Ai lettori presenti e
futuri,
severi giudici
Panta rei
Non sorprenderti se la mia mente “crazy horse” corre libera
senza briglie e senza staffe.
Voglio confessarti, come in confessionale, perché “scandaglio”
le anime ribelli.
Ho approfondito intensamente i moti interiori di personaggi
storico-letterari, quali. “Lancilot du lac, Don Juan, Casanova,
Byron, Porfirio Rubirosa, Garcìa Lorca, Prévert, Foscolo,
Leopardi, Dante, Kierkegaard (Il Diaro del seduttore), Nice
(Nietzsche), e poi Kant, Freud, Pirandello, Heinstein, Ernest
Hemingway (Fiesta)...”, ed infiniti altri soggetti, i più
disparati fra loro, il cui unico filo conduttore che li accomuna
è “la sete d'amore”.
Una sete inestinguibile, incolmabile, insaziabile, infinita.
Sete d'amore: e sublime, e carnale, ma anche sete di giustizia,
di giustezza.
Tanto ci sarebbe da discutere su ciascuno di loro. Ne parlerò
“spizzicando” qua e là.
Lancilot du lac, figura emblematica, sprezzava la morte. Non la
temeva perché come Leopardi avrebbe potuto esclamare “... a me
la vita è male”.
Il nome Lancilot deriva dall'ebraico “Azilot-Nobile”, con
riferimenti all'animo nobile del Cavaliere, senza macchia e
senza paura.
La leggenda dice che immediatamente dopo la nascita perse
entrambi i genitori. Sin da fanciullo fu educato, cresciuto,
istruito alle armi. Addestrato al coraggio ed al disprezzo del
dolore e della morte.
Ogni giorno sfidava la morte in singolar tenzone, sino a quando
cominciò ad accarezzarla, quasi a desiderarla.
Lorca dipinge poeticamente questo sentimento con le parole:
“...1’appetito di morte e il gusto della sua bocca”.
Lo distolse da questo insano sentimento l'amore proibito per una
donna, Ginevra, sposa di Re Artù. La quale, a sua volta, fu
affascinata e irrimediabilmente vinta dal cosiddetto “affetto
materno”, sedotta da quel desiderio di morte che albergava
nell'animo del suo Cavaliere e Campione.
“Amor, ch'a nullo amato amar perdona”.
Chi meglio di Dante, descriver potea questo sentimento, in così
modo netto e sintetico?
Lancilot soffriva in silenzio, divorato, in una profonda
voragine, dal desiderio di amarla ed esserne riamato. Espiarono
entrambi, nel dolore, il peccato del tradimento verso Artù, Re e
marito.
Artù, a sua volta, distrutto dal tradimento delle persone a lui
più care, cercò e trovò la morte in battaglia.
I due amanti sublimarono nel dolore il loro tradimento. Lancilot
visse il resto della sua vita da esule eremita. Ginevra prese i
voti e chiese di essere dimenticata.
Leopardi, inseguì per tutta la sua tenera e dolorosa esistenza,
l'Amore, a lui negato sin dalla nascita da una madre severa e
arcigna.
Spirito ribelle e delicato visse interiormente: aspirazioni,
desideri, sofferenze, di quel mondo codino che lo circondava,
non trovando mai, come van Gogh, neanche l'amore caritatevole di
una prostituta.
Quanta ricchezza d'animo ho trovato nei soggetti da me studiati,
nei meandri delle loro anime.
E quanta indicibile sofferenza e dolore.
Casanova, universalmente identificato e conosciuto quale “grande
seduttore e gaudente”, in effetti ha inseguito per tutta una
vita un briciolo di que11'amore che la madre gli negò sin da
subito, abbandonandolo e obbligandolo a vivere di espedienti.
Spegnendo nella carne il desiderio di un affetto profondo e
totalizzante.
Invito ogni lettore e lettrice a leggere con attenzione
l'episodio di “Henriette”, nella “Histoire de ma vie” di Giacomo
Casanova, per farsi un'idea di ciò che dico.
È facile per il volgo, così come è soddisfacente, per le
ristrette conoscenze e il loro piccolo cuore, soffermarsi alle
esteriorità dei personaggi emblematici citati, attribuendo loro
quei piccoli, piccolissimi moti dell'anima che informano il loro
essere.
Fanciulli imberbi, come li definisce Kant, il cui unico scopo e
il poter scrivere nei loro “curricula” e nei loro bigliettini da
visita, la qualifica appioppata loro da altri stupidotti, più
stupidi di loro.
“Panta rei — tutto scorre” (Eraclito) e “In medium stat virtus”
(Aristotele — Etica Nicomachea), non sono un inno alla
mediocrità, come i più suppongono, bensì, concetti filosofici
che riflettono l’ideale greco-romano della giusta misura.
Piuttosto un avvertimento per gli estremisti facinorosi, fautori
di un'unica idea che, per quanto buona possa essere, se in sé
non contiene il giusto equilibrio, e il dovuto confronto, è
“disastrosa”.
La mediocrità della “massa anonima” si adatta ad ogni mutar del
vento, sempre pronta a correre dietro all'ultimo “caprone con le
coma di Belzebù, e la lingua biforcuta da serpente velenoso”, la
quale stessa massa produce ed assurge agli altari, come il
Vitello D'oro della Bibbia.
La mediocrità, è quella “Banalità del male”, così ben descritta
da Hannah Arendt, che, in tal guisa apostrofò e distrusse le
atrocità contro il genere umano commesse dal nazismo hitleriano.
Conseguenza della folle filosofia sociale del1'imbianchino
Hitler, il quale si spacciava per “pittore di quadri”, nel
tentativo di nascondere la sua malvagia mediocrità.
Orbene ditemi: “Quanti Hitler ci sono nella nostra vita?. Quanti
è in grado di riconoscerne la massa imberbe e pericolosa dei
mediocri, che si crogiola arrotolandosi nella propria nullità?”.
flf
26 Giugno 2021
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