Al mattino,
quando riprendemmo il cammino per raggiungere Cefalù,
prestigiosa meta finale di quel fantastico “week-end
compleanno”, il sole s’era appena levato sull’orizzonte. Malgrado
le poche ore di sonno, mi sentivo in forma e pieno d’energia.
La fedele "topolino" filava che
era una meraviglia e permetteva di districarsi magnificamente nel traffico
festivo, piuttosto intenso. Cefalù, radiosa di sole,
c'accolse nella sua veste migliore, l’impalpabile gioiosa atmosfera domenicale.
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Cefalù, l’antica “Cephaloedium” del periodo greco romano,
del quale, purtroppo,
solo pochi ruderi
- fra cui i resti del “Tempio
di Diana” - sono rimasti a testimoniarne il ricordo, ha
ottenuto
in epoche
successive e anche di recente lusinghieri riconoscimenti. La straordinaria
bellezza del litorale e delle prospicienti Isole (la rinomata “cinta
pelagica”), oltre che l’aspetto storico, monumentale e culturale,
rappresenta una importante componente
della meritata fama di Cefalù. Notorietà che da sempre,
anche a livello internazionale, convoglia
verso di essa un notevole
flusso di turismo. Non per
nulla alcuni imprenditori francesi hanno scelto un tratto del suo litorale per
realizzarvi l’esclusivo “Village Magique”, oggi una fra le più esclusive
attrattive d' “elite” del bacino Mediterraneo. Assurta, fra l'altro, al ruolo di
Città capo
Mandamento e Circondario Marittimo, è anche sede Vescovile,
sotto la cui giurisdizione ricade il conosciutissimo “Santuario di Gibilmanna” fondato dalle comunità
“cenobitiche benedettine” sorte per volere di Papa Gregorio Magno. Il
bellissimo Santuario, sotto l'egida di un manifesto spirito francescano, è mirabilmente
curato da una comunità di Frati Cappuccini.
La ridente cittadina tirrenica,
in funzione delle ricche attività produttive e commerciali che vivono e
prosperano nel suo territorio, seguita oltretutto ad occupare un posto
rilevante e strategico nell’economia della Sicilia occidentale. La sua ricchezza di base è legata in gran parte
ai pregiati agrumeti della “conca d’oro” e alla feconda
pescosità del mare ricco delle diverse varietà
del pesce azzurro oltre che zona privilegiata per la
stagionale pesca del tonno. Sono
ovunque note, a tal
proposito, le prelibate “sardine
di Cefalù”, Per
altro verso risultano parecchio quotati i “marmi” estratti dalle
cave ubicate nel territorio di Cefalù, fra cui
particolarmente ricercata è la cosiddetta varietà “lumachella”.
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E' una sostanza
liquida e zuccherina (solubile e di delicato sapore) che si ottiene mediante l’abile
e accorta incisione del frassino (“fraxinus angustifolia”). E' pazientemente raccolta
attraverso degli appositi “cannoli” delicatamente incuneati nella corteccia
degli alberi. Operazione che viene eseguita, da esperti “mannaluòru”, con metodi empirici rimasti pressoché
integri nel corso dei secoli e che sono frutto di una insostituibile esperienza tramandata da generazione in
generazione.
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Dopo una fugace
sosta in un vicino
bar, c'attardammo a curiosare fra i tanti negozietti colmi di ninnoli, di “souvenir”, di prodotti dell’artigianato
locale. Poi, nell'ambito di un rapido ma attento “giro turistico”, ci recammo a
visitare dapprima il celebre “museo Mandralisca” (**), la cui
origine storica è legata ad uno straordinario atto di mecenatismo d’arte e di cultura
posto in essere dal suo
omonimo fondatore. Fu poi la volta del caratteristico “lavatoio arabo”, un
capolavoro di ingegneria
idraulica risalente al
periodo della dominazione araba
di Sicilia (‘900 – 1000 D.C.).
Altra importante tappa della escursione fu la visita alla cosiddetta
“finestra sul mare”, un balcone
naturale da cui lo sguardo abbraccia lo scenario
dell'ampia e pittoresca insenatura
che accoglie il porticciolo peschereccio. Infine,
prima di avviarci verso l’ultima e per molti versi più importante
tappa della mattinata, ci soffermammo nell’ombroso
e curato “giardino comunale”. Non poteva
mancare, infatti, la visita alla stupenda Cattedrale normanna (***) del XII secolo (iniziata nel 1131 da Re Ruggero II e portata a compimento nel 1204), meritatamente
conosciuta, oltre che per l’inconfondibile linea architettonica della vetusta facciata, per lo splendore dei
mosaici accuratamente conservati e gelosamente conservati, al centro
dei quali domina l’ immagine del Cristo Pantocratore.
(**)
Museo Mandralisca
(***)
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Il trovarmi assieme all’instancabile e brillante compagna di quei giorni con la quale condividevo, gioiosamente, ogni pur minima sensazione, m'infondeva un senso di intimo compiacimento. Il fatto, in quel momento, rappresentava oltretutto il migliore antidoto alla fatica accumulata nel corso di quell’intensa mattinata. Provati dal caldo e dai lunghi tratti di strada percorsi a piedi, divenne però indifferibile darci da fare per cercare un qualche fresco angolino ove rifocillarci e fare riposare le stanche membra. Non desiderando incappare, tuttavia, in sgradite sorprese, pensammo fosse necessario assumere adeguate informazioni. Un passante, cui c’eravamo rivolti, c'indicò con molta cordialità la strada per raggiungere una buona trattoria, nella zona di “Torre Caldura”, appena fuori paese. Quando giungemmo sul posto, sentii in me quasi l’obbligo d’indirizzare un riconoscente pensiero al nostro informatore. Che il Signore l’abbia in gloria, ripetei mentalmente, fra me e me. Il luogo indicatoci, infatti, era parecchio confortevole, arieggiato e , oltretutto, offriva un’incantevole vista: da un lato la caratteristica sovrastante “montagna” e, dall’altro, lo splendido panorama della costa. Posteggiando la macchina non potemmo fare a meno, altresì, d’avvertire il buon odore di frittura di pesce che, a folate, giungeva dalla cucina del vicino locale. Ciò, manco a dirlo, prese a stuzzicare, ancor più, l’appetito. Stanchi e affamati com’eravamo, non sembrava vero poter sperare in un buon pranzetto a base di pesce. Era del resto più che ammissibile che in quella zona prettamente marinara non difettasse la qualità e la varietà. Sbirciato già da lontano un posticino alquanto defilato, ci sistemammo alla meglio e, in gran fretta, passammo alla scelta del “menu”.
Una tesa e fresca
brezza marina contrastava magnificamente la perdurante sensazione
di caldo che, chiaramente, era anche frutto della stanchezza per
il lungo scorrazzare della mattinata.
Era
frattanto trascorso un certo lasso di tempo e, ben consci delle distanze che
ancora avremmo dovuto percorrere, decidemmo di rimetterci in marcia. Trovammo la macchina alquanto surriscaldata
ma, una volta in marcia, la leggera tendina presto istallata sul tettuccio della
stessa dopo avere ripiegata a regola d'arte la pesante
cappotte, servì a proteggerci dai cocenti riverberi del sole ancora alto e a far giungere, all’interno dell’abitacolo, una confortevole aerazione.
L’eccezionale caldo, non pago d’averci
fatto compagnia per tutta la mattinata, seguitava a fare sentire la sua
debilitante incisività.
L'inclinazione del
terreno, di rimando, faceva sì che attraverso una miriade di multiformi rivoli e rivoletti
l’acqua tornasse a riversarsi in mare, dando vita, ai margini estremi del
pianoro, ad curioso spettacolo. Quasi telepaticamente, a conferma del fatto che una spontanea intesa
animava ogni nostro intento, ci trovammo d’accordo sul fatto che sarebbe valsa la pena di esplorare più da
vicino quel particolare sito. Lo spirito d’avventura non difettava e, detto
fatto, cercammo di vagliare il modo migliore per scendere giù. In assenza di un qualsivoglia tracciato che potesse
assomigliare ad un viottolo, pur scomodo o accidentato che fosse, fummo
costretti a comportarci, parecchio incoscientemente in verità, alla stregua di due
spericolati rocciatori. Seguendo
trasversalmente l'inclinazione del costone, avvalendoci delle sporgenze
della parete, aggrappandoci ad ogni possibile sostegno e sostenendoci a vicenda, riuscimmo
a superare ogni difficoltà e il risultato, alla fine, ricompensò largamente il
rischio corso. La zona a monte del vasto pianoro, specie nella parte a ridosso della
sovrastante parete, era cosparsa da un tipo di ghiaia umida e biancastra, qua e
là costellata da macigni di diversa forma e di notevole dimensione. Quella
caratteristica spianata, incassata fra un susseguirsi di alti spuntoni rocciosi,
si spingeva sin sotto la strada e ciò spiegava il
perché, dall’alto, non fosse stato possibile valutarne la profondità. Più verso il mare, anche la zona
in cui le frastagliate conche d'acqua avevano attratto la nostra attenzione, era fiancheggiata da
scoscese pareti di roccia, pressoché a
ferro di cavallo, che per una qualche decina di metri s’internavano
dentro il mare, formando una sorta di canale, quasi un “fiordo” in miniatura. La luce, penetrando l'acqua
limpida e trasparente, lasciava intravedere il fondo colmo di folta vegetazione
marina e di pittoreschi anfratti che vivacizzavano l’incontaminato ambiente. Nugoli di piccoli
pesci scorazzavano indisturbati, veloci e
sicuri, da una parte all'altra, nascondendosi talvolta fra le ondeggianti alghe.
Nella parte più bassa di una delle pareti
laterali, sulla destra, si scorgeva un ampio gradone che avrebbe potuto
permettere, volendo, di giungere quasi a pelo d’acqua, fungendo altresì da
“comodo” sedile. Era chiaro, però, che sarebbe occorso liberarsi
prima delle scarpe oltre a mettere in sicurezza, quantomeno, gonna e
pantaloni.
Rifacendosi alle pur modeste cognizioni di natura geologica, era possibile arguire come quel suggestivo tratto di costa fosse venuto a formarsi, presumibilmente, a seguito dei violenti assestamenti tettonici e dei fenomeni vulcanici che, nel corso delle varie ere geologiche, avevano portato alla formazione della Sicilia e delle isole minori che l’attorniano. Era altresì pensabile che l’impetuoso frangersi delle tempeste e il lento ma continuo moto della risacca, ne avessero addolcito e rifinito poi, nello scorrere dei millenni, i contorni e i bordi.
Nel corso di quella inaspettata avventura pomeridiana,
la
macchina fotografica si rivelò parecchio propizia. Permise d’inquadrare ogni angolatura di
quel luogo tanto speciale oltre che, utilizzando l’autoscatto, di realizzare parecchie foto che
hanno affidato al tempo il ricordo di quell’irripetibile
pomeriggio trascorso in assoluta serenità d’animo e in perfetta armonia con la
natura. Del tutto casualmente avevamo scoperto un’affascinante e
straordinario contesto ambientale in cui squarci di natura incontaminata
e intense policromie di colori s'amalgamavano mirabilmente e creavano
incomparabili scenari. L’azzurro turchese del mare si fondeva con il bianco
intenso degli spruzzi della risacca che, spumeggiando, si frangeva sulla parte più bassa del
pianoro mentre il suo ripetuto e forte slancio, superando ogni ostacolo, riusciva a
giungere, ricoprendolo di limpida acqua marina, gran parte
dell'ampio spazio sovrastante. Era evidente come quel continuo flusso e
riflusso fosse la principale fonte delle sbiadite sfumature di salsedine cristallizzata
che s'erano formate ai bordi delle diverse conche. Sfumature che, chiare e
perlacee, si fondevano con lo scuro maculato delle rocce erose e levigate
dalle mareggiate, mentre il verde pallido della
cespugliosa vegetazione radicata fra le pareti rocciose, si
raffrontava magnificamente col giallo ocra delle erbe
rinsecchite dal sole e col marrone chiaro delle alghe in decomposizione.
Lo sguardo poteva liberamente spingersi verso il lontano orizzonte, ove
il mare, in una stupenda fusione di tonalità azzurrine, sembrava assorbire il cielo.
Solo poche e incerte nuvole, stagliandosi in profondità nel cielo, fungevano da pittorico
sfondo
e mitigavano quel
senso d’infinito che inebriava e colmava l’animo. Ai tenui venti di stagione era stato affidato l’incarico di
animarle, con delicatezza e silenziosità.
La sua non era l’immagine di una bellezza aggressiva, nel senso comune della parola, pur se appariva circonfusa da un alone di splendida vitale femminilità. La limpidezza della pelle, non offuscata da sofisticati artifizi, valorizzava i tratti del viso ben armonizzati con la linea del suo fiorente fisico. Si riproponeva, osservandola, quella genuina esuberante avvenenza colta sin dal felice momento del nostro incontro. Avvenenza mai posta in ombra dall’abbigliamento semplice e spartano solitamente adottato.
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Luau