REPARTI FEMMINILI NELLE FORZE ARMATE
Ho
avuto occasione di seguire, sul Canale “Current” della SKY, un
interessante documentario sull’addestramento di un gruppo di
ragazze arruolatesi, “volontarie”, nell’Esercito. Il servizio,
in particolare, si riferiva ad un plotone composto
esclusivamente da ragazze appena arruolate, facente parte del
151° Reggimento della Brigata Motorizzata “Sassari”, la rinomata
Unità distintasi, in molte occasioni, per il suo alto grado di
efficienza operativa e di spirito di corpo. A fronte del suo
impiego nei vari teatri di “guerra” (nota 1) , in Bosnia,
in Kosovo, in Irak e, da ultimo, in Afganistan, ha dovuto
subire anche dolorose perdite umane. Anche in tali evenienze ha
saputo dimostrare coraggio, fierezza e dignità non comuni,
suscitando unanime rispetto e ammirazione.
Riferendomi allo spunto televisivo di cui sopra, non ho potuto
non constatare che, come suole dirsi, non è tutto oro ciò che
luccica. Sara stata anche colpa, e dico colpa, della regia e
degli organizzatori del servizio se è emerso, per ciò che
riguarda il periodo d’addestramento delle nuove reclute, un
quadro complessivo parecchio lacunoso, confusionario, incerto e,
per molti versi, deludente.
Mi riferisco ai metodi addestrativi in uso che, almeno per la
parte evidenziata dal documentario di cui sopra, sembrano essere
quelli di sempre e cioè un eccessivo formalismo, un palese
distacco fra inferiori e superiori, un sistema operativo che,
per quanto aggiornato rispetto ai nuovi scenari di guerra,
ricalca, in gran parte, la tecnica operativa dei vecchi e
affatto rinomati C.A.R. (Centro Addestramento Reclute).
A parte l'assodato recente miglioramento delle strutture
ricettive delle Caserme (camerate, servizi, arredi ecc.),
le caratteristiche organiche e funzionali
del sistema non appaiono poi tanto diverse rispetto al citato
passato.
Senza dire che, almeno apparentemente, non sembra che la
preparazione individuale e professionale degli istruttori si sia
evoluta più di tanto. Dal contesto del citato documentario è
risaltata, anzi, la modesta versatilità e attitudine degli
addetti a tale vitale servizio (sergenti e marescialli) che,
pur se ligi ai regolamenti ed al formalismo gerarchico, non sono
apparsi, di massima, all'altezza del compito.
Qualcuno, addirittura, lasciava a desiderare anche sul piano
esplicativo, a tutto scapito, quindi, della chiarezza e
dell’incisività delle nozioni da impartire a soggetti del tutto
digiuni di arte militare.
Anche le esercitazioni di gruppo (squadra e plotone) non
sono apparse adeguate alle moderne tecniche d'impiego, pur se
oggi ci si può avvalere di attrezzature, equipaggiamenti e
armamenti individuali aggiornati e funzionali. Attraverso lo
scorrere delle riprese effettuate (assolutamente di scarso
livello) s’è potuta osservare tutta una serie di comportamenti
di gruppo e individuali palesemente lenti, impacciati e
disarticolati.
E’ chiaro che, in presenza di una ipotetica reale azione di
guerra, tali comportamenti sarebbero stati forieri di probabili
insuccessi operativi, oltre che di massicce perdite.
A fronte della scarsa efficienza messa in risalto dal filmato e
considerato che, stando a quanto più volte dichiarato dai
responsabili militari, l'addestramento dovrebbe essere del tutto
paritetico fra uomini e donne, non può costituire valida
giustificazione, la circostanza che il "plotone" di che trattasi
(42 elementi) fosse costituito solo da ragazze. Ciò non
appare consono alla vitale esigenza di porre in grado le nuove
arrivate - anche ai fini della loro stessa sicurezza di
adeguarsi prontamente alle regole d'ingaggio e di combattimento,
oltre che nell’uso corretto ed efficace delle armi offensive e
difensive in dotazione. Il tutto a prescindere dalla
assuefazione alla disciplina e dall’apprendimento delle nozioni
di base.
La regia, palesando la consueta tendenza italiana a porre in
evidenza il lato patetico di ogni cosa, ha posto maggiormente in
evidenza, peraltro prolissamente, l'impatto della vita di
caserma su quel gruppo di ragazze da poco staccatesi dalla
realtà sociale, familiare e affettiva in cui ciascuna di esse è
cresciuta. Perdendo spesso di vista, scioccamente, l’importanza
del delicato tema trattato, s’ è dilungata, oltre ogni dire,
sulle riflessioni, sugli stati d'animo, sulle perplessità, sui
dubbi, sui rimpianti, sulle insicurezze di ciascuna. E’ stato
posto risalto, più di una volta, il soggettivo stress scaturente
dal dovere convivere con i molti e pesanti sacrifici della vita
militare, ponendo in risalto, in taluni casi, la quasi totale
mancanza di una pur larvata convinzione. Vita militare che,
ovviamente, non può neppure lontanamente essere paragonata a
quella di un collegio di educande o di famiglia.
Attraverso i prolissi soliloqui di alcune di esse, riportati
dalla poco accorta regia, è spietatamente emersa la vera
motivazione di fondo che ha indotto molte di esse ad
intraprendere l'avventura militare. In buona sostanza, la spinta
decisionale è scaturita dalla speranza di una sistemazione
subito redditizia, più o meno proiettata nel tempo, considerato
che, in alternativa, "è difficile trovare un lavoro".
Sta di fatto che, a fronte di tale distorta visione delle cose,
parecchie delle "ammesse" non riescono a superare l'impatto con
il rigore e i drastici ritmi della vita di caserma. Ritmi
volutamente esasperati, all'inizio, al fine di operare una
spontanea selezione. Conseguentemente, allo scoccare di pochi
giorni o di qualche settimana, parecchie vanno in tilt e
decidono di rinunciare.
Una ulteriore osservazione, riguardante parecchie ragazze, è
l'evidente difficoltà di acquisire quell'aspetto marziale che
dovrebbe essere tipico di chi più o meno convintamente abbraccia
la professione militare.
Le consuete e quotidiane adunate, le marce, le sfilate, le
occasioni di manifestazioni e ricorrenze pubbliche, lasciano
intravedere, spesso, l'espressione stereotipata e quasi assente
di alcune di esse. Come se non riuscissero a calarsi con
naturalezza e spontaneità nella parte del “militare tutto d'un
pezzo” e svolgessero il proprio compito più per costrizione che
per altro. In loro appare fortemente compresso e forse annullato
l’istinto naturale, la personalità, la propria dignità
femminile, il proprio equilibrio psicologico, essendo divenute,
di fatto, dei robot paludati da guerrieri.
A fronte di tutto ciò non sarebbe male che qualcuno dei ben
pasciuti appartenenti alle istituzioni governative o alle alte
gerarchie militari, visionasse attentamente il documentario di
che trattasi e, soffermandosi sulle considerazioni di cui sopra,
si adoperasse, responsabilmente, per migliorare il quadro della
complessa e onerosa macchina dell'apparato militare. Non
dimenticando, per rispetto dei contribuenti che ne sopportano il
rilevante costo, l'esigenza d’evitare i molti sciupii, i tanti
sprechi, le inutili complicanze burocratiche, i formalismi di
facciata, e, perché no, qualche più o meno ricorrente abuso.
(22/4/2012 - Luau)
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Nota (1): - Non trattasi, evidentemente, di pure e semplici
missioni di "pace", come vorrebbero far credere le reiterate
dichiarazioni, ipocrite e talvolta in malafede, dei politici, in
ciò assecondati dagli alti gallonati della gerarchia militare.
Costoro, dai comodi e sicuri scanni parlamentari o da dietro le
vistose scrivanie dei luoghi di potere, s’arrogano con
disinvoltura e superficialità il diritto di mandare tanti
giovani a rischiare la propria vita in funzione di velleità
ostentative o d’interessata acquiescenza ad altrui piani
egemonici che, per molti versi, non dovrebbero riguardarci.
E non si venga a dire, distorcendo la realtà delle cose, che
tale rischioso e costoso impiego di uomini e mezzi trova
giustificazione nella "necessità" di difendere la "civiltà
occidentale". A quale civiltà ci si riferisce? Forse a quella
che la ingorda, spregiudicata, insensibile e speculatrice classe
politica internazionale e nazionale sta avviando,
sistematicamente quanto irresponsabilmente, verso il precipizio
della rovina morale e materiale? |