LA POLVERIERA
UCRAINA
Un po’ tutte le Nazioni, pur se non direttamente interessate,
sono preoccupate per gli sviluppi dell’esplosiva situazione
venutasi a creare in quell’angolo estremo dell’Europa orientale
che include i territori di confine fra Federazione Russa e
Ucraina, sino al 1991 circa facenti parte della disciolta URSS
post staliniana.
La forte tensione, già da tempo esistente, s’è parecchio
aggravata in conseguenza della imprudente richiesta dell'Ucraina
(a fronte di qualche riprovevole sollecitazione esterna?) di
entrare nella NATO (North Atlantic Treaty Organization), nell'
ambito della quale gli Stati Uniti, risaputamente, hanno una
posizione di predominio e ne determinano le linee guida e il
modus operandi.
La procedura di adesione, avviata nel 2005, è in avanzata fase
conclusiva stante che il MAP (Membership Action Plan - Piano
d’azione per l’adesione) è stato definito nel primo semestre
2021 e il Parlamento Ucraino lo ha approvato nel gennaio 2022.
Manca solo il nulla osta unanime dei Paesi NATO e, frattanto, le
varie dichiarazioni al riguardo lasciano presumere che nessuno
degli stessi, pur se nolente, si comporterà dall’essere
ufficialmente ubbidiente al volere di Washington e men che meno
eserciterà il diritto di veto.
E’ evidente che la confinante Russia che già con l’invasione e
l’annessione della Crimea (marzo 2014) aveva chiaramente
manifestato la propria opposizione all’ingerenza della NATO in
quella zona, non è disponibile ad accettare il fatto che
quest’ultima si attesti militarmente ai suoi confini.
Il professore Ted Galen Carpenter, collaboratore di primo piano
della rivista The National Interest, ha scritto tempo fa che “…
l’invasione della Crimea da parte della Russia nel 2014 è stata
una risposta diretta all’ingerenza occidentale in Ucraina per
creare un cliente politico, economico e militare ostile alla
Russia. I russi temevano la perdita della fondamentale base
navale di Sebastopoli …. che in pochi anni sarebbe potuta
diventare una minacciosa base Nato”.
Ove l’adesione della Ucraina alla NATO fosse stata già
perfezionata, è ben facile comprendere come ciò avrebbe
comportato, nel caso di una eventuale azione militare russa nei
territori oggi sotto sovranità ucraina - pur se in appoggio ai
movimenti secessionisti filo russi ivi esistenti - l’intervento
diretto dei Paesi aderenti, ai sensi dell'art. 5 del Trattato.
Ciò, prevedibilmente, determinando altresì il coinvolgimento
USA, farebbe correre il rischio di una catastrofica guerra
mondiale, dagli sviluppi imprevedibili tenuto conto del
potenziale nucleare a disposizione dei due schieramenti.
In pochi, però, si soffermano sulle decotte e superate
motivazioni che, in occidente, seguitano a presentare la Russia
come un “tradizionale” potenziale nemico con cui, in un clima di
perenne “guerra fredda”, è parecchio recondita la possibilità di
un pacifico dialogo di convivenza e di reciproca accettazione.
Malgrado i trascorsi staliniani e post staliniani non sembra che
sia così.
Non è difficile,tuttavia, comprendere il perché di un tale stato
di cose.
Sono in gioco, dall’una e dall’altra parte, considerazioni di
egemonico predominio sulle rispettive aree di influenza,
consistenti interessi economici, la gara verso sempre più
impegnativi traguardi di sviluppo tecnologico (specie in campo
militare), l’ambizione al monopolio delle risorse naturali, sia
in campo estrattivo che alimentare, lo sviluppo delle rispettive
potenzialità industriali.
Per quanto riguarda la situazione geopolitica della vastissima
area del Don, del Mar Nero e di accesso al Caucaso, è chiaro che
l’Ucraina da quando, dopo un burrascoso e cruento itinere
storico durato parecchi lustri, è divenuta uno Stato
indipendente (1991), ha assunto, di fatto, una affatto
trascurabile posizione strategica e un cruciale peso politico.
In atto, oltretutto, è fortemente impegnata, dall’aprile 2014,
in vari conflitti armati con i gruppi filo russi del Donbass,
particolarmente nelle regioni di Donetsk, Lugansk e Kharkiv che
chiedono a gran voce di tornare a fare parte della attuale
Federazione Russa.
In merito alle problematiche di cui sopra, talune Agenzie di
informazioni hanno svolto adeguati sondaggi da cui è emerso che
solo il 34% della popolazione ucraina è propensa ad aderire alla
NATO, mentre il 44% è contrario, ritenendo un simile
atteggiamento provocatorio nei confronti della confinante
Russia. Nell'Ucraina orientale e meridionale, peraltro,
esistendo ivi una massiccia presenza “filo russa”, soltanto il
14% della popolazione è d'accordo con un'eventuale adesione alla
NATO, mentre il 67%, ad est, e il 52% a sud è contraria. E'
considerata, anzi, una iniziativa errata.
Nel quadro della già complicata e per molti versi difficile
situazione in atto esistente ai confini della Ucraina, s’è
peraltro innescata la pesante interferenza degli Stati Uniti
che, per motivazioni tutt’altro che trasparenti e lineari, si
sono apertamente schierati dalla parte dell'attuale governo
ucraino filo europeista di Volodymyr Zelens’kvi, nel maggio 2019
succeduto a quello filo russo di Petro Poroshenko.
Una sorta di braccio di ferro s’è venuto ad instaurare, quindi,
fra la Federazione Russa di Putin, da una parte, e l’ USA di
Biden - in tandem con NATO di Jens Stoltenberg - dall’altra.
Questo, sinteticamente, è il preoccupante scenario europeo in
cui, dopo circa 76 anni di pace, interrotta solo dai tragici
scontri bellici che insanguinarono, dal 1991 al 2003, la
Jugoslavia post Tito, potrebbe deflagrare in uno spaventoso
conflitto armato di livello mondiale.
Il documento istitutivo della NATO (il cosiddetto Patto
Atlantico), sottoscritto a Washington il 4 aprile 1949, aveva ed
ha caratteristiche di natura prettamente difensiva.
Paesi fondatori furono Belgio, Canada, Danimarca, Francia,
Islanda, Italia, Lussemburgo, Norvegia, Paesi Bassi, Portogallo,
Regno Unito.
Undici Paesi in tutto, aventi piena attinenza con l’area europea
e atlantica indicata nel trattato.
Oggi, a seguito di svariati inserimenti, alcuni ben poco consoni
alle citate originarie finalità, fanno parte della NATO ben 30
Stati.
Nel 1966 Charles de Gaulle decise l'uscita della Francia dalla
NATO volendo attuare un proprio progetto di difesa non soggetto
alle decisioni di altri paesi, specie riguardo al nucleare.
Il trattato di alleanza si fonda, essenzialmente, sul principio
di cui all’art.5 che così recita: “ … le parti concordano che un
attacco armato contro una o più di esse, in Europa o in America
settentrionale, deve essere considerato come un attacco contro
tutte e di conseguenza concordano che, se tale attacco armato
avviene, ognuna di esse, in esercizio del diritto di autodifesa
individuale o collettiva, riconosciuto dall'articolo 51 dello
Statuto delle Nazioni Unite, assisterà la parte o le parti
attaccate prendendo immediatamente, individualmente o in
concerto con le altre parti, tutte le azioni che ritiene
necessarie, incluso l'uso della forza armata, per ripristinare e
mantenere la sicurezza dell'area Nord Atlantica.”
Nel tempo, specie dopo la fine della cosiddetta “guerra fredda”
e dopo la caduta del muro di Berlino, la NATO aveva
progressivamente perso le proprie iniziali caratteristiche di
"Alleanza Difensiva", assumendo l’impropria funzione di “centro
orientativo e direttivo” militare, ben poco incline alla
integrazione con altri Paesi e solo formalmente paritetico fra
le Nazioni aderenti.
L'art. 10 del Trattato indica il sistema con cui gli Stati
possono aderire alla NATO:
“I membri possono invitare, previo consenso unanime, qualsiasi
altro Stato europeo in condizione di soddisfare i principi di
questo trattato e di contribuire alla sicurezza dell'area
nord-atlantica ad aderire a questo trattato. Qualsiasi Stato
così invitato può diventare un membro dell'organizzazione
depositando il proprio atto di adesione al Governo degli Stati
Uniti d'America. Il Governo degli Stati Uniti d'America
informerà ciascun membro del deposito di tale atto di adesione.”
Tale articolo traccia, evidentemente, i requisiti essenziali per
la adesione e chiarisce che solo taluni Stati, nella misura in
cui potrebbero “contribuire alla sicurezza dell'area
nord-atlantica”, risultano essere teoricamente candidabili.
Perché, allora, s’è sollecitato e s’è dato corso all’inserimento
nella NATO di taluni Stati che nulla hanno a che vedere con la
difesa della citata area nord atlantica ?
Non è stato tenuto conto, presumibilmente in funzione di
deteriori fini strumentali, del prudente criterio di evitare che
la NATO si estendesse, in maniera più o meno provocatoria,
nell'est europeo.
L'irritazione russa s’è maggiormente accresciuta quando in tempi
diversificati, dal 2004 al 2008, sempre sotto l’egida degli USA,
è stato consentito l’inserimento nella NATO della Polonia,
dell'Ungheria, della Repubblica Ceca, della Romania, della
Bulgaria, della Estonia, della Lettonia, della Slovenia, e,
successivamente della Croazia e financo di Malta e dell'Albania.
E’ da porre in giusto e doveroso risalto il fatto che parecchi
dei citati Stati facevano parte della disciolta alleanza
denominata “PATTO DI VARSAVIA” a suo tempo promossa dall’URSS in
contrapposizione alla NATO.
Con la caduta del “muro di Berlino” (1989) e col progressivo e
inarrestabile disfacimento della URSS post staliniana,
oltretutto, s’era parecchio ridimensionata la tendenza
aggressiva che negli anni ’50/’80 aveva determinato il
deprecabile intervento sovietico in Ungheria (1956), in
Cecoslovacchia (1968) e le pesanti ingerenze nelle sommosse
verificatesi in Polonia (1981/1983).
L’allargamento della NATO verso est, tuttavia, è stato
fortemente e in più occasioni contestato dalla Russia, anche nel
corso dell’idilliaco periodo in cui al Cremlino era di casa
Gorbaciov, ma tale diniego non è mai stato preso in seria
considerazione dalla diplomazia e dal Pentagono USA.
Senza venire meno al doveroso rispetto per la maggioritaria
parte sana dell'evoluta, produttiva e sviluppatissima
impalcatura socio economica della superpotente Nazione a stelle
e strisce, non si può non evidenziare che gli Stati Uniti (anche
avvalendosi della organizzazione NATO), smaniosi di allargare il
proprio campo egemonico e di controllo della economia mondiale,
non sono esenti dalla accusatoria nomea di “provocatori”, oltre
che da quella di imbastire “trame sotterranee” in danno dei
presunti avversari, magari innescando tensioni locali e
internazionali.
Senza dire delle ingerenze che, pur se più o meno camuffate da
interventi in difesa o in ripristino di talune libertà
fondamentali che stanno alla base della democrazia dei popoli,
hanno puntato nel passato a favorire manovre di affermazione
egemonica e politica prettamente legate ad obiettivi di
inserimento in zone strategiche, specie quando queste ultime
sono di palese importanza per il predominio dei mercati o per lo
sfruttamento di essenziali risorse naturali.
Il tutto in molti casi e circostanze portato avanti con
l’arroganza di chi presume di essere all’apice della
potenzialità militare.
C’è da dire, tuttavia, che dopo la sanguinosa e dispendiosa
guerra di Corea (1950/1953), dopo l’insuccesso di Cuba (1961) e
della massacrante guerra del Vietnam (1960/1973), oltre che
delle contestate due Guerre del Golfo (1991 e 2003), della
negativa esperienza NATO maturata in Libia (2011) e, ultima ma
forse la più grave, della ingloriosa fine della lunga, penosa e
costosa avventura NATO-USA in Afganistan (2021), l’opinione
pubblica statunitense ha accentuato la pressione contro la
politica interventista nei vari settori mondiali a rischio
sperando che, conseguentemente, le varie Amministrazioni in
carica decidano di adottare politiche meno invasive e meno
velleitarie.
Ciò non toglie però che nei piani alti degli apparati economici,
finanziari e militari che dominano le strutture portanti degli
Stati Uniti, pur a fronte della nomea di più grande democrazia
del Pianeta, oltre che di “gendarme del Mondo”, si seguita ad
agire senza eccessivi scrupoli ogni qual volta è in gioco il
proprio peso decisionale e la propria influenza nel continuo
evolversi degli scenari geopolitici dei vari Continenti, fra
cui, in primo luogo, l’Europa. Anche tirando in ballo
l’ostentazione di un possibile massiccio impiego del potenziale
militare offensivo di cui dispone.
La crescente propensione della variegata e multiculturale
società statunitense (non certo quella dei generali e ammiragli
del Pentagono) verso una politica di “non intervento”, dovrebbe
indurre la Casa Bianca a più miti consigli, convalidando la tesi
che la NATO non è più rispondente alle originarie finalità
difensive.
Nell'ambito di un tale emergente quadro d’insieme, i mezzi
d’informazione hanno diffuso, di recente, la notizia che la
Germania sembra avere avanzato la richiesta di "ritiro delle
truppe americane (con relative armi atomiche) dal proprio
territorio e da quelli degli altri Paesi europei”.
Circa l’attuale crisi, il citato prof. Carpenter ha detto che
“..accogliere l’Ucraina nella Nato rappresenterebbe un
gravissimo errore strategico che potrebbe portare l’Alleanza
Atlantica in guerra con Mosca ... …. sarebbe una follia
strategica per gli Stati Uniti e i loro alleati europei”,
…”occorre rivedere innanzitutto gli obiettivi della Nato.” …. “…
aiutare a rovesciare l’eletto presidente filo-russo dell’Ucraina
nel 2014 ha fatto aumentare le tensioni, così come le vendite di
armi da parte degli Stati Uniti e di altri paesi della Nato
(soprattutto la Turchia) al governo anti-russo di Kiev”.
La Russia, peraltro, ha fatto presente in più occasioni (sin dal
2005) che l’eventuale adesione dell’Ucraina alla Nato avrebbe il
significato di una provocazione che “oltrepassa quella linea
rossa che nessun governo russo tollererà”.
Sembrerebbe che le strutture di governo dei Paesi in lizza
abbiano reciprocamente occorrenza di mantenere costantemente in
vita l’immagine di un potenziale “nemico”, al fine di
giustificare l'esistenza di potenti apparati militari e di
strabilianti industrie belliche.
La via del confronto paritetico e della pacifica convivenza
sembra non essere vista come la migliore e come la meno
pericolosa.
Cosa chiede la Russia per retrocedere dalla determinazione di
ammassare le proprie forze armate ai confini con l’Ucraina?
Secondo l’opinione corrente dei governanti russi, dando per
scontato che anche loro, certamente, non sono uno stinco di
santo, si chiede che si formalizzi una “garanzia scritta e
inappellabile” da parte dei Paesi occidentali acché l’Ucraina
rimanga fuori dalla NATO e che in detta Nazione non vi sia mai,
in nessun caso, una presenza militare straniera. Si chiede anche
un formale impegno a porre fine alla vendita di armi alla
Ucraina e ai Paesi dell’area confinante con la Russia, impedendo
qualsivoglia eventuale esercitazione militare congiunta tra
forze dell’Alleanza Atlantica e tali Paesi.
L’Ucraina dovrebbe assumere, conseguentemente, una posizione di
assoluta neutralità, alla stregua della Svizzera, rinunciando a
qualsivoglia ambizione territoriale confinaria e applicando il
principio della “autodeterminazione” delle comunità in atto
sotto sua potestà.
Per quanto attiene il diffuso commercio di armi con i Paesi
considerati a rischio o con quelli impegnati in infinite guerre
locali, il discorso è parecchio complesso e non è questa la sede
adatta per un eventuale approfondimento.
Basta solo accennare al fatto che le spregiudicate industrie
belliche delle cosiddette “superpotenze” e delle Nazioni
satelliti (tutte incluse e nessuna esclusa) sopperiscono alle
proprie attività di “ricerca”, di “approntamento” e di
“collaudo” di sempre più sofisticati “apparati bellici”, sia
mediante la commercializzazione al miglior offerente di
armamenti di vario tipo che attraverso un circuito integrativo
(quasi impositivo) dei propri “sistemi d’arma” con i Paesi della
NATO, oltre che con quelli ritenuti “amici”.
La strategia adottata dalla Amministrazione Biden s’è
palesemente dimostrata parecchio controproducente ed ha
contribuito a causare ulteriori irrigidimenti da parte russa,
specie a fronte del fatto che si continua a vendere armi
all’Ucraina e a rilasciare ripetute dichiarazioni in merito al
fatto che “gli Stati Uniti e la Nato proteggeranno la
“sovranità” dell’Ucraina”.
Qualcuno ha posto in rete un preciso messaggio rivolto
all’odierno Presidente degli Stati Uniti: “fermate quel pazzo”.
Sicuramente trattasi di un giudizio parecchio forte e sanguigno
ma sta di fatto che la sua impopolarità crescente ha un
sostanziale fondamento.
NATO e Stati Uniti, a parte qualsivoglia altra considerazione,
si stanno assumendo una forte responsabilità nel suscitare le
reazioni di Mosca, pertinenti o infondate che siano.
Trattasi di una ben poco condivisibile politica che
probabilmente ha indotto il governo ucraino a credere di godere,
in caso di invasione russa, del sostegno militare occidentale.
A fronte di una tale politica alquanto irresponsabile - che
potrebbe scatenare una tragica terza guerra mondiale - non sono
ne adeguate ne intelligenti le minacce di pesantissime “sanzioni
economiche” per il caso di un eventuale attacco militare della
Russia alla Ucraina.
Il Presidente USA (o chi per lui) non si è reso conto che tali
misure si ritorcerebbero principalmente e pesantemente sui
popoli della pseudo alleata Europa, più o meno dipendenti dalle
forniture di gas e idrocarburi russi (vedi North Stream in corso
di realizzazione), oltre che di grano e mais.
Parecchie fonti asseriscono che l’evanescente Presidente Biden
non possiede, probabilmente, intrinseca capacità nel sapere
valutare appieno le conseguenze di talune drastiche prese di
posizione o di affermazioni di sapore isterico.
Non è degno di un Presidente degli Stati Uniti e tanto meno è
giustificabile il fatto che si accusi apertamente un Capo di
Stato, pur se ritenuto un indomabile avversario, di essere un
“killer”.
Molti ritengono che il sig, Biden sia parecchio influenzato da
taluni suoi spregiudicati “consiglieri” civili e particolarmente
militari che, di massima, propendono per la ostentazione di una
politica di forza, presumibilmente avvalorata dai più o meno
occulti e famelici centri di potere economico e finanziario,
oltre che dalla citata convinzione di disporre di una presunta
“invincibile” forza militare. Come a dire che la parte
speculativa e militarista targata “stelle e strisce” è una sorta
di lupo mannaro camuffato da agnello.
Sull’orizzonte è fra l’altro comparsa da tempo la preponderante
presenza della immensa e potente CINA, con il suo miliardo e
quattrocento milioni di cittadini, che detta legge sia sul piano
economico che militare e che, vedi caso, non è tanto ben
disposta verso gli Stati Uniti e verso il Mondo occidentale,
mentre simpatizza apertamente per la Russia di Putin.
Considerato come stanno le cose c’è da stare poco allegri,
specie perché è parecchio tenue - per non dire inesistente - la
speranza che una sorta di Angelo Custode della Umanità riesca a
rabbonire le menti dei “potenti” guerrafondai di turno,
indirizzandole verso più sani e producenti concetti di
convivenza planetaria.
18 / 02 / 2022
Augusto Lucchese
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