Il Vento della Vita - Maria Anna e
Alessandro
di Orazio Ragusa
Ritrovo dopo circa sessantadue anni un caro amico della
giovinezza, quando i sogni e le aspirazioni si confondono e si
accavallano.
Eravamo solo ragazzoni dalle verdi speranze, in una città, più
che un borgo, Enna.
È lì che inconsapevolmente si formavano le aspirazioni per la
scrittura. Nelle lunghe passeggiate del corso ove era facile
formare “crocchio” per strada, o in un bar-salotto, il
cosiddetto Bar del Belvedere, con la frescura dei pini, e al
centro la fontana del “Ratto di Proserpina”, copia
dell’originale del Bernini.
Allora, non sapevamo che alcuni di noi si sarebbero ritrovati
fra le pagine dei nostri scritti, che girano per il mondo,
magari in maniera non altisonante, ma certamente dignitosa.
Degni di una lettura, perché coinvolgenti.
Orazio Ragusa, nel suo primo impegno “Il vento della vita”,
descrive questa “malia” dello scrittore con le parole: “Se la
tua arte non crea niente di eccezionale non interessa di certo a
nessuno; ma se crea cose belle, esse possono interessare a tanti
che si sentiranno interpreti o testimoni delle medesime,
ricavandone elevazione intima”. (pag. 148)
Questo il ruolo dello scrittore, non ha importanza se più o meno
famoso. Pensieri e concetti non hanno brevetto, ma se hanno
valore corrono di bocca in bocca e talvolta, prima o dopo fanno
il giro del mondo.
Spesso si perde, strada facendo, il nome dell’autore, il quale
diventa fonte di conoscenza solo per alcuni.
Per coloro che apprezzano la genialità ed il lungo lavoro,
faticosissimo, di intima elaborazione, che si sobbarca lo
scrittore, pur di “donare” il meglio di sé.
Pensate, la grandezza di Dante fu “scoperta e apprezzata” dopo
duecento anni dalla sua morte.
I sentimenti profondi e universali, prima o dopo hanno un loro
futuro ed un loro destino. Personalmente non sono un buon
critico, poiché non sono disposto a vendermi, né a smussare le
asperità degli angoli, per fare apparire tondo quel che è nato
quadrato.
Per questo difficilmente accetto l’onere di parlare o esprimere
pareri ad amici e conoscenti, sui loro scritti.
Mi dispiace essere costretto a dire loro che lo scritto è
dozzinale. Non “infiamma il cuore” del lettore, ed allora lo
scritto diventa “squallido diario”.
Lo scritto diventa “scintilla di fuoco”, se nasce e proviene da
un “magma interno” che brucia l’anima dello scrittore, facendolo
soffrire.
Così, ogni volta il parto è difficile e doloroso. Chi legge se
ne accorge, perché viene coinvolto in questo “braciere”.
Di personaggi a me vicini, che meritano il rispetto e il
riconoscimento della loro “dignità letteraria”, ne ho veramente
un esiguo, molto esiguo numero.
Non riempiono neanche le dita di una mano. Orazio,
amichevolmente, dagli amici ennesi, chiamato Franco, vi ha posto
un suo motivo d’essere. Ve ne spiego le ragioni.
Nei suoi due romanzi, pubblicati in veneranda età, descrive con
dovizia: luoghi, personaggi, moti dell’anima, riferimenti e
fatti storici. Questi ultimi, in special modo nel secondo
romanzo “Maria Anna e Alessandro”, che avrà un seguito e che
attenderò di leggere con piacere.
Le “stimmate” dello scrittore, talvolta sono precoci, tal’altra
lentamente affiorano dal profondo, com’è avvenuto per Orazio,
detto Franco.
Fernando Luigi Fazzi
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