LIBIA 1911 / 2020 - GUERRA INFINITA
Dopo ben 118 anni, truppe regolari della Turchia hanno potuto
rimettere piede a Tripoli. L’invio di un nutrito contingente di
forze militari, ufficialmente nella veste di tutori e
soccorritori dell’attuale regime, ha chiaramente posto in
risalto un non tanto
recondito scopo e ben immaginabili mire.
Trattasi di un eclatante accadimento
storico i cui risvolti, palesi od occulti, sfuggono certamente a
molti pur se, invece, andrebbero attentamente valutati e
analizzati. Non si può prevedere, tuttavia, se la
Turchia riuscirà ad ottenere lo scopo prefissosi, visto che da
parecchie fonti il governo tripolino di Fayez al-Sarraj, pur se
riconosciuto dall’ONU, è ritenuto agonizzante. Esso, infatti, ha
di fronte le agguerrite milizie del generale Khalifa Haftar
(governo di Bengasi) sostenuto dai potenti e ricchi Emirati
Arabi e dall’Egitto sornione, oltre che, non tanto tacitamente,
dalla Russia di Putin. Tutti i “partner”, dell’una o dell’altra
fazione, nulla avrebbero a che spartire, in teoria, con la
delicata situazione interna della Libia, oltretutto
risaputamente influenzata dall’intramontabile e recidivo
atteggiamento “autonomista e dispotico” dei capi di varie e
numerose “tribù” - circa 300 - (Warfalla, Tuareg, Tebum, Berberi Imazighen,
Magharba, Gadadfa - la tribù sirtica da cui proveniva Gheddafi -
Zuwayyah, Ferjan - la tribù cirenaica di Haftar - ecc. ecc.), talune
a vocazione nomade, stanziate nell’interno marmarico, nel sud
Tripolino, nel Fezzan, ai confini con il Ciad e il Niger.
Ciascun raggruppamento, quasi sempre, gestisce come può una
propria “milizia”, spesso impiegata per sostenere, magari
cambiando facilmente bandiera, l’uno o l’altro settore in
lotta. Un mosaico di piccoli e grandi agglomerati di popolazioni
con proprie osservanze religiose, tradizioni, usanze, leggi non
scritte, governate da “tiranni-scieicchi” che tessono e
mercanteggiano l’opportunistica tela dei rapporti con i “leader”
del pseudo "potere centrale" dei due raggruppamenti di forze. Il
controllo delle risorse petrolifere del Paese Libia (nono posto fra i produttori
mondiali) e gassose (terzo posto), costituisce,
ovviamente, l’obiettivo primario di tutte le contrastanti forze
in campo, locali, interne ed esterne. Tale sembra essere la
verità non dichiarata dell’insanabile conflitto
politico-militare fra i due schieramenti della stessa Nazione
(non si può dire che trattasi della solita "guerra civile"), cui s’aggiunge la velleità di talune
Nazioni, spalleggianti l’una o l’altra fazione, di riuscire ad
ottenere l’ambito preminente controllo politico e militare del
Mediterraneo centro orientale. Tali sono, palesemente,
le determinanti spinte che inducono talune ben
note potenze straniere a soffiare sul fuoco della guerra. I due
Governi contrapposti di Tripoli e Bengasi sembrano essere più
che l’espressione di una base popolare o di una volontà di
rinascita e di ricostruzione, la proiezione di forvianti
interessi egemonici ed economici di altre Nazioni o di gruppi multinazionali. Sembrano essere la mano armata di cinici
burattinai che tirano le fila da ben altri luoghi, pur senza
assumere responsabilità diretta in ciò che sta accadendo nel
conteso territorio libico, sia per effetto della quasi totale
destabilizzazione delle istituzioni che per le distruzioni
sempre più vaste delle infrastrutture e per le vittime civili e
militari sempre più numerose. Le armi (parecchio moderne)
e i mezzi militari terrestri, aerei e navali che alimentano la
lotta fratricida affluiscono a fiumi e si sa bene da dove.
L’Europa, pur essendo parecchio
interessata, ha lasciato, per inedia e per mancanza di
univocità, che la situazione le sfuggisse di mano. Oltretutto
non dispone, collettivamente, di alcuna forza militare
"deterrente", in grado di far pesare, alla stregua di USA, Russia e
di altre Nazioni extraeuropee, le proprie vedute. Con le
chiacchiere o con confuse e sterili iniziative diplomatiche,
purtroppo, non si va da nessuna parte. Oggi, togliere
l’iniziativa alla Russia, alla Turchia e a taluni Stati arabi,
non è più cosa facile e si corre il rischio di dovere
sottomettere gli interessi europei ai venti egemonici che
soffiano dall’oriente.
La Russia di Putin, realizzando un vecchio sogno degli ZAR, sta
irrobustendo sempre più la sua influenza politica e militare nel
Mediterraneo (vedi basi in Siria) e, quindi, s’è subito inserita
nella questione libica prendendo le parti del governo di Bengasi
e assumendo la veste dell’autorevole paciere. E’ facile tuttavia
supporre quale è la vera aspirazione della Russia: essere
significativamente presente in Mediterraneo e bilanciare in suo
favore, anche nell’area centrale dello stesso, la posizione
predominante sinora ricoperta, quasi in esclusiva, dagli Stati
Uniti.
La Turchia, a sua volta, non vuole perdere il treno di una
possibile rivalsa storica e vuole rientrare in lizza in quella
zona che un tempo, dal 1551 sino al 1912, era possedimento
assoluto dell’Impero Ottomano del Sultano di Costantinopoli, dei
cui resti esiste, oggi, solo la Repubblica Turca di Recep Tayyip
Erdogan.
Per quanto riguarda l’Egitto è chiaro che, considerata la sua
considerevole ampiezza confinaria con la Libia, ha tutto
l’interesse che la Cirenaica di Haftar vinca la partita e si
apra alla sua influenza, divenendo, altresì, una sorta di
cuscinetto difensivo contro eventuali infiltrazioni esterne,
politiche, religiose e militari, invise all’attuale dominante
sistema istituzionale e socio-economico.
Gli Emirati Arabi, infine, nella qualità di primari esponenti
della “Organizzazione della cooperazione islamica” (in
maggioranza sunnita), si
presume che vogliano mantenere, se non accrescere, la loro
influenza in campo finanziario ed economico, oltre che
religioso, nella misura in cui cercano di contrastare intrusioni
sciite.
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A questo punto un breve excursus storico sembra abbastanza
pertinente, quasi necessario.
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Nell’ ottobre 1912, per la cronaca, in ottemperanza al trattato
di Losanna che sanciva la pace fra Italia e Turchia (erede dell'Impero
Ottomano) ed a conclusione della confusa e alquanto strumentale
guerra iniziata un anno prima, le forze militari turche avevano
dovuto abbandonare i territori libici della Tripolitania e della
Cirenaica, prima divenuti “protettorato italiano” e poi “colonia
italiana”. Malgrado le rosee previsioni dei maggiorenti politici
e militari, la guerra italo turca si era articolata in una serie
di scontri che, rispetto ai piani elaborati a
Roma, risultarono parecchio più impegnativi del previsto. Si
dovettero affrontare, oltretutto, anche talune alterne vicende
militari,
il palese astio di una gran parte della popolazione, la crudele
guerriglia attivata da alcune fanatiche tribù dell’entroterra. La
repressione, come risaputo, fu altrettanto crudele, pur se
spregiudicatamente attuata dai rappresentati civili e militari
di un Paese ritenuto civile. E’ da dire che, in tale evenienza,
l’Italia di allora, malgrado le costanti e latenti difficoltà
funzionali dell’apparato messo in campo, di talune deficienze di
comando del pur consistente apparato militare, agì con
determinazione, sotto la guida di Giovanni Giolitti Capo del
Governo e Antonino Paternò Castello, Marchese di San Giuliano -
catanese - Ministro degli Esteri. Il 2 ottobre 1911, dopo
l’ultimatum del 28 settembre, i fanti da sbarco della Regia
Marina (appena 400) al comando del Capitano di vascello Umberto Cagni, presero terra in quel di Tripoli
e occuparono i punti
nevralgici della Città senza incontrare, tuttavia, significativa
resistenza. Dovettero attendere, però, sino al giorno 11
ottobre, perché giungesse, a bordo delle navi “America” e
“Verona” e con l’appoggio dell’incrociatore “Varese”, il 1°
scaglione (circa 4800 militari) del “Corpo di Spedizione”
affidato al comando del Generale Carlo Caneva. Corpo di
Spedizione che, successivamente, raggiunse la consistente forza
di 35.000 uomini, elevata poi addirittura a 100.000. Una schiacciante superiorità numerica e di
mezzi (anche navali e aerei) a fronte di circa 4000 militari
turchi e di una decina di migliaia di guerriglieri arabi
inquadrati, da ufficiali turchi, in bande autonome (le
cosiddette mehalla), cui s’erano aggiunti altri 3 000
guerriglieri delle tribù senussite dell’entroterra cirenaico (Giarabub,
Cufrà, Siwa), comandati dal già famoso Omar al-Mukhtar . (vedi
nota1) Il conflitto con la Turchia fu vinto, l’Italia s’insediò
stabilmente in Libia e nel Dodecanneso, ma sta di fatto che nel
periodo successivo alla fine della 1° guerra mondiale, i Governi
dell’epoca dovettero prendere atto che, frattanto, s’era perduto,
quasi del tutto, il controllo territoriale di vaste zone della
Tripolitania e della Cirenaica, specie di quelle
dell’entroterra, in gran parte desertiche. Dovette giungere,
tuttavia, il 1929 prima che fosse deciso di imprimere una
definitiva svolta alla riconquista dei territori libici,
sfuggiti al controllo italiano malgrado la brusca sterzata
impressa dal Conte Giuseppe Volpi, dal 1921 Governatore
della Libia. Quest’ultimo incarico fu poi assunto, per l’appunto
nel 1929, dal Generale Pietro Badoglio. Egli s’avvalse della
stretta collaborazione di Graziani (all’epoca non ancora
Generale) poi nominato, nel 1931, Vice Governatore. Sono ben
note le atrocità perpetrate, in sinergia, dall’apparato civile e
militare dipendente dai due “comandanti in campo”. Atrocità che
culminarono con la deportazione di decine di migliaia di libici
in inumani campi di concentramento, con l’impiccagione
pubblica di decine di presunti “ribelli”, con la dura
repressione nei confronti delle popolazioni incolpate di fornire
“assistenza” ai rivoltosi. Graziani, sul piano militare, vinse la partita oltre che
per il suo crudele e spregiudicato modo di condurre le
operazioni repressive, mercé l’impiego di nuovi mezzi
bellici (aerei, radio, autoblindo), impiegando anche squadroni di meharisti
e di crudeli
battaglioni di Ascari eritrei. Il tutto gli valse
l’appellativo di “macellaio del Fezzan” (“Italiani brava
gente?”, Angelo Del Boca, pag. 171).
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Oggi, all’inizio dell’anno 2020, la situazione esistente in
Libia assomiglia parecchio ad un vasto campo di sabbie mobili
che quotidianamente ingoia esseri umani, risorse territoriali,
ricchezza produttiva. Il tutto ebbe inizio nel febbraio del
2011, momento in cui divampò la guerra civile culminata il 20
ottobre 2011 con l’ ignominioso assassinio del pur colpevole Mu'ammar Gheddafi. Non è
male ricordare che tale assassinio avvenne, in pieno deserto, ad
opera di miliziani del Consiglio Nazionale di Transizione (CNT).
Fu l'atto finale dell’intervento di droni americani e di aerei
francesi che, rispettivamente, avevano individuato e
mitragliato, a sud di Sirte, la colonna di macchine che
comprendeva quella di
Gheddafi in fuga. Quest’ultimo, nel bene e nel male, aveva retto
le sorti della Libia per ben 42 anni e adesso, per mano dei suoi
pur beneficiati oppositori, stava subendo la sorte che spesso
tocca ai tiranni e ai despoti. A gli occhi dei suoi dichiarati
avversari e nemici, era colpevole d'avere usufruito
spavaldamente della ricchezza derivata dagli immensi giacimenti
di petrolio e gas rinvenuti negli anni ’50 in diverse zone
tripoline, cirenaiche e dell’entroterra libico. Era colpevole di
avere sfidato più volte le Nazioni dell’occidente (USA
compresi), anche aiutando e finanziando i terroristi dell’IRA
(Irish Repubblican Army - Esercito Repubblicano Irlandese), l’African
National Congress di Nelson Mandela, il tiranno torturatore
Bedel-Bokassa della Repubblica Centrafricana e l’ugandese
antisraeliano Amin Dada, per dire solo dei più noti. Era
colpevole di avere ideato utopistici progetti di confederalismo
arabo (Tunisia, Egitto, Ciad), rivelatisi affatto realizzabili.
Nel 1970, peraltro, aveva decretato l’indiscriminata
espulsione dalla Libia di tutti gli italiani e la totale
confisca dei loro beni e patrimoni, quale “riparazione” degli
abusi e dei “crimini di guerra” subiti durante il lungo periodo
di occupazione italiana.
Una linea di condotta, spesso aggressiva, bellicosa e
incoerente, che l’aveva reso inviso a molti dei Paesi Europei e
occidentali (USA compresi) e che solo dopo più di un trentennio
lascerà intravedere sparuti segni di apertura.
Vale la pena ricordare, a tal proposito, la controversa e
contestata accoglienza tributategli in Italia nel giugno 2009,
durante il 4° Governo Berlusconi.
Molti sostengono, alla fine, che la tragica situazione libica
odierna non si sarebbe determinata se Gheddafi fosse rimasto
ancora al centro del potere e non fosse stato disarcionato
mediante l’apporto - anche militare - fornito da alcuni Paesi
dell’Occidente (Francia, Usa, Regno Unito e, indirettamente,
dall’Italia attraverso la NATO). Si vede che al peggio non c’è
fine.
12 gennaio 2020
Luau
NOTE:
(1) -
Lo stesso che
negli anni successivi condurrà la resistenza contro gli italiani
e che, alla fine, dopo essere stato catturato, verrà
barbaramente impiccato in pubblica piazza su specifico ordine di
Badoglio. Il misfatto fu attribuito ai reparti dipendenti da
Graziani. (vedi www.ethosassociazione.com > ATTUALITA’ > “La
terza guerra libica".
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