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  LA GRANDE SCOMMESSA CON LA NATURA



Cap. 4° - L’ALTRO PERICOLO : LA CHIMICA



Si può ben dire che il settore della chimica abbia due volti.
Quello "buono" rispecchia le molte, importanti e valide scoperte in campo farmaceutico e, più in generale, nel vasto campo dei prodotti che servono a proteggere e migliorare il mondo vegetale ed animale arricchendone l'habitat o favorendone lo sviluppo.
Quello "pericoloso", di contro, riguarda tutta una miriade di prodotti chimici e di scorie altamente tossici, non facilmente smaltibili e potenzialmente dannosi sia per la vita degli esseri viventi (quindi anche per l'uomo) che per l'ambiente.
Pur senza dimenticare le meritorie conquiste scientifiche che hanno permesso l'utilizzazione su vasta scala di utilissimi prodotti, quali gli antibiotici, i vaccini, gli analgesici, i farmaci specifici per vari tipi di malattia, ecc., non può passare sotto silenzio il negativo impatto esercitato dall’industria chimica sull'ecosistema naturale. Impatto derivante dal massiccio impiego di una nutrita varietà di pesticidi, insetticidi, diserbanti oltre che di alcuni tipi di fertilizzanti intensivi.
Trattasi di tutta una serie di prodotti inquinanti i cui residui, attraverso il deflusso delle acque piovane o d’irrigazione, si trasferiscono nel sottosuolo, spesso in quantità rilevanti, contribuendo a contaminare, oltre che i territori interessati, anche le falde freatiche, insostituibile e vitale fonte d’approvvigionamento per i crescenti consumi di acqua potabile.
Particolarmente a rischio si sono rivelati la maggior parte dei prodotti che l'industria chimica ricava dalla manipolazione d’alcune materie prime derivate dal petrolio. Trattandosi di materiali in genere non recuperabili e non facilmente degradabili, oltre che per effetto dell'irrefrenabile e irrazionale sviluppo consumistico, sono emerse minacciose controindicazioni per la salute dell’uomo e gravose - forse irreversibili - conseguenze per l'ambiente.
Si pensi che occorrono da tre a dieci anni perché dei normalissimi contenitori o buste di plastica possano autonomamente degradarsi. Il polistirolo é addirittura “non degradabile” e, quindi, anche fra centinaia di anni potrebbe essere ancora presente e integro. La conseguenza più appariscente e che gli squallidi inceneritori - quando e dove esistono - o le nauseabonde discariche pubbliche sono stracolmi di ogni sorta di materiali in plastica. Gli impianti, pur se dotati d’adeguati depuratori, immettono nell'aria rilevanti quantità di gas tossici. Le discariche, nella migliore delle ipotesi, non possono fare altro che “seppellire” enormi quantitativi di residuati della famigerata plastica. E non sono poche le discariche che, in barba ad ogni disposizione di legge e con irresponsabile superficialità bruciano a cielo aperto montagne di spazzatura e quindi la plastica che ne forma la parte predominante. Non appare necessario soffermarsi sulle ben intuibili conseguenze, immediate o postergate, che tale criminoso comportamento determina.
Gli "anni 60", purtroppo, non potranno essere ricordati solo per il “miracolo economico” e per il grande successo della bella musica.
Il Prof. Giulio Natta, premio Nobel 1963 per la chimica, condusse a termine, in quegli anni, le ricerche sul "polipropilene isotattico" (moplen) e sul "meraklon" che ben presto invasero il mercato e divennero strumenti di base per molte esigenze industriali e commerciali.
Peraltro erano già stati immessi al consumo altri materiali aventi come base i cosiddetti "monomeri" e "polimeri", ottenuti dalla modificazione della struttura organica dei derivati del petrolio mediante l'impiego di opportuni catalizzatori.
Tali materiali (nylon, neoprene, polietilene, PVC, polistirolo ecc.), possiedono caratteristiche autonome. Per la maggior parte non sono riciclabili e non possono essere facilmente “degradati” o eliminati. L'industria chimica ha cercato di correre ai ripari avviando attente ricerche per l'ottenimento di un tipo di plastica rapidamente degradabile. I risultati, sono incoraggianti ma rimane il fatto che, degradabili o non, parecchie sostanze chimiche utilizzate per la lavorazione e per la produzione delle materie plastiche hanno un alto tasso di tossicità.
I consumatori, di contro, non sono sufficientemente informati sui rischi che l'uso indiscriminato della plastica comporta per la salute. Sta di fatto che una lunga serie di allarmanti violazioni, di mancati controlli e di trascuratezza nella manutenzione degli impianti - il tutto fonte di ripetuti drammatici risvolti - ha costellato e costella l’abnorme espansione dell’industria chimica.
Dal 1953 ad oggi non si contano più gli "incidenti" che hanno interessato tale settore industriale; incidenti che, in taluni casi, hanno sconvolto la vita d’intere comunità, oltre ad avere arrecato notevoli danni a vaste zone agricole e marittime.
E’ risaputo, oltretutto, quanto e come estesi tratti d’incontaminati litorali marini, di idilliaci corsi d'acqua e laghi, oltre che taluni invasi faticosamente e dispendiosamente realizzati, siano stati trasformati in vere e proprie cloache a cielo aperto ove, senza eccessivi scrupoli, vengono spesso scaricate le acque reflue delle fognature urbane in aggiunta a notevoli quantità di sostanze tossiche provenienti dalle varie lavorazioni industriali, artigianali e agricole.
Pur a fronte dei moderni impianti di depurazione, specie nei casi in cui l’acqua dolce o marina viene utilizzata per il raffreddamento degli impianti industriali, il pericolo non solo permane ma assume caratteristiche sempre più allarmanti.
Gravi fonti di rischio sono, viepiù, le centrali termoelettriche e termonucleari.
Ai vari fattori di rischio ambientale va aggiunto il cosiddetto "inquinamento termico", fenomeno altamente stressante che, all'uscita dell’acqua calda e dei vapori dalle condotte di scarico, determina un aumento di oltre 10 gradi della temperatura zonale. In tal modo si viene a modificare, spesso irreversibilmente, l'equilibrio biologico dell’ambiente interessato, con gravi conseguenze per la flora e per la fauna marina. Dagli esami di laboratorio, peraltro, é stato possibile accertare la presenza di considerevoli quantitativi di cromo esavalente, ammoniaca, fenoli, idrocarburi, cadmio, mercurio ed altri metalli pesanti.
Ciò comporta, ovviamente, negative variazioni nelle caratteristiche di base dell'acqua, quando non addirittura una alterazione della sua composizione chimica. Emergono, di riflesso, a parte i citati notevoli rischi per la salute dell'uomo, pesanti danni economici (specie in campo turistico) e notevoli disagi per gli insediamenti abitativi.
Non consola certamente il fatto che, sebbene con molto ritardo e quasi sempre dopo avere provocato irreparabili danni, l'industria chimica, in parecchi casi, ha dovuto ammettere di "avere errato nelle previsioni e negli effetti".
Non pochi prodotti di largo consumo sono stati radiati dalla catena produttiva e ritirati dal commercio. Vedi, ad esempio, il caso del diffusissimo "DDT" il cui uso e abuso è stato fonte della diminuzione, in alcuni frangenti sino al 75%, della funzione fotosintetica delle piante.
Tuttavia, parecchie regole di autocontrollo, già da tempo applicate dall'industria chimica in Inghilterra, Germania, Svezia, sono stati introdotti in Italia con molto ritardo e, talvolta, non sono tuttora doverosamente applicate. La carenza di adeguati controlli e di riscontri, a fronte delle normative vigenti, si fa particolarmente sentire nel settore dei "detersivisi duri", contenenti sostanze biologicamente resistenti e non facilmente degradabili.

Essi sono fortemente nocivi all'ambiente fluviale, lacustre e marino in quanto producono enormi accumuli di schiume, assorbono grossi quantitativi di ossigeno, contaminano vaste zone, ostacolano il normale ciclo riproduttivo della flora e della fauna. Senza dire che i fosfati, i polifosfati e i residui enzimatici (presenti anche nelle più recenti forme di detersivi biodegradabili) determinano la cosiddetta "eutrofizzazione", primaria causa dell'abnorme sviluppo, nei bassi fondali, di vari tipi di alghe (mucillagine), alcune delle quali hanno effetto tossico.
L'umanità, in definitiva, sta pagando a caro prezzo i "benefici" del tanto osannato "sviluppo industriale".
Le conseguenze più appariscenti sono:
- l'indiscriminato sfruttamento, quasi sempre non pianificato, delle risorse naturali e delle materie prime;
- le numerose malattie indotte dalla lavorazione e dall'uso di materiali a rischio; - il degrado ambientale, l'inquinamento terracqueo, i pericolosi fenomeni di malessere sociale.
Il quadro globale dell’inquinamento, quindi, evidenzia una forte tendenza al peggioramento e sono sempre più accese le polemiche, talvolta ai margini di vere proprie sollevazioni da parte delle popolazioni interessate.
Gli ambientalisti portano avanti con tenacia il principio “dello sviluppo compatibile" in relazione all’incalzare del pericolo dell’inquinamento terraqueo e atmosferico che sta sviluppando incontrollabili fenomeni di surriscaldamento del Pianeta e quindi dello stravolgimento delle regole che stanno alla base della salutare alternanza delle stagioni e dei fenomeni meteorologici . Senza dire della inderogabile necessità di far fronte alle decrescenti disponibilità delle tradizionali risorse naturali - notoriamente destinate ad esaurirsi - rapportate alla sempre maggiore richiesta di energia proveniente dall’iperbolico apparato industriale, dalla macroscopica espansione delle aree metropolitane oltre che dalla naturale conseguenza dell’incremento demografico mondiale.
L’incontenibile spinta verso la “necessità” di correre dietro all’accrescimento del P.I.L. (prodotto interno lordo) - accrescimento in gran parte legato ai discutibili “effetti” del consumismo di massa - è in linea d’arrivo sul traguardo di una vetta non più scalabile e può divenire, pertanto, la causa primaria di ingovernabili spinte recessive e può innescare una sorta di patogenesi di dannose crisi economiche globali. Magari a vantaggio dei soliti centri di potere speculativo facenti capo alle fameliche “multinazionali”.
Sono tutte motivazioni che, in base all’elaborazione dei dati attualmente disponibili, sono fra loro legate a filo doppio e fanno risaltare il poco tranquillizzante scenario di alcune proiezioni a "breve periodo".
Entro il "2020" la popolazione mondiale sarà quasi quadruplicata rispetto ai primi del ‘900 mentre le riserve di materie prime essenziali e alimentari tendono ad un proporzionale assottigliamento che potrebbe attestarsi, in un periodo non tanto lontano, attorno al 50% dell’attuale fabbisogno.
Ad esempio, il dato relativo alle teoriche occorrenze mondiali di "alimenti pro capite", segna una costante fase di crescita che, ineluttabilmente e in assenza di adeguate misure, è destinata ad evolversi nell’ambito di una curva ascensionale formata da valori che ben presto potrebbero raggiungere il 30% dell’odierna esigenza.
In definitiva, così continuando, le conseguenze della cattiva gestione delle risorse naturali, dell’ambiente, accrescendo sempre più l'inquinamento terracqueo ed atmosferico, sono avviate verso un pericoloso apice. Di contro, la situazione dell’economia globale sembra destinata a seguire le sorti della tendenziale diminuzione della “domanda di massa” legata alla insopportabile pressione fiscale (diretta e indiretta) e al diminuito potere d’acquisto di stipendi e salari, oltre che all’aumento del costo della vita e alle difficoltà di bilancio in cui versano quasi tutti gli Stati altamente industrializzati, costretti a fare i conti con stratosferici indebitamenti pubblici. Complice la falsa democrazia in gran parte di essi operante.
Le popolazioni delle Nazioni del cosiddetto “terzo mondo” (in gran parte ex coloniali e sottosviluppate) sono, di contro, martoriate dall’ereditata quanto diffusa miseria e registrano un reddito “pro - capite” del tutto miserevole.
Alla fine, i sostenitori dello “sviluppo ad ogni costo”, non potendo confutare alcuno dei verdetti espressi dalle cifre, sembra non riescano a fare altro che trincerarsi dietro l'astratto concetto della "scienza onnipotente", solo teoricamente in grado di trovare adeguate soluzioni ad ogni problema.
Divengono parecchio patetici e talvolta puri e semplici imbonitori e ciarlatani, quando asseriscono, non certo in buona fede, che tale "onnipotenza" é ampiamente dimostrata. Si guardano bene, però, dall’evidenziare e sottolineare le edonistiche finalità che, sino ad oggi, hanno mosso il discutibile comportamento della "scienza–industria speculativa" e quali sono, viceversa, i collaterali effetti di una terapia azzardata, per non dire sbagliata, oltre che i discutibili risultati ottenuti.
A parte ogni forviante diatriba, nessuno può contestare, tranne i soliti bacchettoni asserviti alle regole del profitto, al potere politico molto spesso corrotto e corruttibile, al dogmatismo dialettico del mondo economico e speculativo, come l'Umanità è stata portata ad imboccare una pericolosa strada che si snoda ai margini di profonde voragini e che non dispone di sufficienti protezioni.
Oltretutto, nel vastissimo campo del velleitario individualismo, ciascuno pensa, piuttosto egoisticamente, a proteggere con ogni mezzo il proprio “habitat”, talvolta scantonando anche nel campo della illegalità e magari danneggiando altri. Molti di costoro sconoscono o hanno dimenticato che la talpa di Kafka sta sempre lì ad ammonire che "si cerca rifugio nella propria tana ma, in realtà, non siamo che in una più grande tana, ....quella di tutti, .... la Terra” !
La trappola, quindi, è sempre lì, pronta a scattare !
I segnali d'allarme sono molti e chiari ma i responsabili (o irresponsabili) che guidano le sorti del Mondo manifestano pur sempre la tendenza a sottovalutarli, disattendendo l'inderogabile necessità di adottare, con immediatezza, opportune e concrete contromisure.
I "mass - media" a loro volta, più o meno asserviti ai centri di potere, puntano sulla redditizia cronaca dei disastri “annunciati”, sul reiterarsi dei danni ambientali, sulla bassezza della lotta politica che spesso porta alla corruzione, sulle diuturne manifestazioni d’arrogante abuso di potere, trascurando necessità di sensibilizzare l'opinione pubblica per indurla a cambiare rotta e a pretendere dai governanti fatti e non chiacchiere.
"Torrey Canyon" (Alaska), "Minamata" (Giappone), "Chernobyl" (Ucraina), "Montrose" (Scozia), "Seveso", "Montalto di Castro", "Haven" (Italia), sono solo alcuni dei nomi e dei luoghi diventati tristemente famosi per le sciagure ambientali ed ecologiche ad essi legate.
Noi siciliani, senza guardare tanto lontano, abbiamo le nostre "Priolo", "Melilli", "Milazzo", "Gela". E, risaputamente, non è cosa da poco.
E’ chiaro che tutto ciò contrasta apertamente con il pensiero di Karl Popper, filosofo pressoché contemporaneo, il quale ha maldestramente sostenuto, che "non abbiamo da lamentarci troppo, ....se questo non é il migliore dei Mondi possibile é certamente il migliore che è esistito sin'oggi".
A parte il gioco di parole, o la sottintesa ironia, il Sig. Popper, dall'alto della sua soggettiva visuale filosofica, a quale Mondo “migliore” si riferisce?
Non s’è probabilmente accorto d’avere disinvoltamente insultato quella moltitudine di uomini che, sparsi nei cinque continenti, sono quotidianamente costretti a lottare contro stenti, epidemie, fame, guerre fratricide, genocidi razziali, politici e religiosi. Non s’è probabilmente ricordato dei milioni di esseri umani cui la farisaica "civiltà" (?) di chi la pensa come lui, magari ragionando nell’ambito della stessa "frequenza d’onda”, ha negato e continua a negare il paritetico diritto ad una vita accettabile e dignitosa. Non s’è probabilmente ricordato dei milioni di uomini che sono destinatari solo di commiserazione, di ipocriti appelli alla solidarietà, d’insufficienti e discontinue elemosine.
Ogni giorno muoiono centinaia di migliaia di esseri umani immolati sull'altare dell’intangibile benessere altrui (spesso immeritatamente o truffaldinamente acquisito), dello sfarzo ostentato dalle conservatrici e anacronistiche classi politiche, religiose e abbienti delle Nazioni cosiddette “progredite”, oltre che dal tanto discusso potere economico aduso a tramare nell’ombra i destini del Mondo.
Ci si trova al cospetto di una minoranza, ben pasciuta ed ingorda (poco più del 20 % della popolazione mondiale abita nei “paesi progrediti” che gestiscono e sfruttano circa l'85% delle risorse globali del Pianeta) che non riesce a rendersi conto come la marea montante dei cosiddetti “popoli sottosviluppati”, sfuggendo ad ogni controllo, potrebbe travolgere ogni argine, potrebbe sconvolgere le attuali strutture nazionali, potrebbe innescare violenze d’ogni tipo, mettendo in forse l'avvenire stesso del Pianeta.
Uno scenario apocalittico che tanti illustri uomini politici e di governo, oltre che tanti eccellentissimi "pastori d’anime", dimostrano continuamente, ove ce ne fosse ancora bisogno, di non sapere valutare realisticamente.
Il toccasana per tutto ciò potrebbe essere solo una rapida e sicura inversione di rotta, pilotata da uomini ed istituzioni molto più capaci e responsabili di quelli che attualmente stanno al timone.
Certamente non possono farlo i variegati componenti dei folcloristici e dispendiosi "G.7" o “G8”, dei vari consessi chiamati “O.N.U.”, “F.A.O”, “O.S.C.E.”, “O.C.S.E.”, “C.O.E.”, F.M.I. (Fondo monetario internazionale), ecc. ecc.
Senza dire dei multiformi organismi - spesso disinvoltamente parassitari - di stampo nazionale e locale che ascendono al considerevole numero di circa 150.
Non sarebbe male che i boriosi governanti (e, in genere, la classe politico-istituzionale) di questo mal gestito Pianeta avessero il coraggio d’indire le loro periodiche affollate assise nel Kossovo, in Ruanda, in Mozambico, in Niger, in Somalia, in Afganistan, nel Kurdistan, piuttosto che nei tradizionali e aristocratici luoghi del potere istituzionale.
Ovviamente si tengono ben lontani dalle zone calde e pericolose del Pianeta in cui giornalmente la gente muore, in cui la miseria regna sovrana, in cui le distruzioni e le violenze azzerano ogni vivere civile, in cui delinquenziali caste dirigenti dettano legge.
Il riferimento, chiaramente, è indirizzato a quelle zone funestate da sanguinosi conflitti “taciuti o dimenticate”, funesti palcoscenici dei signori della guerra oltre che ambiti “mercati” dei Paesi produttori di armi (USA, RUSSIA, CINA, in testa) fra cui, purtroppo, è da annoverare l’Italia, anche attraverso qualche spregiudicata azienda a partecipazione statale.
Non é dato sperare tuttavia, neppure fantasiosamente, che cotanto cinici personaggi di neroniana memoria sappiano rinunciare al formalismo inconcludente, alle ridicole foto di gruppo, ai “colloqui riservati”, alle barbose conferenze stampa, ai luculliani banchetti o ai faraonici spettacoli conclusivi cui, chissà in forza di quale misterioso diritto acquisito, sono da tempo adusi.
Costoro si muovono nell’ambito di insulsi "scenari da operetta" e sono continuativamente attorniati da compunti "lacchè" - attenti solo al rispetto di un cerimoniale da "decadente impero" -, da centurie di “gorilla”, da nugoli di apprendisti "portaborse" e servizievoli “galoppini” che, ostentando una palese goffaggine, si muovono attorno ai “provvisori” protagonisti del costoso quanto inutile spettacolo.
Alla fine, in ogni caso, il salatissimo "conto" viene posto a carico delle rispettive collettività, magari già costrette a stringere la cinghia in forza del più recente, sicuramente non ultimo, dei ricorrenti "buchi" degli allegri bilanci pubblici, autentici colabrodo.
Diversamente dal finale di ogni commedia che si rispetti, non v’è ombra di lieto fine ma, anzi, si può ben dire che al "danno" s’accompagna la "beffa" del tutto come sempre, del tutto come prima.
Rimane dimostrato, in conclusione, l'assunto secondo cui i sofismi degli scienziati, dei politici, dei gran sacerdoti non sono che autentiche mine vaganti, insidiosamente fluttuanti lungo le rotte della pace, della giustizia, della verità.
Mine vaganti che sono pronte a deflagrare, apportando il loro potenziale potere distruttivo, sulle chiglie degli affollati "traghetti" che, recando a bordo ignari e fiduciosi passeggeri, fanno la spola fra i due principali capolinea della vita, la nascita e la morte.


                                                                              A. Lucchese
(1992) (2015)
 

  

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