LA GRANDE
SCOMMESSA CON LA NATURA
Introduzione:
La
CLIMATOLOGIA
I fenomeni meteorologici e climatologici non sono governati dal
caso. Ogni mutamento segue precisi schemi di "causa ed effetto"
che, oltre ad interessare il "breve periodo" degli anni
correnti, determinano fenomenologie destinate a produrre
sostanziali ripercussioni anche nei decenni e nei secoli a
venire.
Malgrado le tesi contrarie di parecchi scienziati legati (per
non dire “asserviti”) al potere economico industriale, dovrebbe
essere chiaro a tutti che il reiterarsi di inverni
particolarmente gelidi, di primavere spesso inesistenti, di
estati eccessivamente calde, di autunni anomali, non è più un
fatto casuale o sporadico, spiegabile con il semplicistico
riferimento ai "cicli", alle "statistiche" o ai "ricordi
storici" .
La scienza, tuttavia, sta compiendo ogni sforzo per studiare e
analizzare i fenomeni inconsueti che, con sempre maggiore
frequenza, si formano nella troposfera, pur se eventuali
interventi correttivi appaiono, almeno per ora, solo mere
ipotesi. Sino a quando non verranno adottati globali e drastici
provvedimenti (ma chi dovrebbe adottarli ?) sembra ben difficile
che si possa giungere ad imbrigliare e controllare le cause
degli squilibri climatici, malgrado un po' tutti concordino nel
ritenere indifferibile il prevenire l’aggravarsi della
situazione, al fine di evitare disastrose conseguenze per
l'ecosistema terracqueo.
Le anomalie e i guasti che si stanno verificando negli strati
più bassi dell'atmosfera, influiscono sulla formazione
d’imponenti e sempre più frequenti fenomeni meteorologici che si
trasformano in violenti scontri di correnti d’aria calda o
fredda e, quindi, in impetuosi venti, in torrenziali piogge, in
disastrose tempeste e mareggiate. Il tutto con l’ovvio risultato
di scombussolare il normale andamento delle temperature e dei
cicli stagionali.
Si sa che i raggi solari giungono quasi perpendicolarmente
sull'equatore, obliqui sui poli e in maniera diversificata, a
seconda dei periodi dell'anno, sulle altre zone del Pianeta. I
tropici, quindi, risultano più caldi, i poli più freddi, le
altre zone più o meno temperate. Tutto sembra piuttosto semplice
ma non è così. Esistono tante altre variabili da far assurgere
la scienza meteorologica a materia parecchio complessa e
delicata. Sarebbe prolisso, in questa sede, scendere nei
dettagli connessi all’influenza delle "macchie solari", o
all'accentuarsi dell’inclinazione dell'asse terrestre (in
41/mila anni ha subito una variazione di 2,6 gradi) che
determina il periodico assestamento delle fasce tropicali,
temperate e fredde. Anche l'orbita della Terra attorno al sole
non appare stabile e tende, lentamente, ad accorciarsi ed a
divenire meno ellittica.
La sommatoria delle citate variabili, certamente non
trascurabili, influisce sugli aspetti ciclici del clima di
talune aree continentali e può avere effetti straordinari
constatabili nella media durata, come, ad esempio, le "piccole
glaciazioni", verificatesi attorno al 1400 e tra il 1600 e 1800,
che modificarono sensibilmente l'ambiente di vaste zone, fra cui
la Groenlandia, il nord della Scozia e i Paesi Scandinavi.
Lo studio cronologico dei fenomeni climatologici, con
riferimento ai vari periodi degli ultimi millenni, pone in
risalto la costante, seppure lenta, modificazione del clima ed
evidenzia le variazioni dei dati segnaletici dei più rilevanti
fenomeni meteorologici presi in esame, anche quelli di natura
monsonica o ciclonica, elaborati per zona geografica, frequenza
e intensità.
Purtroppo tale modificazione ha assunto, nell'ultima metà del
nostro secolo, caratteristiche preoccupanti e interrogative che
evidenziano, peraltro, fattori distortivi non connessi con le
"macchie solari", con la rotazione e con l'orbita terrestre che,
alla lunga, interferiscono solo nel quadro del normale
avvicendarsi dei cicli stagionali.
Le condizioni fisiche e chimiche dell’atmosfera, invece, si
stanno inesorabilmente deteriorando sotto la spinta di ben
diverse e gravi incidenze esterne, in gran parte attribuibili
all'uso dissennato che l'uomo sta facendo delle risorse naturali
ed energetiche della Terra, oltre che all’incontrollata tendenza
al disboscamento, alla abnorme diffusione di tecnologie
inquinanti (auto, frigoriferi, condizionatori, bombolette
nebulizzanti, ecc.). Particolarmente rischiosi appaiono,
inoltre, taluni settori dell’industria chimica, specie quelli
riferibili ad alcuni tipi di fertilizzanti e di
anticrittogamici, nonché quelli concernenti la vasta gamma di
monomeri e polimeri derivati dal petrolio, comunemente
denominati "elementi plastici".
Il macroscopico apparato industriale dei paesi industrializzati
assorbe, direttamente o indirettamente, oltre il 60% del totale
dell’energia elettrica prodotta nell’intero paniera. Tale
energia, come è noto, in gran parte proviene dalle grandi
centrali termoelettriche alimentate a carbone, a gas naturali,
ad oli pesanti, o da altri derivati dal petrolio. Sono poche le
centrali idroelettriche rimaste in funzione e sono ancora
parecchio sparute quelle eoliche o a pannelli solari.
L’energia ricavata dall’atomo, a sua volta, rappresenta un
rischio a se stante e non è questa la sede per discuterne.
Le ciminiere degli stabilimenti industriali e delle centrali
termiche riversano nell'atmosfera una enorme quantità di gas
venefici che vanno ad aggiungersi, giornalmente, a quelli
originati dagli impianti di riscaldamento domestici e dalla
combustione dei carburanti destinati ad azionare i motori di
aerei, navi, auto e moto, che giorno e notte sciamano, a
miliardi, in ogni parte del Globo.
E' risaputo che la combustione di qualsiasi tipo di materiale
crea calore, assorbe ossigeno, forma notevoli quantitativi di
"ANIDRIDE CARBONICA" (CO2) e di altri gas nocivi, fra cui gli
ossidi di zolfo e di azoto non facilmente degradabili.
In base ad inconfutabili osservazioni, che non possono essere
messe in forse da prezzolate smentite di alcuni pseudo
scienziati al servizio del potere industriale e politico, la
massiccia ed incontrollata immissione nell'atmosfera di anidride
carbonica e solforosa, di molecole di metano, di
clorofluorocarburi (freon), ecc. ecc., starebbe lentamente
sconvolgendo la composizione stessa dell'atmosfera,
compromettendo la sua insostituibile funzione di difesa della
vita organica del Pianeta.
La Terra si trova oggi ad essere avvolta da una coltre
caliginosa che, pur rimanendo permeabile ai caldi raggi solari,
blocca le radiazioni termiche riflesse dal suolo dando luogo al
cosiddetto "effetto serra".
Il connesso surriscaldamento crea vere e proprie sacche d’aria
calda inquinata che vengono compresse fra la crosta terrestre e
l'atmosfera e che resistono, anche per diverse settimane,
all'impatto delle correnti fredde provenienti dagli emisferi
polari. Quando poi si sfaldano, più o meno improvvisamente,
lasciano libero spazio a queste ultime e formano ampie zone di
“basse pressioni” che generano uragani, temporali, intense e
perduranti precipitazioni, venti ciclonici. Le conseguenti
brusche escursioni termiche determinano, indipendentemente dai
cicli stagionali, l'alternarsi di temperature massime e minime
parecchio discontinue e divergenti dalle medie periodali.
Anche il rinomato e benefico "anticiclone delle Azzorre",
stabilizzatore delle stagioni calde, vive periodi difficili e
non riesce più, come prima, a spostarsi con regolarità per
giungere, puntuale, agli appuntamenti primaverili ed estivi con
le zone della fascia temperata, fra cui il nostro Mediterraneo.
L'immissione nell'atmosfera di enormi quantità di gas nocivi non
rappresenta solo una minaccia alla stabilità del clima. Fra i
tanti malanni indotti v’è anche il fenomeno delle cosiddette
"piogge acide" (il cui fattore "pH" spesso supera il minimo
accettabile di 5,6) che riportano a terra pericolosi veleni,
quali l'acido nitrico e solforoso.
E’ stato accertato che, dal 1800 ad oggi, la percentuale di
anidride carbonica presente nell'atmosfera è cresciuta di circa
il 12 %. Tale maggiore presenza, pur se apparentemente minima, è
da considerare, invece, eccessiva e altamente rischiosa, poiché
solo in minima parte riesce ad essere compensata da un maggiore
assorbimento naturale attraverso la fotosintesi delle piante
(che la utilizza scomponendola in ossigeno e carbonio), o
attraverso le varie specie di protozoi che vivono nell'ambiente
marino (i "foraminiferi", cioè le voncole, le cozze, le ostriche
ecc., i cosiddetti “frutti di mare”) che se ne servono per la
creazione e lo sviluppo del proprio guscio.
Oltretutto, per effetto delle varie forme di inquinamento, la
quantità di anidride carbonica CO2 disciolta negli oceani ha
superato i limiti di guardia e contrasta pericolosamente
l'automatismo dell'interscambio con l'atmosfera. Dall'epoca
della “era paleozoica”, nel corso della quale ebbe inizio il
ciclo evolutivo della vita sul Pianeta, il mare e le piante non
solo sono stati sempre in grado di assorbire le eccedenze di CO2
dell'atmosfera, ma sono state addirittura in grado d’esercitare
su di essa un vero e proprio controllo. Oggi non è più così ed
il guaio maggiore è rappresentato dal fatto che il clima reale
(non quello riportato dalle statistiche) tende ad assumere
caratteristiche continuamente mutevoli, in un quadro globale non
facilmente ipotizzabile.
La temperatura media terrestre, negli ultimi millenni è salita
di alcuni gradi centigradi ed il Pianeta risulta avviato verso
una fase d’ulteriore riscaldamento, la cui tendenza non sembra
destinata ad arrestarsi e tanto meno a regredire !
Anche gli oceani stanno subendo le conseguenze dell'aumento
delle temperature medie atmosferiche. Le correnti sottomarine,
che alla pari di immensi fiumi viaggiano da una parte all'altra
degli oceani, non riescono più ad assolvere regolarmente alla
loro funzione naturale di compensazione termica (alla stregua di
un termostato) fra le zone calde e quelle fredde del Pianeta.
Conseguenza immediata appare quella del progressivo ed
allarmante scioglimento dei millenari ghiacci delle calotte
polari.
I dati riportati dai sottomarini nucleari, capaci di penetrare e
navigare sotto la banchisa, anche nel buio degli abissi, hanno
svelato un segreto che invano gli studiosi avevano cercato di
carpire attraverso lo studio in superficie degli oceani. Hanno
inconfutabilmente rivelato che "l'effetto serra" sta facendo
avvertire il proprio nefasto influsso anche in quei luoghi
apparentemente inaccessibili. Le calotte polari, per via delle
correnti sottomarine che giungono molto più tiepide rispetto al
passato, si sono assottigliate mediamente del 15 % . Anche
recentemente sono stati lanciati ulteriori e pressanti allarmi,
specie in relazione a vere e proprie isole di ghiaccio che si
staccano dalle zone polari. E’ stato accertato, in base alle
rilevazioni dei satelliti geostazionari, che la temperatura del
mare aumenta mediamente di un decimo di grado all'anno. In un
tempo non lontano il livello degli oceani e quindi dei mari
interni (come il Mediterraneo) potrebbe alzarsi di parecchi
metri inondando molte zone costiere intensamente abitate quali,
ad esempio, parte dei territori su cui sorgono Londra,
Amsterdam, Venezia, New York, Boston, Singapore, Sydney, per
citare solo alcune Città fra le più conosciute.
Già parecchi anni fa, tale scenario è stato prospettato dai
periodici rapporti della “PROTECTION AGENCY” (protezione civile
degli Stati Uniti) e solo qualche prezzolato "consigliere
scientifico" del potere politico - industriale, ovviamente in
mala fede, ha avuto il coraggio di contestarli.
Nel quadro delle fin troppo prevedibili conseguenze, qualcuno ha
provato anche a raffigurare come apparirebbero i "sette colli"
di Roma nel momento in cui il mare, sommergendo parte della zona
costiera laziale, giungerebbe fin sotto il Vaticano !
Ma non è finita qui. Fra i rischi e le paure non si può
dimenticare l'angoscioso sebbene fluttuante problema del "BUCO
DELL'OZONO". Esso consiste, come si sa, in una lacerazione della
fascia di ozono presente nella stratosfera e che è destinata a
difendere la Terra dai pericolosi raggi ultravioletti,
provenienti dal Sole assieme alla luce ed al calore.
E’ risaputo che tali raggi possono apportare conseguenze gravi
alla salute dell'uomo (tumori, malattie della pelle, disturbi
alla vista, indebolimento delle difese immunitarie
dell'organismo, ecc.). Il pericoloso fenomeno del “buco
dell’ozono” viene in gran parte determinato dall'eccesso dei già
citati "clorofluorocarburi" che salgono dalla superficie
terrestre e tendono a corrodere e lacerare lo scudo di ozono,
dopo averlo gradatamente assottigliato. Esso dovrebbe avere,
nella norma, uno spessore di 500 "Dobson" (unità di misura dello
spessore totale del gas ozono nella stratosfera).
Quando, nel 1987, è stata accertata la lacerazione sopra la
calotta del Polo Sud lo spessore complessivo s’era ridotto ad
appena 110 “Dobson”, poi è risalito a 120. Il "buco", da quando
per la prima volta è stato scoperto il danno, ha raggiunto, nel
1991, l'ampiezza massima, pur a fronte di una oscillazione
dovuta, in periodi approssimativamente biennali, alla auto
rigenerazione di tale benefico gas. Negli ultimi anni,
purtroppo, tale oscillazione e risultata inferiore ai valori
normali e, quindi, lo strappo tende a ricucirsi con difficoltà.
S’è dovuto constatare, inoltre, che la carenza di ozono non si
manifesta solo alle normali altezze di 40 - 45 km. di quota, ma
s’è constatata la sua rarefazione anche a quote più basse, fra
15 e 25 km, il che, ovviamente, comporta un maggiore rischio.
In conclusione, in aggiunta al cloro che si genera
spontaneamente in natura, l'uomo consuma troppe sostanze che
producono eccessi di tale nocivo gas. Allo stato gassoso esso
tende, oltretutto, ad accumularsi sopra le calotte polari e,
data la grande quantità, il ricambio d'aria non riesce più a
disperderlo. Impatta, quindi, violentemente con l'ozono,
determinando delle reazioni chimiche che, come detto, portano
alla rarefazione di quest’ultimo. I raggi ultravioletti, a lungo
andare, riescono a filtrare con maggiore facilità e colpiscono
superfici sempre più vaste del Pianeta. Non solo al Polo Sud,
ove, come detto, s’è determinata la lacerazione di maggiore
ampiezza e ove, conseguentemente, le radiazioni
ultraviolette sono più che raddoppiate. Il cloro trasportato
dalle correnti di aria fredda ha già cominciato ad erodere
l'ozono ad ogni latitudine, anche lungo la fascia atmosferica
dell'emisfero settentrionale.
L'eccesso di “ultravioletti”, quotidianamente irradiati,
potrebbe mettere in pericolo oltre che la vita stessa dell'uomo
anche i raccolti e l'intera catena alimentare marina.
Non si può sorvolare, infine, sugli effetti dannosi dei
ricorrenti periodi di “lunga siccità“ che possono portare alla
“desertificazione” di vaste aree temperate e sul fenomeno della
cosiddetta "pioggia acida". Molto sinteticamente, diciamo che
l'uno e l'altro fenomeno sono parimenti indotti dal descritto
“effetto serra”. Per l'alta pressione, talvolta stagnante anche
per mesi, le nuvole non riescono a trasformare subito in pioggia
la condensazione di particelle di vapore e di giaccio, di cui
sono composte. Durante il loro cammino in quota, s’impregnano
dei gas inquinanti provenienti dalla crosta terrestre e, quando
alfine le turbolenze provocate dall’abbassamento di pressione,
determinano la pioggia, quest'ultima trascina con se tutte
quelle sostanze acide e corrosive disciolte all'interno delle
stesse.
Pur rimanendo salvo, in tal modo, il noto principio scientifico
che “in natura nulla si crea e nulla si distrugge”, le
conseguenze, per la vegetazione in genere e per le colture in
particolare, diventano ovviamente preoccupanti.
Ironia della sorte, quindi, l'uomo diviene, contemporaneamente,
causa e vittima del proprio operato.
Anche la carta ricavata dalla cellulosa proveniente dalle piante
che hanno assorbito tale elevato grado di acidità, potrebbe, ad
esempio, disintegrarsi solo nell'arco di un cinquantennio e
trasformare in polvere, così, la recente memoria storica,
descrittiva e artistica che il mondo ritiene d’avere affidata
alle pubblicazioni e ai libri.
A. Lucchese
(1992) (2015)
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