CEFALU’

 

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Al mattino, quando riprendemmo il cammino per raggiungere Cefalù,  prestigiosa meta finale di quel fantastico “week-end  compleanno”, il sole s’era appena levato sull’orizzonte. Malgrado le poche ore di sonno, mi sentivo in forma e pieno d’energia. La costiera che stavamo percorrendo si snodava lungo un incomparabile scenario di pittoreschi paesaggi, di alte pareti rocciose quasi a strapiombo,  di profonde scarpate, di piccole cale e grandi insenature, di linde spiagge sabbiose.  Animate borgate marinare, talvolta lambite o attraversate dai binari dalla linea ferrata, cadenzavano il suggestivo percorso. Sulla destra, al di là di un breve braccio di mare, si stagliavano, bellissime e imponenti, le tre più vicine isole del mitologico arcipelago eoliano, Vulcano, Lipari e Salina.

     La fedele "topolino" filava che era una meraviglia e permetteva di districarsi magnificamente nel traffico festivo, piuttosto intenso.  Cefalù, radiosa di sole, c'accolse nella sua veste migliore, l’impalpabile gioiosa atmosfera domenicale. L’orologio segnava le nove circa quando,  posteggiata la macchina, ci avviammo lungo le strade del centro.

 

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     Cefalù, l’antica Cephaloedium  del periodo greco romano,  del quale, purtroppo, solo pochi ruderi - fra cui i resti del “Tempio di Diana” - sono  rimasti a testimoniarne il ricordo, ha ottenuto in epoche successive e anche di recente lusinghieri riconoscimenti.  La straordinaria bellezza del litorale e delle prospicienti Isole (la rinomata “cinta pelagica”), oltre che l’aspetto storico, monumentale e culturale,  rappresenta  una importante componente della meritata fama di Cefalù.  Notorietà che da sempre, anche a livello internazionale, convoglia verso di essa un notevole flusso di turismo.  Non per nulla alcuni imprenditori francesi hanno scelto un tratto del suo litorale per realizzarvi l’esclusivo Village Magique, oggi una fra le più esclusive attrattive d' “elite” del bacino  Mediterraneo.   Assurta, fra l'altro, al ruolo di Città capo Mandamento e Circondario Marittimo,  è anche sede Vescovile,  sotto la cui giurisdizione ricade il conosciutissimo “Santuario di Gibilmanna  fondato dalle comunità “cenobitiche benedettine” sorte per volere di Papa Gregorio Magno.  Il bellissimo Santuario, sotto l'egida di un manifesto spirito francescano, è mirabilmente curato da una comunità di Frati Cappuccini.  

      La  ridente cittadina tirrenica,  in funzione delle ricche attività produttive e commerciali che vivono e prosperano nel suo territorio, seguita oltretutto ad occupare un posto rilevante e strategico nell’economia della Sicilia occidentale.  La sua ricchezza di base è  legata in gran parte ai pregiati agrumeti della “conca d’oro” e alla feconda pescosità del mare ricco delle diverse varietà del pesce azzurro oltre che zona privilegiata per la stagionale pesca del tonno.  Sono ovunque note, a tal proposito, le prelibate “sardine di Cefalù  Per altro verso risultano parecchio quotati  i “marmi” estratti dalle cave ubicate nel territorio di Cefalù, fra cui particolarmente ricercata è la cosiddetta varietà lumachella.   Infine, per quanto non rappresenti un’attività primaria, ancora oggi viene prodotta nell’agro di Cefalù e Castelbuono  la “manna”.  Si, proprio quella “manna” - linimento di fame e privazioni - che, durante l’avventuroso esodo dall’Egitto, gli Ebrei videro scendere dal cielo quale segno della benevolenza divina nei loro riguardi .  

 

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  La Manna.

E' una sostanza liquida e zuccherina  (solubile e di delicato sapore)  che si ottiene mediante l’abile e accorta incisione del frassino (fraxinus angustifolia). E' pazientemente raccolta attraverso degli appositi “cannoli” delicatamente incuneati nella corteccia degli alberi.  Operazione che viene eseguita, da esperti mannaluòru, con metodi empirici rimasti pressoché integri nel corso dei secoli e che sono frutto di una insostituibile esperienza tramandata da generazione in generazione.

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     Dopo una fugace sosta in un vicino bar,  c'attardammo a curiosare fra i tanti negozietti colmi di ninnoli, di “souvenir”, di prodotti dell’artigianato locale.   Poi,  nell'ambito di un rapido ma attento “giro turistico”,  ci recammo a visitare dapprima  il celebre “museo Mandralisca(**), la cui origine storica è legata ad uno straordinario atto di mecenatismo d’arte e di cultura posto in essere dal suo omonimo fondatore.  Fu poi la volta del caratteristico “lavatoio arabo”, un  capolavoro  di  ingegneria  idraulica  risalente  al  periodo della dominazione araba di Sicilia (‘900 – 1000 D.C.).  Altra importante tappa della escursione fu la visita alla cosiddetta  “finestra sul mare”, un balcone naturale da cui lo sguardo abbraccia lo scenario dell'ampia e pittoresca insenatura che accoglie il porticciolo peschereccio. Infine, prima di avviarci verso l’ultima e per molti versi più importante tappa della mattinata, ci soffermammo nell’ombroso e curato “giardino comunale”.  Non poteva mancare, infatti, la visita alla stupenda Cattedrale normanna (***) del XII secolo (iniziata  nel 1131 da Re Ruggero II e portata a compimento nel 1204), meritatamente conosciuta, oltre che  per l’inconfondibile linea  architettonica  della vetusta facciata, per lo splendore dei mosaici accuratamente conservati e gelosamente conservati, al centro dei quali domina l’ immagine del Cristo Pantocratore.

 

 (**) Museo Mandralisca

 

 

(***) La Cattedrale

                                                    

     

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       Il trovarmi assieme all’instancabile e brillante compagna di quei giorni con la quale condividevo, gioiosamente, ogni pur minima sensazione, m'infondeva un senso di intimo compiacimento. Il fatto, in quel momento, rappresentava oltretutto il migliore antidoto alla fatica accumulata nel corso di quell’intensa mattinata.  Provati dal caldo e dai lunghi tratti di strada percorsi a piedi, divenne però indifferibile darci da fare per cercare un qualche fresco angolino ove rifocillarci e fare riposare le stanche membra.  Non desiderando incappare, tuttavia, in sgradite sorprese, pensammo fosse necessario assumere adeguate informazioni.  Un  passante, cui c’eravamo rivolti, c'indicò con molta cordialità la strada per raggiungere una buona trattoria, nella zona di “Torre Caldura”, appena fuori paese.  Quando giungemmo sul posto, sentii in me quasi l’obbligo d’indirizzare un riconoscente pensiero al nostro informatore. Che il Signore l’abbia in gloria, ripetei mentalmente, fra me e me.  Il luogo indicatoci, infatti, era parecchio confortevole, arieggiato e , oltretutto, offriva un’incantevole vista: da un lato la caratteristica  sovrastante  “montagna” e, dall’altro, lo splendido panorama della costa.  Posteggiando la macchina non potemmo fare a meno, altresì, d’avvertire il  buon odore di frittura di pesce che, a folate, giungeva dalla cucina del vicino locale.  Ciò, manco a dirlo, prese a stuzzicare, ancor più, l’appetito.  Stanchi e  affamati com’eravamo, non sembrava vero poter sperare in un buon pranzetto a base di pesce. Era del resto più che ammissibile che in quella zona prettamente marinara non difettasse la qualità e la varietà. Sbirciato già da lontano un posticino alquanto defilato, ci sistemammo alla meglio e, in gran fretta, passammo alla scelta del “menu”. 

Una tesa e fresca brezza marina contrastava magnificamente la perdurante sensazione di caldo che, chiaramente,  era anche frutto della stanchezza per il lungo scorrazzare della mattinata. La serena conversazione, centrata sul vivo ricordo degli intensi giorni trascorsi assieme, in uno  alla rilassante atmosfera che ci attorniava, fecero sì che l’intervallo del pranzo giovasse egregiamente a ritemprare le malconce energie.  Pur se intento a gustare le succulente portate che presto ebbero ad avvicendarsi sul nostro tavolo, il mio sguardo era  calamitato dai tratti del suo viso sempre proclive al sorriso.  I corti capelli biondi, ondulati e pettinati alla maschietta, sembravano risplendere ancor più per l’intensa luminosità che, incontrastata, dominava la zona. La graziosa camicetta bianca, finemente ricamata,  sembrava tendersi per la pressione esercitata dal suo procace seno.  Le braccia tornite, leggermente ambrate, completavano e arricchivano l’attraente immagine. L’osservavo quasi con devozione, come ad ammirare un qualcosa di prezioso, di intimamente appagante.  Senza dire, poi, del senso di fierezza che avvertivo nel trovarmi lì solo con lei, lontano dalle rispettive problematiche familiari e parentali.  Come se il fatto rappresentasse un invidiabile privilegio. infatti, niente e nessuno avrebbe potuto sminuire in quel momento, incrinare o condizionare, la genuina e intensa gioia del nostro stare assieme e tale constatazione mi portava ad esternare gioiosi pensieri.  Avrei voluto abbracciarla, lì alla presenza di tutti, anche infrangendo qualsivoglia forma di  riservatezza.

        Era  frattanto trascorso un certo lasso di tempo e, ben consci delle distanze che ancora avremmo dovuto percorrere, decidemmo di rimetterci in marcia.  Trovammo la macchina  alquanto surriscaldata ma, una volta in marcia, la leggera tendina presto istallata sul tettuccio della stessa dopo avere ripiegata a regola d'arte la pesante cappotte, servì a proteggerci dai cocenti riverberi del sole ancora alto e a far giungere, all’interno dell’abitacolo, una confortevole aerazione.  L’eccezionale caldo, non pago d’averci fatto compagnia per tutta la mattinata,  seguitava a fare sentire la sua debilitante incisività.  Lungo la via del ritorno cercai di mantenere, volutamente,  un’andatura alquanto ridotta, tale da potere ammirare, pur se in rapida sequenza, gli ampi e suggestivi panorami che generosamente s’offrivano alla vista. Sulla sinistra  scorreva il sottostante litorale lambito dall’argenteo spumeggiare della risacca, mentre, sulla destra, si susseguivano, talvolta quasi a strapiombo rispetto al ciglio della carreggiata, frastagliati e scoscesi costoni rocciosi.  Era un incantevole quadro d'insieme che non poteva non attrarre l’attenzione.   E fu così che, dopo appena qualche chilometro, superata una curva, lo sguardo ebbe a posarsi sulla sottostante scogliera.   Sembrava che il mare si perdesse sotto il livello stradale ed era come avere la sensazione di trovarsi nel bel mezzo di un ponte sospeso fra due costoni.  L’insolito scenario m’indusse a rallentare ulteriormente la marcia sino a decidere, quasi istintivamente, a sostare del tutto.  Accostata la vettura, non senza avere accertato che non ostacolasse il transito degl'altri automezzi,  attraversammo speditamente la carreggiata  e ci portammo sul prospiciente muretto di protezione.  S'offrì alla nostra vista, come per incanto, un  suggestivo e straordinario scenario.  In basso, nel contesto di una vasta rientranza della costa, l'instancabile e feconda opera della natura aveva dato vita ad un profondo canalone che, partendo dal mare, s'incassava nella parete rocciosa, a mo’ di caverna.  Dalla visuale in cui ci trovavamo era tuttavia impossibile valutare quanto quell’anfratto s’internasse alla base del costone a strapiombo che pur aveva consentito, all'epoca, di ricavare nel suo fianco lo spazio sufficiente per la costruzione della sede stradale.  Nella parte centrale, in una sorta di scosceso pianoro leggermente degradante verso il mare, era facile notare come le diverse vaste conche d’acqua ivi presenti fossero reiteratamente raggiunte e colmate dalla spumeggiante risacca.    

        L'inclinazione del terreno, di rimando, faceva sì che attraverso una miriade di multiformi rivoli e rivoletti l’acqua tornasse a riversarsi in mare, dando vita, ai margini estremi del pianoro, ad curioso spettacolo. Quasi telepaticamente, a conferma del fatto che una spontanea intesa animava ogni nostro intento, ci trovammo d’accordo sul fatto che sarebbe valsa la pena di esplorare più da vicino quel particolare sito.  Lo spirito d’avventura non difettava e, detto fatto, cercammo di vagliare il modo migliore per scendere giù.  In assenza di un qualsivoglia tracciato che potesse assomigliare ad un viottolo, pur scomodo o accidentato che fosse, fummo costretti a comportarci, parecchio incoscientemente in verità, alla stregua di due spericolati rocciatori.  Seguendo trasversalmente l'inclinazione del costone, avvalendoci delle sporgenze della parete, aggrappandoci ad ogni possibile sostegno e sostenendoci a vicenda, riuscimmo  a superare ogni difficoltà e il risultato, alla fine, ricompensò largamente il rischio corso.  La zona a monte del vasto pianoro, specie nella parte a ridosso della sovrastante parete, era cosparsa da un tipo di ghiaia umida e biancastra,  qua e là costellata da macigni di diversa forma e di notevole dimensione. Quella caratteristica spianata, incassata fra un susseguirsi di alti spuntoni rocciosi, si spingeva sin sotto la strada e ciò spiegava il perché, dall’alto, non fosse stato possibile valutarne la  profondità.  Più verso il mare, anche la zona in cui le frastagliate conche d'acqua avevano attratto la nostra attenzione, era fiancheggiata da scoscese pareti di roccia, pressoché a ferro di cavallo, che per una qualche decina di metri s’internavano dentro il mare, formando una sorta di canale, quasi un “fiordo” in miniatura.  La luce, penetrando  l'acqua limpida e trasparente,  lasciava intravedere il fondo colmo di folta vegetazione marina e di pittoreschi anfratti che vivacizzavano l’incontaminato ambiente. Nugoli di piccoli pesci  scorazzavano indisturbati, veloci e sicuri, da una parte all'altra, nascondendosi talvolta fra le ondeggianti alghe.

Nella parte più bassa di una delle pareti laterali, sulla destra, si scorgeva un ampio gradone che avrebbe potuto permettere, volendo, di giungere quasi a pelo d’acqua, fungendo altresì da “comodo” sedile.  Era chiaro, però, che  sarebbe occorso liberarsi prima delle scarpe oltre a mettere in sicurezza, quantomeno,  gonna e pantaloni.  L'idea c'apparve tutt'altro che peregrina e, detto fatto, adottando le debite precauzioni per evitare di perdere l’equilibrio e finire in acqua, ci portammo sul posto. Una volta sistemati a dovere divenne estremamente facile lasciarsi dolcemente lambire le estremità dal tenue moto ondoso della risacca i cui spruzzi giungevano reiteratamente anche ben sopra i polpacci. Era, in definitiva, come trovarsi seduti ai bordi di una piscina. Ammiccandoci l'un l'altro, fraseggiando scherzosamente su quell'involontaria quanto felice scoperta, strillando per gli spruzzi che, talvolta più forti e consistenti, giungevano a lambire i vestiti, eravamo come presi da una irrefrenabile euforia, oltre che da una stupenda sensazione di freschezza e di benessere.  La limpidezza e la trasparenza dell'acqua era veramente impareggiabile e portava a riflettere che, ad avere a portata di mano un costume, sarebbe stato bellissimo concedersi un bel bagno. 

       Rifacendosi alle pur modeste cognizioni di natura geologica, era possibile arguire come  quel suggestivo tratto di costa fosse venuto a formarsi, presumibilmente, a seguito dei violenti assestamenti tettonici e dei fenomeni vulcanici che, nel corso delle varie ere geologiche, avevano portato alla formazione della Sicilia e delle isole minori che l’attorniano.  Era altresì pensabile che l’impetuoso frangersi delle tempeste e il lento ma continuo moto della risacca,  ne avessero addolcito e rifinito poi, nello scorrere dei millenni, i contorni e i bordi. 

       Nel corso di quella inaspettata avventura pomeridiana, la macchina fotografica si rivelò  parecchio propizia.  Permise d’inquadrare ogni angolatura di quel luogo tanto speciale oltre che, utilizzando l’autoscatto, di realizzare parecchie foto che hanno affidato al tempo il ricordo di quell’irripetibile  pomeriggio trascorso in assoluta serenità d’animo e in perfetta armonia con la natura.   Del tutto casualmente avevamo scoperto un’affascinante e straordinario contesto ambientale in cui squarci di natura incontaminata e intense policromie di colori s'amalgamavano mirabilmente e creavano incomparabili scenari.  L’azzurro turchese del mare si fondeva con il bianco intenso degli spruzzi della risacca che, spumeggiando, si frangeva sulla parte più bassa del pianoro mentre il suo ripetuto e forte slancio, superando ogni ostacolo, riusciva a giungere,  ricoprendolo di limpida acqua marina, gran parte dell'ampio spazio sovrastante. Era evidente come quel continuo flusso e riflusso  fosse la  principale fonte delle sbiadite sfumature di salsedine cristallizzata che s'erano formate ai bordi delle diverse conche. Sfumature che, chiare e perlacee, si fondevano con lo scuro maculato delle rocce erose e levigate dalle mareggiate, mentre il verde pallido della cespugliosa vegetazione radicata fra le pareti rocciose, si raffrontava magnificamente col giallo ocra delle erbe rinsecchite dal sole e col marrone chiaro delle alghe in decomposizione. L’armoniosa e incontaminata bellezza del luogo, mista al silenzio e alla tranquillità che incontrastati vi regnavano, proiettavano lo spirito verso pensieri elevati e portavano a percepire un intimo senso di benessere. 

       Lo sguardo poteva liberamente spingersi verso il lontano orizzonte, ove il mare, in una stupenda fusione di tonalità azzurrine, sembrava assorbire il cielo. Solo poche e incerte nuvole, stagliandosi in profondità nel cielo, fungevano da pittorico sfondo e mitigavano quel senso d’infinito che inebriava e colmava l’animo. Ai tenui venti di stagione era stato affidato l’incarico di animarle, con delicatezza e silenziosità. Avevamo innanzi una trascendente visione del creato e s'era indotti ad esprimere un profondo senso di riconoscenza al divino artefice di tanta magnificenza.  Affettuosamente vicini, rimanemmo per un certo tempo seduti sugli scogli, in muta contemplazione.  Il suo braccio cingeva la mia spalla, ed era come se, inconsciamente,  nella quiete dello spirito, volessimo integrarci con il paesaggio che ci circondava, ascoltando solo il cadenzato e tenue mormorio della risacca.  Era piacevole, di tanto in tanto, scrutarne i tratti e l’aggraziato profilo: la fronte  spaziosa, il naso sottile alla greca, le labbra purpuree, le guance morbide e un po’ paffutelle, il collo alto e alabastrino al quale conferiva risalto la corta capigliatura, bionda e ondulata.  

       La sua non era l’immagine di una bellezza aggressiva, nel senso comune della parola, pur se appariva circonfusa da un alone di splendida vitale femminilità. La limpidezza della pelle, non offuscata da sofisticati artifizi, valorizzava i tratti del viso ben armonizzati con la linea del suo fiorente fisico. Si riproponeva, osservandola, quella genuina esuberante avvenenza colta sin dal felice momento del nostro incontro. Avvenenza mai posta in ombra dall’abbigliamento semplice e spartano solitamente adottato.

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