24 febbraio 2017
LA
SINISTRA ITALIANA
La storia della sinistra italiana, dal dopoguerra in poi, è
lastricata più di spine, ( le diverse scissioni). che di rose, (
i tentativi mal riusciti di riaggregazione).
Due in particolare le più importanti: la scissione avvenuta nel
luglio del 1969 all’interno del PSIUP di Nenni con la creazione
del PSDI di Saragat, quella del 1991 con la creazione di
Rifondazione Comunista, primo Segretario Paolo Ferrero.
La prima avvenne in un particolare momento politico nel quale si
erano create serie condizioni di ingovernabilità e determinò un
lungo periodo di operosa attività al cosiddetto “Quadripartito”
formato dalla D.C., dal PSDI, dal PRI e dal PLI.
La seconda nel momento in cui il PCI cercava di sganciatosi da
Mosca una parte, non condividendo la nuova linea già tracciata
da Enrico Berlinguer che voleva portare il PCI verso una
condizione veramente democratica, creò Rifondazione Comunista.
La scissione operata da Saragat consentì ai governi che si sono
succeduti di realizzare il famoso “boom economico”.
Interessante la dichiarazione di Nenni che in una intervista
rilasciata aveva ammesso “ se Saragat avesse condotto la sua
battaglia riformista all’interno del PSIUP, la sua linea sarebbe
infine prevalsa”.
Mentre la seconda, pilotata da Bertinotti, contribuì a creare
fin dall’inizio della formazione del Governo Prodi delle
difficoltà, culminate con il ritiro dell’appoggio esterno,
mettendolo in crisi e sfiduciato alla Camera con 312 favorevoli
e 315 contrari.
Le numerose scissioni verificatesi nella sinistra italiana hanno
sempre avuto motivazioni ideologiche, non hanno mai considerato
l’effetto negativo di cui il cosiddetto proletariato ne ha
sempre pagato il maggior peso.
Oggi assistiamo ad una nuova scissione non causata da motivi
ideologici, ma soltanto da una resa dei conti.
La rottamazione programmata, più minacciata che realizzata, ha
prodotto un pessimo risultato: ha creato la netta
contrapposizione sul piano personale e una difficile gestione
all’interno della struttura del Partito.
Un Segretario, veramente autorevole e non autoritario, non
avrebbe dovuto tollerare la posizione di D’Alema, Bersani & c.
di organizzare, in occasione dell’ ultimo referendum in maniera
teatrale con gazebi, manifestazioni pubbliche contrarie alle
decisioni, anche se discutibili sia sul piano della forma che
nella sostanza, ma legittimamente deliberate dagli organi di
partito.
Senza vestire i panni del “rottamatore” Renzi avrebbe dovuto
immediatamente sospendere coloro i quali all’interno del partito
detenevano incarichi di grande responsabilità, deferirli ai
“probiviri” per una seria valutazione del loro comportamento ed
adottare i provvedimenti previsti dallo Statuto del partito.
Quanto accaduto successivamente avrebbe avuto un significato ben
diverso.
Avere seguito in diretta il dibattito effettuato nell’ultima
direzione del partito, dove i “traditori” assenti, e i loro
rappresentanti presenti, si sono comportati “ da vincitori” di
una battaglia combattuta contro le decisioni legittimamente
deliberate dal partito di appartenenza, è stato un momento più
buffo che drammatico.
La richiesta di stravolgere il significato di “ democrazia” da
parte della minoranza “ o il partito fa quello che chiediamo o
ci sarà la scissione” rappresenta la sintesi di una volontà che
travalica ogni logica per affermare una valutazione di vendetta.
Ma non tutta la minoranza ha scelto la via della scissione.
Cauti ed interessanti gli interventi di Cuperlo e Fassino.
Emiliano Presidente della Regione Puglia, ed Orlando Ministro
della Giustizia, dopo avere lungamente chiarito la loro
posizione di minoranza , hanno affermato di restare all’interno
del partito per continuare a rappresentare la sinistra e di
contrapporre le loro candidature a quella di Renzi in occasione
delle prossime primarie in vista del congresso.
Sembra che si siano ricordati di quanto dichiarò Nenni dopo la
scissione operata da Saragat
Speriamo bene.
angiolo alerci
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