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15 maggio 2020 – Ricorrenza storica per la Sicilia.
Ricorre oggi il 74° anniversario della promulgazione
dello Statuto della Regione Autonoma di Sicilia. Una ricorrenza
che, contrariamente a quanto sarebbe giusto pensare, non si può
certo annoverare a cuor leggero, per svariati motivi, fra quelle
che andrebbero “festeggiate”.
In campo fiscale, ad esempio, pur essendo chiaramente stabilito,
ai sensi degli artt. 36, 37 e 38 dello Statuto, che gran parte
dei proventi fiscali riscossi o maturati in Sicilia dovrebbero
rimanere di esclusiva pertinenza della Regione, il disposto dei
citati articoli è stato largamente aggirato dallo Stato,
determinando il mancato incasso annuale di diversi miliardi e un
corposo credito nei riguardi del fisco centrale. A fronte del
principio tutto italiano che talune leggi esistono solo quando
fa comodo, detta norma fu solo parzialmente rispettata sino agli
anni ’70.
A prescindere dalla odierna necessità di evitare “assembramenti
commemorativi” e sperando di scansare i consueti sciocchi
panegirici dei soliti imbonitori di parte (pur se in
“video-conferenza”), non sarebbe specificatamente corretto e
coerente brindare a qualcosa di sostanzialmente inefficace (per
non dire controproducente) ai fini dello sviluppo economico e
civile della Sicilia. Molti asseriscono che in tal maniera si cercò di esorcizzare il pericolo del separatismo portato avanti dal “Movimento per l’Indipendenza della Sicilia” (MIS), guidato da Andrea Finocchiaro Aprile e da altri personaggi di rilievo di un po’ tutte le zone dell’Isola. Un forte movimento popolare che, dopo il fatidico luglio 1943 (sbarco alleato in Sicilia), s’era eretto a paladino dell’affrancamento della Sicilia dallo Stato Italiano. Il MIS, nel 1945, s’avvalse anche di una parvenza di struttura paramilitare, l’ EVIS (Esercito Volontario per l’Indipendenza della Sicilia) capitanato da Antonio Canepa. Il movimento scese in campo, nel 1946, per l’elezione dell'Assemblea Costituente, ottenendo 4 seggi. Partecipò altresì alle prime elezioni dell’Assemblea regionale siciliana (30 aprile 1947) ottenendo 9 seggi. Per quanto concerne l’istituzione nel territorio siciliano della festività del 15 maggio, non si può non sottolineare l’assurdità delle contraddizioni sorte fra Autorità regionali e nazionali. La citata festività, infatti, fu affatto recepita da parecchi organismi istituzionali direttamente dipendenti da Roma pur se, in ambito strettamente territoriale, s’era riuscito ad attribuire ad essa un minimo di significato ideale e storico. Una festa a metà che, dopo qualche anno, fu logicamente abolita, pur mantenendo talune formalistiche manifestazioni di facciata che, spesso e volentieri, fungono tuttora da cassa di risonanza per le ciance di grotteschi e incalliti demagoghi nostrani, d’ogni colore e provenienza.
Fatta questa breve premessa, non è male riportare alla
memoria taluni aspetti delle vicende socio politiche collegate
alla formalizzazione dello Statuto della Regione Siciliana, per
l’appunto datato 15 maggio 1946 e addirittura promulgato da
Umberto II, pochi giorni prima che il Referendum del 2 giugno lo
esiliasse in quel di Cascais. Lo Statuto “speciale” trasse origine da una sorta di “accordo” intercorso fra il ricostituito Stato centrale Italiano e la “Consulta regionale siciliana” che formalmente inglobava i rappresentanti di parecchie categorie di operatori economici e di lavoratori, oltre che dei redivivi partiti politici. La promulgazione dello Statuto siciliano è addirittura anteriore alla approvazione della Costituzione della Repubblica italiana (22 dicembre 1947). La Sicilia, quindi, è stata la prima Regione in assoluto ad acquisire, almeno sulla carta, uno “statuto speciale”.
Occorre ricordare che, lasciato alle spalle il sistema di
governo dittatoriale del fascismo e il sistema istituzionale
monarchico, legato alla discussa Casa Savoia, s’era determinata
la speranza che, con l’avvento della Repubblica, il quadro della
Nazione cambiasse in meglio.
Parecchi settori Istituzionali - specie in periferia -
seguitano a navigare a vista e operano disorganicamente
nell’ambito del discutibile sistema delle mille “repubbliche”
regionali e comunali. Ognuno per se e Dio per tutti. Chi paga,
alla fine, è sempre il solito “Pantalone”.
La Sicilia, in particolare, non s’allontana poi tanto dal
senso di tale aforisma. Meditando sulla contingente realtà, sorge spontanea una osservazione: quanti sono coloro che nel chiuso recinto dei vari e ristretti ambienti locali (anche se da essi traggono origine taluni “altolocati papaveri”, con tanto di importanti poteri regionali e nazionali) possono affermare d’essere adeguatamente consapevoli dell’origine storica dei pur disattesi contenuti dello “Statuto Siciliano”e assertori della necessità di attuarli? Riferendosi proprio alla citata origine storica non sembra superfluo ricordare che s’era, come già accennato, nell’epoca in cui ardeva in Sicilia il vivace fuoco del separatismo e che ad esso s’accompagnava il ricomparire della spregiudicata “mafia” (frutto dell’interessato patrocinio USA e AMGOT), cui faceva da contraltare il dilagante banditismo.
A Roma, forse per un consapevole senso di timore, si
brigava sul come e in che modo spegnere i pericolosi focolai e,
con la adesione di insigni personaggi isolani, fu all’uopo
approntato il famoso e articolato “documento” denominato
“Statuto Speciale della Regione Siciliana”. Dando forse per
scontata l’arrendevolezza dell’ignaro quanto ingenuo popolo
isolano, si pensò bene, inoltre, di fare in modo che esso, pur
se promulgato dall'allora Monarca in carica, divenisse, poco
dopo, parte integrante della “Costituzione” della neonata
Repubblica. Molti affermano, oggi, che quest’ultima mossa fu una
eclatante e ben studiata “trappola” approntata per ingabbiare
definitivamente la Sicilia, un autentico cappio al collo, pronto
a strozzarla ove necessario. Ma la maggiore responsabilità attribuibile alla ambiguità del rapporto fra Stato e Regione, sta nell’avere prima inquinato il florido settore bancario regionale (in conseguenza della sfacciata intrusione partitica nella gestione degli Istituti, a seguito della nomina nei consigli di amministrazione di personaggi affatto trasparenti e competenti) e poi, sopraggiunta (anni ’90) la crisi gestionale del comparto, nel non avere saputo tutelare e difendere il patrimonio delle maggiori e storiche Banche siciliane. Una ingente massa di risparmio passò, in gran misura, sotto il controllo di accentratori Gruppi bancari del Nord, finendo col finanziare, più che le esigenze creditizie siciliane, l’economia di quelle zone. Appare difficile, adesso, correre ai ripari. Tuttora, molto più che nel passato, l’oneroso quanto inadempiente apparato burocratico e strutturale nato in funzione delle discussa “autonomia”, è di fatto gestito dall’alto dei sette colli, secondo le invereconde regole dell’utilitarismo dei vertici partitici e di taluni centri di potere. S’e determinata, di fatto, una moderna forma di feudalesimo politico e ne è scaturita una chiara forma di malgoverno che, nel tempo, ha innanzi tutto creato quella sorta di “stipendificio” che alimenta un costosissimo apparato, meritevole di una larga varietà di “premi Oscar” in materia di settorialità, di nepotismo, di abusi, senza dire degli eclatanti casi di corruzione e malversazione. E’ stato ancora una volta dimostrato che per dominare i popoli asserviti è sempre valida la perversa formula della carota e del bastone. Non va dimenticato, tuttavia, che la responsabilità ricade su quei moltissimi siciliani che, pur se da tempi immemorabili si ritengono oppressi e sfruttati da ingordi personaggi e da gruppi di potere politico-speculativo, non hanno saputo scegliere, nel tempo, fra la strada della libertà e quella della perdurante sottomissione. Non rimane che dire: “chi ha colpa del suo mal, pianga se stesso”. Vae victis (guai ai vinti). Il paradosso dell’asino di Buridano, oltretutto, calza perfettamente.
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Ass.
Socio-Cult. «ETHOS
- VIAGRANDE»
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