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LA GRANDE SCOMMESSA CON LA NATURA


    I PERICOLI - LE PAURE


Democrito di Abdera, vissuto quattrocento anni prima di Cristo, può essere considerato, per molti versi, il precursore del lento e difficile processo scientifico che ha portato alla rivoluzionaria scoperta della "disintegrazione dell'atomo". Tale scoperta, che, prevalentemente, avrebbe dovuto essere un utile e positivo fattore di sviluppo, è stata impiegata, invece, anche per scopi bellici. Sta di fatto che il suo primo impiego, storicamente datato 6 agosto 1945 , utilizzò la tremenda energia da essa ricavabile, per apportare morte e distruzione. (1)
Democrito di Abdera, "agile spirito, lontano dal suo corpo, dimentico di campi, poderi e di tutto ciò che lo circonda", così lo descrive Orazio, trascorse la sua vita nell’osservazione e nello studio della natura. Il suo unico intento era quello di riuscire a chiarire, almeno, qualcuno dei tanti misteri da cui si sentiva attorniato, sperando di poter comprendere e interpretare "l'alfabeto dell'Universo". Dopo anni e anni di meditate riflessioni e analisi, riuscì ad enunciare, convalidandola attraverso ragionamenti di stringente logicità, la “teoria dell'atomismo” che, come facilmente s’intuisce, sta alla base di tutto ciò che esiste in natura, in campo minerale, vegetale o animale.
Partendo dalla teorica possibilità di "dividere" la materia in parti sempre più piccole, sino a farle divenire, in taluni casi, impalpabili, al pari della polvere, Democrito sostenne che si può procedere lungo una scala di grandezza decrescente che conduce a delle "particelle semplici non più divisibili”. Primo fra i geni umani, chiama tali particelle "atomi" , termine che in lingua greca sta appunto a significare "indivisibile". A fronte delle pressoché nulle possibilità sperimentali dell’epoca, il suo ingegno, però, s’era dovuto fermare all’ultima porta del mistero: la scissione dell’atomo. Esso è descritto da Democrito come "eterno, impenetrabile, diverso unicamente nella forma, posizione e movimento". Egli sostenne, ancora, che la unione o la divisione degli atomi comporta “la vita o la morte di ogni cosa”, poiché, essendo animate da una sorta di "moto perpetuo e spontaneo", rimbalzano, si urtano, s’integrano e si separano sino a far "nascere e perire infiniti mondi".
Enunciazione parecchio affascinante che porta a dedurre, specie se ci si rapporta alle limitate cognizioni di quei tempi (400 anni a.C.), come l’intelligenza speculativa dell’uomo sia insita nella sua stessa natura e come l’uso attento e costante della stessa, può portare a risultati inimmaginabili e immensamente positivi. Tuttavia, sono dovuti trascorrere oltre due millenni per giungere all’inoppugnabile risultato che anche l'atomo è "divisibile".
A quest’ultimo proposito, è utile aprire una breve parentesi e soffermarsi su qualcosa d’apparentemente futile ma che tale certamente non é.
La fertile mente di Giulio Verne, a metà ottocento, basandosi su precise osservazioni e intuizioni, più che sulla pura e semplice fantasia di scrittore (qualcuno ha azzardato l'ipotesi che avesse utilizzato nozioni trasmessegli da esseri evoluti provenienti da altri mondi), aveva preconizzato, oltre che l'avvento della tecnica spaziale, l'esistenza in natura di una inesauribile fonte di energia, utilizzabile per molteplici esigenze e in grado di alimentare speciali apparati, di vario tipo e di vario uso. Il “Capitan Nemo”, sfruttando opportunamente tale energia, era in grado, nel racconto di Verne, di far muovere il suo prodigioso “Nautilus”, un battello sottomarino dotato d’ogni comfort e di grandi spazi interni, oltre che attrezzato per fare fronte a qualsiasi evenienza. Quel fantastico sommergibile era in grado di solcare velocemente la vastità degli oceani navigando con sicurezza, anche negli abissi più profondi. L’origine stessa del nome, in uno alla particolareggiata descrizione delle multiformi "utilizzazioni" ideate e poste in essere dal suo progettista e realizzatore, fa risaltare uno scenario tanto scientificamente e tecnologicamente avanzato da anticipare di oltre un secolo un futuro ancora inesistente, certamente non rispecchiante quello contemporaneo dell'autore. In taluni passaggi e descrizioni, infatti, l’avvincente racconto assume contorni, prospettive e caratteristiche non accostabili ad alcuna realtà dell’epoca. E’ altresì impressionante come Verne, attraverso la carismatica figura di “Capitan Nemo”, metta reiteratamente in risalto, con incredibile preveggenza, i rischi connessi all'eventuale uso sconsiderato della strabiliante fonte di energia. L’apocalittica esplosione che segna la fine del "Nautilus" e della sua "base operativa", costruita nelle viscere di una “isola misteriosa", non può non rappresentare che una anticipata descrizione di ciò che potrebbe accadere, in futuro, al Pianeta Terra.
Le intuizioni e le riflessioni di Democrito di Abdera, pur se rispecchianti lo scenario di vita di tempi ben lontani, precorrono, tra fantasia e realtà, la non agevole strada del progresso scientifico riguardante la vastissima e complessa materia centrata sulla natura e sulle caratteristiche fisiche dell’atomo. Il percorso, chiaramente, è stato infinitamente lungo e irto di ostacoli. Solo negli anni trenta del secolo scorso è stato possibile intravedere il traguardo. Le pietre miliari di tale lento e difficile cammino si chiamano Galileo, Newton, Avogadro, Boyle, Lavoisier, Dalton, Roentgen, Becquerel, Curie, Rutherford, Einstein, Bohrì, ecc. ecc.
Le umili, limitate o grandiose scoperte e sperimentazioni di tanti insigni scienziati e ricercatori, sommandosi l'una all'altra nell’ambito del costante divenire di quella importante branca della scienza che è la fisica nucleare, hanno consentito, nel periodo che va dal 1930 al 1944, a Gamow, ad Heisenberg, ad Oppenheimer, a Fermi, a Teller, di cimentarsi nello "sprint finale”.
Giunge anche il citato 6 agosto 1945, il lunedì maledetto, il giorno in cui "Little boy" (2) distrugge Hiroshima, uccide in un sol colpo centinaia di migliaia di persone. Fra esse anche migliaia di bambini che dopo la vacanza domenicale s’apprestavano a tornare a scuola, fedeli in preghiera nei cinquantuno templi distrutti, lavoratori dediti all’attività d’ogni giorno, donne che s’accingevano alle incombenze del vivere quotidiano.
Un lampo accecante e l' "Enola Gay" (3) lascia alle sue spalle un pauroso uragano di fuoco, di aria bollente, di polveri radioattive sprigionatisi, alla incredibile velocità di 1300 km orari, da uno spaventoso e immenso fungo incandescente. In pochi istanti, lungo un raggio di 4 - 5 km dal "punto zero" dell'esplosione, fu distrutta ogni forma di vita mentre, ancora a 12 km. circa, l'impatto del vento infuocato, saturo di "raggi gamma e beta", ustionò e contaminò ogni essere vivente in maniera più o meno irreversibile.
Tuttavia, la sperimentazione e lo sviluppo della tecnica della “reazione nucleare” (in gergo scientifico chiamata "fissione", per distinguerla dalla "fusione" di cui si parlerà dopo) non va esclusivamente accomunata al concetto di morte e distruzione. L'enorme quantità di energia che viene liberata dal nucleo può essere controllata, convogliata e utilizzata anche per fini utili e produttivi, pur se in ogni caso i rischi rimangono elevatissimi. Infatti, a parte il già pericoloso e pressante problema delle scorie radioattive, vuoi per incuria, per semplice errore o per criminali attentati, potrebbero verificarsi disastrosi incidenti (come accaduto a Chernobyl, il 25 aprile 1986), tali da determinare, sia nelle zone interessate che in quelle limitrofe e anche lontane, un vero e proprio "olocausto nucleare".
In ragione di tali rischi sempre incombenti, peraltro non sufficientemente conosciuti o analizzati, é oggi immensa la responsabilità gravante sul mondo della scienza e sulle istituzioni governative degli Stati. Responsabilità originariamente scaturita dall’avere deciso, a suo tempo, di dare esecuzione ai piani di utilizzazione militare della mostruosa forza che si sprigiona dalla disintegrazione dell'atomo.
Francois Mauriac, il 10 agosto 1945, dopo avere appreso della catastrofe di Hiroshima e Nagasaki, su "Le Figarò" scrisse: -"il Mondo sa adesso che la materia potrà perire il giorno in cui, un uomo, forse un solo uomo, l'avrà deciso nella sua follia".
Robert Oppenheimer, il fisico tedesco "padre della bomba atomica" (era a capo del gruppo di scienziati che creò "Little boy"), avuto notizia dell'avvenuta esplosione dichiarò: -"oggi la scienza ha conosciuto il peccato, ...occorre impegnarsi perché una cosa simile non si ripeta mai più".
Un profondo senso d’orrore traspare da quelle parole, assurte a simbolo del tormento che, forse troppo tardi e comunque non a tutti i livelli, pervase il “gotha” di quella parte del variegato mondo della scienza che, dissennatamente, s’era posta al servizio del potere politico e militare.
A distanza di pochi anni gli "arsenali" delle Grandi Potenze erano già zeppi di ordigni nucleari di ogni specie e tipo, fra cui le micidiali bombe "H" (meglio conosciute come "bombe termonucleari") al cui confronto la "Little Boy" di Hiroshima è quasi un giocatolo da cimelio storico.
Negli anni 50, come già accennato, fu un nutrito manipolo di scienziati capitanati dal fisico Edward Teller a condurre a termine gli esperimenti per la costruzione della "bomba all'idrogeno", o "termonucleare" come dir si voglia, basata sul processo di "fusione" fra nuclei di "deuterio" e di "tritio", alla temperatura di 40 milioni di gradi centigradi ottenuta mediante l'impiego, in parallelo, di una normale bomba atomica.
Si é giunti a sperimentare bombe "H" dell'ordine di 100 megaton, pari cioè a 100 milioni di tonnellate di tritolo. Considerato che una bomba di appena 20 megaton può raggiungere un raggio di "totale distruzione" anche superiore ai 16 km., è ben facile dedurre che nei vari arsenali sparsi per il Mondo s’é accumulata una immensa e non quantificabile capacità distruttiva. Basti pensare che è come se ogni abitante della Terra disponesse in proprio di olltre 2/mila tonnellate di tritolo.
Lo sviluppo della missilistica, oltretutto, anche se ha il merito di avere portato l'uomo nello spazio e sulla Luna, ha enormemente accresciuto il potere offensivo delle armi a lunga gittata dotate di "testata nucleare multipla", capaci d’annientare, in un sol colpo, intere regioni, popolose città, milioni di individui.
La follia della "proliferazione delle armi nucleari”, dette anche di "terza generazione", rappresenta in prospettiva un grave pericolo per la sopravvivenza della stirpe umana e delle specie animali e vegetali.
A fronte di tale potenziale rischio, tanto evidente da tenere sotto scacco anche le più turbolente nazioni, tutto è affidato alla volontà di rispettare i "trattati" faticosamente sottoscritti fra i contrapposti schieramenti.
Se da una parte "la caduta del muro di Berlino" ha fatto intravedere la possibilità di instaurare una reale convivenza pacifica fra le grandi Potenze, reduci dallo stressante periodo della “guerra fredda”, dall'altra, per effetto degli insani esperimenti nucleari e batteriologici portati avanti in talune altre parti del Mondo (Francia, Cina, India, Pakistan, Israele, Iran, Corea del Nord) risulta accresciuta la tensione in parecchi zone calde del Globo mentre s’é allargato il "pool" di nazioni potenzialmente in grado di fare ricorso, in caso di guerra totale, ad ordigni nucleari. Peraltro, in funzione dello sfaldamento dell’ URSS che ha determinato la nascita di una miriade di Stati indipendenti, alcuni di essi, quasi senza rendersene conto, si sono venuti a trovare in possesso di pericolosissime armi nucleari pur non disponendo, per loro stessa ammissione, ne di personale tecnico sufficientemente specializzato, ne delle indispensabili risorse finanziarie occorrenti per la manutenzione e per la sicura custodia degli arsenali ereditati.
A ciò aggiungasi il continuo manifestarsi di numerosi focolai di guerra alimentati da fanatismi razziali e religiosi, da rivendicazioni territoriali, da spinte egemoniche di natura territoriale o economica e il quadro globale dei rischi fa presto ad assumere, ovviamente toni e caratteristiche veramente preoccupanti.
A fronte dei tanti conflitti, più o meno circoscritti o “dimenticati”, fiorisce, incontrollato, il nefasto commercio di armamenti modernissimi, sofisticati e costosissimi, approntati da industrie altamente specializzate (alcune a livello di “multinazionali”) quasi sempre non ubicate nei Paesi in cui, fra rivoluzioni, guerre, distruzioni e miseria, le popolazioni lottano per la sopravvivenza e devono sottostare a inaudite sofferenze. Potrebbe accadere, in funzione della criminale attività dei “mercanti di morte” o per il diretto coinvolgimento di qualcuna delle numerose Nazioni che detengono arsenali di missili tattici o strategici a testata nucleare, qualche irresponsabile possa decidere di fare ricorso alle armi atomiche.
Le "nazioni industrializzate" - fra cui purtroppo è da annoverare anche l'Italia -, tollerano, quando addirittura non l’incentivano per meschine finalità economiche, la spregevole lucrosa attività delle industrie degli armamenti che si traduce nel vorticoso giro di miliardi di dollari o di altre valute pregiate. Non si ha coscienza del fatto che le immense risorse da cui trae origine lo sviluppo, la costruzione e la commercializzazione di sofisticati strumenti di distruzione e di morte, potrebbero essere destinati, almeno in parte, a risolvere gli annosi problemi in cui si dibattono i Paesi sottosviluppati. Apportare ad essi un minimo di sviluppo economico e un certo grado di benessere sociale quasi certamente consentirebbe d’arginare molte spinte alla conflittualità e al terrorismo.
Riprendendo il discorso riguardante i multiformi rischi che sovrastano il Pianeta, non si può non soffermarsi sul fatto che, nel vasto campo dell'impiego dell'energia nucleare, il progressivo deterioramento dei delicati e complessi apparati, sta divenendo oltremodo allarmante e di difficile gestione.
Dovendo in ogni caso fare fronte alle ormai inderogabili esigenze energetiche, solo i recenti positivi esperimenti sulla "fusione nucleare a freddo" potrebbero divenire l’antidoto all'incombente rischio delle obsolete vecchie centrali nucleari. Il sistema della “fusione nucleare a freddo” permetterebbe oltretutto l’illimitata produzione di "energia pulita", esente dai rischi collaterali delle tristemente note radiazioni "alfa" e "beta". Pur tuttavia, i tempi per giungere all'applicazione pratica del nuovo metodo appaiono molto lunghi.
Ammesso che si possa giungere alla totale moratoria atomica, alla fantomatica smobilitazione degli arsenali militari ed alla sostituzione o chiusura delle vecchie centrali, non sarà facile neutralizzare le considerevoli scorte di uranio puro, di plutonio e di altri materiali fissili che vanno a sommarsi alle "scorie" già accumulate ed il cui difficile smaltimento è risaputamente proiettato in tempi lunghissimi. Tutto ciò fa correre il rischio d’innescare immediati o futuri disastrosi inquinamenti radioattivi, pericolosamente difficili da controllare e bloccare.
Il rischio maggiore é rappresentato dalla "fuga con accumulo nell'aria di radionuclidi", particelle cariche di radiazioni che per effetto delle correnti o per altre cause, possono diffondersi anche in zone molto lontane dall'epicentro di un eventuale incidente nucleare e quindi dalla fonte primaria dell'inquinamento.
Esse, assorbite dal terreno, contaminano attraverso le radici ogni varietà di vegetali, fra cui, ovviamente, quelli destinati alla alimentazione.
Conseguentemente, ove vengano superati determinati valori massimi di concentrazione, si determinano potenziali condizioni di alta pericolosità a carico di molte parti vitali dell'organismo umano che, in tal modo, viene ad essere assoggettato ad imprevedibili conseguenze. Esse possono manifestarsi, nelle più svariate forme, anche dopo molto tempo dall'avvenuto inconsapevole assorbimento

                                                                               A. Lucchese
 (1992) (2015)

NOTE:

1- L’uso delle prime bombe “atomiche”, sganciate su  Hiroschima e Nagasaki (Giappone), arrecò enormi distruzioni  e circa 360/mila morti.

2 -Nomignolo della prima "bomba atomica",  la cui  potenza  distruttiva è già di 20  kiloton,  pari  a 20 mila tonnellate  di  “trinitroluene”, alias “tritolo”.

3 -L'aereo B-29 americano  che sganciò, da una altezza di 9500 mt., la "bomba speciale" presa a bordo nella  base di Tinian, nell'arcipelago  delle Marianne.


 

 

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