni Grasso nel ruolo di Alessandro, insieme a Raffaele Viviani (forse il regista) che interpreta il suo antagonista. La pellicola fu anche la prima girata dal grande attore catanese in Italia, probabilmente nei dintorni di Roma, dopo la sua prima esperienza cinematografica in Argentina.

Anno magico. Intorno al 1913, i tempi sembravano ormai maturi perchè anche a Catania – così come già avvenuto qualche anno prima a Palermo con la Sicula Film di Giuseppe Gabrielli (1908), dalla vita breve, e la Sicania Film di Raffaello Lucarelli (1910) – sorgessero le prime società cinematografiche locali, tanto più che una delle maggiori società di Roma, la già citata Cines, ospitava tra i suoi amministratori un rilevante numero di siciliani: il vice-direttore Carlo Amato, Pietro Moncada, conte di Caltanissetta, ed il principe di Paternò, che ovviamente non mancarono di orientare la produzione della casa cinematografica verso soggetti ed ambienti siciliani, nonché catanesi. Nel 1913 infatti la medesima Cines rivolse la sua attenzione a Nino Martoglio, introdotto nella Società “siculo-romana” dall'attore catanese Attilio Rapisarda (perlomeno a quanto dichiarato da quest'ultimo). In quell'anno veramente d'oro per il commediografo di Belpasso vennero prodotti un buon numero di film tratti da alcuni suoi soggetti di genere drammatico. Il primo, dal titolo Il romanzo, la cui regia fu dello stesso Martoglio, venne interpretato nel ruolo di protagonista da Pina Menichelli, una bella attrice nata in provincia di Messina, che per il suo tipo di recitazione troppo “passionale” in questo ed in altri film incappò spesso nelle prime forme di censura da parte dell'allora governo Giolitti. A questa prima pellicola, sempre nel medesimo anno 1913, ne seguirono altre, sempre tratte da soggetti di Martoglio, quali ad esempio Il gomitolo nero, Il tesoro di Fonteasciutta, Il salto del lupo o La castellana di Ninfa.
Ma mentre la Cines di Roma coinvolgeva sempre più autori, attori, ambienti e naturalmente anche i sempre più appassionati spettatori di quella Catania “belle epoque”, un'altra casa cinematografica del Nord-Italia, la Itala Film di Torino, iniziò proprio nel 1913 le riprese di quello che rimane nella storia come il più grande kolossal del cinema muto, ovvero Cabiria. Diretto da Giovanni Pastrone e sceneggiato nientemeno che dal grande vate Gabriele D'Annunzio (che ne curò le didascalie per la considerevole cifra, per quei tempi, di cinquantamila lire), venne terminato l'anno seguente, raggiungendo (originariamente) la lunghezza di più di 4000 metri di pellicola (i film dell'epoca mediamente non superavano i 750 metri), per una durata complessiva di più di 4 ore. Ambientato tra la Catania dell'età greca e l'antica Cartagine, narrava le vicende epiche di una bambina catanese - Cabiria appunto - che nella confusione seguita ad una eruzione notturna dell'Etna (i cui fotogrammi vennero colorati di rosso), subisce, nell'ordine, il rapimento, la vendita come schiava a Cartagine, ed il salvataggio in extremis da parte dell'eroe Maciste (nome inventato dallo stesso D'annunzio) mentre sta per essere sacrificata alle divinità cartaginesi. Alla fine, una volta cresciuta, sullo sfondo storico della lotta tra Annibale e Roma, riesce a riabbracciare il padre sulla spiaggia di Catania, rimediando nel frattempo anche un buon matrimonio con un ricco patrizio.
Costato due milioni di lire dell'epoca, e frutto di innovazioni tecniche che fecero scuola anche ad Hollywood (come la macchina da presa posta sul carrello, le lampade elettriche per la direzione delle luci, e le scenografie in legno, anzichè dipinte), Cabiria - uscito come già detto nel 1914 - si dimostrò a livello internazionale un vero evento per l'epoca, ed ebbe uno straordinario successo di critica e di pubblico, persino in America. A Catania fu uno dei pochissimi film proiettati al Teatro Massimo Bellini con l'ausilio dell'Orchestra Sinfonica che eseguì la “sinfonia del fuoco” composta per il film da Ildebrando Pizzetti.
Sempre nel 1913 (il 13 settembre per la precisione), il geniale ma incompreso inventore messinese Giovanni Rappazzo presentò al cinema Eden di Messina il vero e proprio cinema sonoro da lui inventato, proiettando una pellicola con tanto di colonna sonora. Dopo aver protetto con 4 brevetti la sua invenzione tuttavia non trovò ascolto presso nessuna società cinematografica, né italiana né estera. Nel 1926 una volta scaduti i brevetti, i produttori americani si approprieranno poi della sua idea e introdurranno il sonoro nel cinema.
Sul finire del medesimo anno 1913 il febbrile Nino Martoglio tentò di dar vita ad una prima società cinematografica catanese, la Morgana Film, per poi tuttavia – dopo soverchianti difficoltà – abbandonarla subito e fondarne un'altra a Roma col medesimo nome. Mentre il 31 dicembre di quell'anno così "magico" nacque ufficialmente sotto il vulcano siciliano, la più importante società cinematografica catanese, la Etna Film. Entrambe le due case di produzione entrarono in piena attività già nei primi mesi dell'anno successivo.

Il cinema di Nino Martoglio. Per conto della sua Morgana Films con sede a Roma, Nino Martoglio si diede infatti subito da fare per girare nel 1914 le sue due prime pellicole di tono verista e naturalista. Ambedue videro come protagonista il grande attore teatrale catanese Giovanni Grasso, insieme all'attrice Virginia Balistrieri. Il primo titolo, Il Capitano Blanco, caratterizzato da molte riprese in esterni, nel deserto libico, in mare e nel paesaggio costiero della Riviera dei Ciclopi a nord di Catania (cosa ancora poco usuale all'epoca dove normalmente si ricostruiva tutto nei teatri di posa), non incontrò i favori del pubblico, probabilmente perchè il finale “poco tragico” finiva per snaturare la trama verista. Al contrario il secondo, Sperduti nel buio, non solo riscosse all'epoca un grande successo, ma nei manuali della storia del cinema viene spesso definito una vera “pietra miliare”, in quanto considerato il primo film neorealista della storia del cinema. Il film racconta di Paolina (Virginia Balistrieri), una povera ragazza nata da una fugace relazione di un nobile dongiovanni napoletano, Paolo, Duca di Vallenza, con Maria, una sfortunata operaia senza lavoro. Costretta a vivere una vita misera nei bassifondi di Napoli la giovane trova conforto morale e sostegno in Nunzio (Giovanni Grasso), anch'egli mendicante e suonatore di violino, il quale nonostante sia cieco riesce a proteggerla anche fisicamente dai malviventi e dagli sfruttatori di quell'ambiente povero e malsano, e persino a salvarla da un annegamento. Dopo aver confessato alla sua cinica amante Livia di avere una figlia dispersa da qualche parte, il Duca avanti con gli anni e malato, ricorda i suoi inutili tentativi di ritrovarla molti anni prima. Poi quella sera stessa muore dopo aver lasciato tutto alla sua avida compagna. Nel frattempo Nunzio e Paolina, dopo essere sfuggiti per l'ennesima volta alle grinfie della malavita, vagabondano ancora uniti alla ricerca di “un mondo più giusto”.
Come si esprime lo storico e critico Franco La Magna, “Sperduti nel buio, dal lavoro di Roberto Bracco, (definito “l'Ibsen di Piedigrotta”) impressionò talmente – con la sua tragica contrapposizione di due classi sociali drammaticamente a confronto, la dolente e tormentata figura del cieco Nunzio (simbolo del “buio sociale”) e della povera Paolina figlia abbandonata d'uno spiantato e nobile dongiovanni, la rappresentazione di una Napoli miserabile e cenciosa, sordida e maleodorante – da indurre gli storici e critici del cinema (primi fra tutti il severo acese Umberto Barbaro) a definire l'opera di Martoglio antesignana del realismo cinematografico; di essa si parlerà a lungo nel secondo dopoguerra quando, in piena stagione neorealistica, si esploreranno le deboli tracce della tradizione realistica. Tutto il cast ebbe una ovazione di consensi, sebbene, schiacciato dal vincente dannunzianesimo e dai kolossal storico-mitologici, il film viene presto dimenticato, godendo paradossalmente d'una esaltante gloria postuma...” (da: Cento anni di Cinema a Catania (1895-1995), di Franco La Magna, EDIPROM – P. 29). Ad esaltare comunque il verismo del film, intervenne inoltre anche una geniale “invenzione” del Martoglio sceneggiatore, ossia quello che oggi viene chiamato in termini cinematografici il “montaggio per contrasto”. In diversi momenti della pellicola, il regista di Belpasso alternò scene di feste signorili, alle quali partecipava il ricco padre di Paolina, a scene di squallida e triste miseria, l'ambiente dove tiravano a sopravvivere i due poveri protagonisti. Analogo discorso può essere fatto anche a proposito del sapiente uso di dissolvenze per esaltare i "flashback", lì dove ad esempio il Duca maturo e già ammalato ricorda l'incontro di molti anni prima con la madre di Paolina, la successiva scoperta di essere il padre della piccola ed i suoi inutili tentativi di ritrovarla nei bassifondi di Napoli.
La mitica pellicola purtroppo andò perduta durante la seconda guerra mondiale e di essa restano solo alcuni fotogrammi.
Al 1915 appartiene invece il terzo ed ultimo film di Martoglio, Teresa Raquin, la cui trama, tratta da un romanzo di Emile Zola, verte su di un tema poi divenuto classico nella successiva storia del cinema, quello del drammatico triangolo moglie-amante-marito e la tragica fine di quest'ultimo. Di lì a poco tuttavia il produttore della Morgana Films, Roberto Danesi morì in guerra, sconvolgendo forse oltre che il morale anche i progetti dello stesso Martoglio. I suoi intenti erano infatti quelli di girare altri film a carattere drammatico e verista di autori di un certo rilievo. Andata già in crisi nel 1915, ufficialmente la Morgana Films verrà poi sciolta nel 1918.
Tornato al teatro dopo la breve ma memorabile esperienza con la sua casa cinematografica, Nino Martoglio fece un'ultima fugace attività di cineasta nel 1917, allorchè collaborò come sceneggiatore al film San Giovanni Decollato tratto dalla sua omonima commedia ed interpretato da Angelo Musco nei panni del ciabattino Mastro Agostino Miciacio. La pellicola, diretta dal non eccelso regista Telemaco Ruggieri, tuttavia si rivelò un fiasco, ed il suo produttore, il conte milanese Alessandro Panzetti, annullò unilateralmente ogni altro impegno contrattuale con la coppia Martoglio-Musco (che prevedevano di girare almeno altri tre film).

Le Case cinematografiche di Catania. La “Società Anonima Editrice di Films, Etna Films”, venne fondata come già detto l'ultimo giorno del 1913 (e omologata dal Tribunale di Catania il 21 Gennaio 1914) dal cavalier Alfredo Alonzo, imprenditore nel campo dello zolfo e nell'esportazione della frutta secca, nonchè azionista di una società di navigazione. Suo amico e fidato consigliere era Pippo Marchese, drammaturgo e critico teatrale. Deciso a non badare a spese pur di sfondare nel panorama cinematografico mondiale, per prima cosa fece venire da Milano una personalità già nota ed esperta come Giuseppe De Liguoro, in qualità di direttore artistico, regista – e a volte anche soggettista ed interprete – dei film di imminente produzione. Raccolse inoltre dal Nord-Italia e dall'estero, interpreti già famosi (come la francese Simone Sandrè), tecnici già esperti, e apparecchi e attrezzature un po' da tutto il mondo.
Ma come afferma Giusy Nicolosi in un suo articolo “...Quello che fece più effetto fu l’immenso stabilimento costruito in sei mesi seguendo i più moderni criteri e nel quale lavorarono, secondo le cronache, quasi 500 operai. "Sarà il più grande d’Italia!" scrisse su un periodico un attore scritturato dall’Etna. Tutti i corrispondenti visitarono quella "piccola città" e ne scrissero. Lo stabilimento sorgeva a Cibali [un quartiere di Catania, n.d.r.], su un perimetro di 23.000 mq e vi si accedeva da quattro entrate (sappiamo che una era adiacente alla stazione della Circumetnea tutt'ora esistente e un’altra in via Cibele). All’interno, oltre a quattro villini che ospitavano i vari uffici, vi erano numerose costruzioni. Un orgoglio per la Casa erano i due teatri di posa: il più “piccolo” di m 20 x 18 e il più grande di 26 x 30 (cioè circa 900 mq di ampiezza, capace di ospitare le riprese di quattro diverse scene in contemporanea !). Poi i camerini ed i saloni per gli attori e le comparse; un’officina per i fabbri, una per i falegnami e una per gli scenografi; la sartoria; i depositi del legname, delle scenografie, del “mobilio” e di tutto il necessario per la ricostruzione degli ambienti, "in quantità straordinaria, di tutti gli stili, le epoche, le qualità"; un garage, con cinque automobili ed un autobus, e una scuderia con cavalli e carrozze. Ma non è finita. "La capitale della pellicola siciliana", come la definì il direttore di un periodico milanese, disponeva anche dei laboratori tecnici per lo sviluppo, il lavaggio, la coloritura, la stampa, la revisione e il collaudo delle pellicole, e di una sala di proiezione "vasta ed elegante come quella di un gran cinematografo". Addirittura un corrispondente scrisse di un castello a grandezza naturale. Il tutto immerso nel verde, tra viali, pozzi, fontane, sedili, laghetti e piattaforme all’aperto, naturalmente tutto da utilizzarsi nei vari films...” (Giusy Nicolosi - "Etna Film, una Hollywood siciliana" - vedi bibliografia).
Nel dicembre del medesimo anno 1914 quella vera e propria "città del cinema" fece uscire i primi film: Paternità e L'appuntamento (o Rendez-vous), drammi strappalacrime diretti naturalmente dal De Liguoro, e programmati anche nelle sale della penisola. A Catania essi vennero proiettati nell'elegante e prestigioso Cinema Olympia, in piazza Stesicoro, inaugurato l'anno precedente con un altro “kolossal” dell'industria cinematografica continentale, Quo Vadis? di Enrico Guazzoni.
Ma la possibilità di lavorare a più film contemporaneamente consentì all'Etna Film la produzione e l'uscita nel breve arco di pochi mesi di un numero considerevole di pellicole di tutti i generi, dalle comiche brevi (L'Istitutrice, Notte d'amore, La sportwoman, ecc. tutti del '14), ai film drammatici, come La danza del diavolo (forse già del '14), La coppa avvelenata, Poveri figlioli!, fino alle commedie (come ad es. Idillio al fresco) e a quelli di argomento militare (La guerra, Il nemico) tutti del 1915. Tutti riscuotevano grande successo e le loro proiezioni costituivano un vero evento. Le cronache dell'epoca raccontano che quando il già citato cinema Olympia proiettava pellicole dell'Etna Film, nell'antistante Piazza Stesicoro il numero di macchine e di carrozze era tale da bloccare tutta la circolazione. Alcuni titoli – Il cavaliere senza paura, Poveri figlioli !, Idillio al fresco – ricevettero anche l'onore di venir proiettati al Teatro Massimo Bellini (7 marzo 1915), durante una manifestazione di beneficenza. La società prese accordi anche con Luigi Capuana – che ricevette il compenso di ottocento lire – per la produzione di pellicole tratte dai suoi testi, ma in realtà non sembra siano mai stati girati i programmati film “Il Marchese di Roccaverdina” ed il “Benefattore” citati invece da altre fonti (cfr. La Magna, 1995, p. 27).
Ma la gigantesca società nel medesimo anno 1914 fece a quanto pare il passo più lungo della gamba, impegnandosi nelle riprese di un “kolossal” - Christus o la Sfinge d'Ionio – ambientato nella Costantinopoli medievale, che nonostante il coinvolgimento di un elevato numero di attori e comparse in costume, l'ambientazione in esterni (nel mare di Ognina, alla periferia di Catania), e le ricche scenografie (venne costruita anche una nave antica) non riscosse un adeguato successo di pubblico. Questo, insieme contemporaneamente ad altri gravosi investimenti – come per la produzione del film in costume Il cavaliere senza paura, ambientato nel Medioevo – furono certamente all'origine della crisi contabile che insieme a tutti i problemi nazionali e internazionali provocati dalla Prima Guerra Mondiale, avrebbe purtroppo condotto all'improvvisa chiusura degli stabilimenti all'inizio del 1916.
Sull'onda del successo dell'Etna Film vennero fondate in quel periodo altre tre società cinematografiche catanesi: la Katana Film, la Jonio Film, e la Sicula Film, dell'avvocato Gaetano Tedeschi dell'Annunziata. Tra il 1915 ed i primi mesi del '16 sfornarono un certo numero di pellicole di vario genere – comico, satirico, militare, ecc. - coinvolgendo interpreti già famosi nell'ambiente teatrale o che lo sarebbero diventati negli anni successivi dopo la breve e gloriosa stagione del cinema etneo: ad esempio i due “divi” di allora Attilio Rapisarda e Mariano Bottino che interpretarono alcune pellicole della Sicula Film (Alba di Libertà, Presentat-arm!, ambedue del 1915, ed Il vincolo segreto, del 1916); la moglie dell'attore Angelo Musco, Desdemona Balistrieri, che fu tra gli interpreti del film Il latitante della Katana Film (1915), e Rosina Anselmi in Per te amore sempre della Katana Film (1915).
Ma improvvisamente all'inizio del 1916 - come già accennato - quella breve stagione d'oro per la cinematografia catanese svanì insieme a tutti i sogni di gloria internazionale. Travolta dalla crisi finanziaria, e forse (come suggerito da Giusy Nicolosi) anche da forti contrasti in seno al suo consiglio d'amministrazione, la Etna Film prese la decisione di chiudere la sua attività insieme a tutte le sue imponenti strutture (forse già entro la fine del gennaio 1916). Questo certamente significò anche per tutte le altre società più piccole l'impossibilità di continuare a girare altre pellicole, poichè – a quanto sembra – ad essa si appoggiavano per tutti i servizi di sviluppo dei negativi e talvolta anche per le riprese nei suoi teatri di posa. In una lettera datata 4 febbraio 1916 infatti l'amministratore della Sicula Film, Gaetano Tedeschi dell'Annunziata si lamentò col cavalier Alonzo medesimo della sua improvvisa decisione di chiudere gli stabilimenti.
In realtà la crisi delle società cinematografiche catanesi – e la fine definitiva di ogni ulteriore tentativo, anche dopo il 1918, di riavviare una produzione cinematografica locale – era anche una crisi a livello nazionale, determinata sì certamente dalle difficoltà prodotte dallo scoppio della guerra, ma anche da una pessima gestione amministrativa delle risorse e degli investimenti. Sull'onda dell'entusiasmo delle platee che affollavano i nuovi cinematografi i produttori si buttavano spesso a girare film costosissimi – soprattutto dal punto di vista tecnico, dal momento che a quei tempi - a parte i "divi" - attori e comparse non ricevevano alti compensi – che però non davano il sufficiente ritorno economico. Gli storici del cinema sottolineano come già nel 1914 tutte le maggiori società cinematografiche italiane fossero in perdita. Così come viene evidenziata anche la miopia dei politici di allora che vedevano nel nuovo mezzo mediatico più un pericolo per la morale dell'epoca che una risorsa culturale da sostenere, anche finanziariamente, nei periodi di crisi.
Paradossalmente, comunque, proprio mentre a Catania tramonta nel 1916 il sogno hollywoodiano di sviluppare una “Cinecittà” ante litteram ai piedi dell'Etna (Film), Giovanni Verga fa finalmente il suo ingresso alla grande nel mondo della “settima arte” (o “decima musa” che dir si voglia).

Il cinema di Giovanni Verga. Il grande verista catanese non amava il cinema: in primo luogo perchè come tanti altri scrittori e intellettuali del suo tempo lo considerava plateale, adatto alle masse ignoranti; e poi perchè era muto, era dunque un'arte inferiore al teatro, che i veristi consideravano a sua volta inferiore alla stampa. Nel 1909 tuttavia accettò l'offerta della francese ACAD (Association Cinèmatographique des Auteurs Dramatiques di Parigi) che gli chiedeva di cedergli i diritti di sfruttamento della sua Cavalleria rusticana per il cinema. Proprio in quel periodo infatti l'atto unico stava riscuotendo un notevole successo a Parigi anche grazie alla traduzione che ne aveva fatto Giulia Dembowska (più nota con lo pseudonimo di Darsenne) insieme a Paul Solanges. Verga concesse alla società parigina diritti illimitati nel tempo e per tutti i paesi in cambio di 500 franchi da dividersi però a metà proprio con la Dembowska che si incaricò di curarne la sceneggiatura. Questa, molto correttamente, una volta terminatala gliela spedì chiedendogli di approvarla ed eventualmente di modificarla, ma il Verga, che pur comprendeva i limiti di una sceneggiatura per un film muto, non riusciva a capire come si potessero eliminare i dialoghi dalla sua opera teatrale più famosa, e senza quasi neppure leggerla gliela rispedì col suo benestare (...”capisco bene le diverse esigenze dello svolgimento scenico per la cinematografia, ma appunto per questa diversità era meglio che io autore delle scene parlate non vedessi...”, dalla lettera a Marco Praga, 27 dicembre 1909). Il film uscì l'anno successivo, il 1910, ma allo scrittore catanese che l'andò a vedere per curiosità, non piacque affatto.
Un paio di anni più tardi, nel 1912, tuttavia, di fronte ai problemi finanziari della sua compagna, Dina Castellazzi di Sordevolo, che - su suggerimento di un comune amico, Giannino Antona-Traversi - gli prospettava grossi guadagni dallo sfruttamento cinematografico delle sue opere, Verga mise dapprima a disposizione della sua amica alcune sue opere teatrali e romanzi (Tigre Reale, Storia di una Capinera, Caccia al lupo, Storie del Castello di Trezza), poi di fronte alle difficoltà della donna scrisse lui stesso le sceneggiature, scongiurandola tuttavia di non rivelare che ne fosse stato lui l'autore.
Il primo film con sceneggiatura di Verga, ovvero Tigre Reale (regia di Piero Fosco, alias Giovanni Pastrone, il regista di Cabiria) interpretato da Pina Menichelli nei panni della contessa russa Natka, uscì tuttavia soltanto nel 1916, a causa soprattutto dagli ostacoli posti dalla censura. Nel medesimo 1916, una volta riscattati i diritti che sette anni prima aveva ceduto alla ACAD, uscì anche Cavalleria rusticana della Tespi Film Roma) regia di Ugo Falena, il quale era venuto a Catania a girare gli esterni del nuovo film. Verga, sempre diffidente, questa volta volle essere presente sul set, per accertarsi che la “sua” Cavalleria riuscisse secondo le sue intenzioni. Ma contemporaneamente anche la Flegrea Film di Roma girò un'altra Cavalleria per la regia di Ubaldo Maria del Colle e autorizzata da Mascagni e Sonzogno, i quali nello stesso tempo vietarono pubblicamente l'esecuzione della musica dell'omonima opera lirica durante la proiezione di altre versioni cinematografiche (compresa quindi quella di Verga-Falena). In breve, tra diffide e controdiffide si riaprì anche in campo cinematografico la controversia giudiziaria tra Verga e Mascagni che a livello teatrale si era risolta nel 1893 con la vittoria di Verga (questa volta la vertenza si trascinerà fino addirittura al 1977, con i rispettivi eredi).
Sempre ancora nel medesimo anno 1916, in aprile, però avvenne anche un'altra importante svolta nell'attività cinematografica di Verga, che accettò di diventare socio di una società cinematografica di Milano, la Silentium Film diretta dal Conte Luigi Grabinski Broglio. Con questa casa di produzione uscirono tre film tratti da opere dello scrittore catanese: Storia di una Capinera (1917), Caccia al Lupo (1917), ed Eva (1919, storia del volubile amore di Eva, ballerina “ammaliatrice” per il pittore Enrico Lanti, che alla fine va a morire povero e malato nel suo paesello natale).
Nel 1918 uscì anche un altro film verghiano, Una peccatrice (storia dell'alterno e volubile amore di Pietro Brusio per la contessa Narcisa, che alla fine sentendosi abbandonata si avvelena) ma prodotto da un'altra società, la Polifilm di Napoli. L'ultimo film che Verga vide uscire mentre era ancora in vita fu Il marito di Elena (1921), prodotto dalla Chimera Film di Roma per la regia di Riccardo Cassano (una classica crisi coniugale - che però finisce in tragedia - tra Cesare Dorello, marito spiantato, e la sua bella moglie Elena, che si lascia corteggiare da altri uomini, ricchi e di successo. Allorchè la donna grida in faccia al marito tutto il suo disprezzo, quest'ultimo, impazzito, la uccide pugnalandola).

Anche se proprio nel biennio 1920-21 escono le prime pellicole di tono drammatico e verista tratte da novelle di Pirandello (Il crollo, Lo scaldino, Il lume dell'altra casa, La rosa, il viaggio, ecc.), con la morte negli stessi anni prima di Martoglio (1921), poi di Verga (1922), si assiste nel mondo del cinema ad un deciso mutamento di argomenti e di linguaggio, paragonabile ad una vera e propria svolta culturale – complice naturalmente anche il mutato scenario politico in Italia, che condiziona le scelte culturali in senso più retorico ed ottimistico – che culminerà a livello tecnologico con l'avvento del cinema sonoro (in Italia nel 1930, con film La canzone dell'amore, tratto da un soggetto pirandelliano).


FONTI DI RIFERIMENTO.

La Magna, F., L'arrivo del cinema a Catania, in: www.cataniaperte.com

La Magna, F., Lo schermo trema. Letteratura siciliana e cinema, Città del sole.

La Magna, F., Cento anni di Cinema a Catania (1895-1995), Edizioni Ediprom.

AA. VV. Il teatro e i teatranti siciliani nel cinema, Ass. Reg. ai Beni Culturali e P. I., Catania, 1981.

Zappulla Muscarà, S., Zappulla, E., Martoglio cineasta, Editalia.

Zappulla Muscarà, S. , Zappulla, E., Giovanni Grasso, La Cantinella.

Nicolosi, G., Etna Film, una Hollywood siciliana, in: www.provincia.ct.it/moduli/rivista/sommario/2002/Maggio/filepdf/28-29.pdf .

AA.VV., Verga e il cinema (a cura di Genovese, N. - Gesù, S.), Maimone editore.






 

 

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