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                 Ponte di Genova
 
 

Abbiamo letto e prolissamente sentito che, “…. a quasi due anni dalla tragedia del crollo del Ponte Morandi del 14 agosto 2018, è stato inaugurato il nuovo viadotto sul torrente Polcevera, denominato Ponte “Genova San Giorgio”. La cerimonia è avvenuta, in forma palesemente discreta, alla presenza delle cariche più alte dello Stato fra cui il Presidente della Repubblica e il Presidente del Consiglio.
Abbiamo letto, altresì, che trattasi di “….un’opera mirabile frutto del genio italico, di una virtuosa collaborazione tra politica, amministrazione locale, impresa e lavoro, la dimostrazione che il nostro Paese sa rialzarsi, sa tornare a correre”, per come ha detto il Presidente del Consiglio, prima di tagliare il nastro. Un po’ di demagogia non guasta.
In materia, come di consueto, s’è levato un coro di voci, …. pur se alcune manifestamente “fuori tempo” e “gracidanti”. Libertà di pensiero o solo velleità di protagonismo?
C’è da complimentarsi, innanzi tutto, per la capacità acquisita da molti parvenù dell’informatica nell’avventurarsi fra i tentacoli del “mostro” chiamato personal computer.
Un “mostro” che quotidianamente pone in evidenza l’incontrollato chiacchiericcio salottiero (talvolta da “bettola”) di una notevole massa di gente “insignificante” e “mediocre”, molto spesso, di limitata valenza formativa e cognitiva.
Un “mostro” che fa emergere l’insita preponderante attitudine verso la disincantata galassia dei cosiddetti “spot evanescenti” che, in un ambiente virtuale e indefinibile, racchiudono le spericolate e variegate forme di quel volatile pensiero astratto che, purtroppo, lascia il tempo che trova.
Il tutto ben lontano dalla contingente e poco rassicurante realtà quotidiana che sta portando la società ad abbrutirsi sempre più, a non reagire contro l’imperante cultura del nulla politico e civile, a rinunciare a qualsivoglia forma di efficace protesta convogliata contro gli untori che diffondono il virus dell’autolesionismo planetario, a seguire le sirene dell’apparenza e del godimento mangereccio e materialistico. Senza dire della sempre più diffusa volgarità del linguaggio e dello scadimento dei comportamenti interpersonali.
Il sacro “Rinascimento” artistico, intellettuale, morale, è andato in frantumi nell’impatto con il traviato mondo del “consumismo”, del “profitto”, del “potere”, del fariseismo esasperato, dell’inganno fideistico, religioso, politico.
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Per inciso, a proposito di un recente “commento” su un “post” riguardante il nuovo ponte di Genova (con l’autore del quale “post”, premetto, neppure lontanamente è mia intenzione entrare in lizza), mi permetto osservare che esso lascia parecchio perplessi sul fatto che anche eminenti rappresentanti della classe intellettuale (oltre che del mondo professionale) si esprimano con un linguaggio arzigogolato che chissà che cosa vorrebbe intendere, ma che non scandisce niente di valido e di concreto. Frasi senza senso lanciate nello spazio infinito della disinformazione.
Come mai taluni “architetti del pensiero” (poco e niente costruttori di cultura ma instancabili “polemisti”) prima di scrivere talune sciocchezze di giornata, non curano di rifarsi ai fatti pregressi, ai retroscena e alle cause (a parte i “misteri” made in Italy che non mancano mai) di ciò che accadde a Genova alle ore 11,45 del 14 agosto 2018?
Lo scenario descritto nel “post” di che trattasi, ha origini lontane e non è certo sorto dal nulla. Esisteva già da circa 60 anni addietro e nessuno degli emeriti benpensanti degli odierni “social”, sinistrorsi o destrorsi, non ha importanza, ma sicuramente intellettualoidi più o meno ciarlieri, si era mai preso la briga di accertarlo prima di sparare nel mucchio.
Dovrebbero ricordare, costoro, che il lamentato scempio paesaggistico ed ecologico, di cui un po’ tutti ci lamentiamo, è il diffuso amaro frutto di passati e presenti intrighi politici, elettorali ed economici, forse anche di illeciti profitti o di tangenti multicolori. Sembra, quindi, fuor di luogo usare, oggi, termini da “tragedia urbanistica”.
Occorre anche ricordare che il ponte di Genova non era - prima che crollasse, e non lo è ora, dopo che è stato rifatto con una diversa tecnica e con una diversa conformazione - un’opera d’arte. Nessuna nuova “architettura di rammendo”, quindi.
Neppure il suo valente progettista Renzo Piano, impropriamente chiamato in causa, ha avuto la presunzione di classificarlo tale. Men che meno, l’Architetto Piano - unanimemente riconosciuto “genio internazionale” - si sarebbe prestato a redigere e sottoscrivere quel progetto (peraltro approntato a titolo gratuito) su cui s’è avuto l’ardire di azzardare l’interrogativo che possa trattarsi (chissà in base a quali parametri) di “una pietosa copertura di errori del passato”.
Checché se ne possa pensare, il nuovo ponte è solo una utile e indispensabile realizzazione ingegneristica che non ha alcuna pretesa di essere un “arco di trionfo” ma non ha neppure “il sapore di una giostra”.
E’ imperdonabile confondere il sacro col profano.
Magari, sin quì, se ne fossero realizzate molte di analoghe strutture, al posto dei pericolosi ponti, viadotti e cavalcavia di pasta frolla che hanno deturpato l’Italia tutta - dalle Alpi a Lampedusa - rendendola un territorio fragile.
E’ a tutti noto che oggi, non per sostituirli ma solo per “metterli in sicurezza”, c’è da far tremare le vene e i polsi sia ai più o meno competenti e onesti “tecnici” (o pseudo tali) e sia a chi tiene i cordoni della borsa già stracarica di debiti.
E’ opportuno rinfrescare la memoria di chi l’ ha persa per strada, ricordando che il crollo del Ponte Morandi è “da inserire”, puramente e semplicemente, nel nefasto periodo della indefinibile “democrazia italiana”, periodo ben poco degno di essere chiamato “storico”, che va dagli anni ’60 in poi.
Si potrà mai reprimere l’ingordigia (spesso legata a filo doppio con la corruzione) di ben noti settori vampireschi dell’alta finanza, delle grandi aziende del settore “imprese di costruzioni” e dei truffaldini “concessionari di gestione”?
Che c’entra, infine, l’accostamento fra gli “effetti e i danni” (gravissimi ma circoscritti) del crollo del Ponte Morandi, con quelli “planetari” e non facilmente superabili del “covid 19”?
Il Ponte, per la cronaca, fu costruito fra il 1963 e il 1967, ad opera della “Società Italiana Condotte d’Acqua”, fino al 1970 di proprietà dell'Amministrazione Speciale della Santa Sede e del gruppo Bastogi. La società fu acquistata dal finanziere Michele Sindona che poi la rivendette al gruppo IRI-Italstat. Successivamente è stata gestita dal costruttore romano Paolo Bruno e poi da Duccio Astaldi con Franco Bassanini (personaggio politico socialista di tutto rispetto) nella qualità di Presidente del Consiglio di sorveglianza. Già notevolmente indebitata (circa 2/miliardi) la società ha rischiato il fallimento e dal 2018 è in amministrazione controllata.
Del Ponte Morandi se ne è molto parlato e sparlato, impropriamente o polemicamente, magari chiacchierando, strumentalmente, per riprovevoli fini esibizionistici. Il tutto come da innata abitudine italiana.
Ognuno ha detto la sua e non sono mancate le consuete insulse disquisizioni di chi usa Facebook o altri network per ostentare il proprio io. La solita pietra buttata a casaccio nel putrido stagno della ciarlataneria da baraccone.
C’è anche da ricordare che, pur essendo accaduto il tutto in un palese quadro di flagranza di reato, non s’è avvertito, però, alcun tintinnio di manette nei riguardi dei presunti colpevoli. Ha ragione chi pensa che la bilancia della giustizia non usa lo stesso peso per tutti?
05 agosto 2020 A. Lucchese



 

 


 

 

    Ass. Socio-Cult. «ETHOS - VIAGRANDE»  
Presidente Augusto Lucchese
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