Quando Enna si chiamava
Castrogiovanni
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“Sotto la neve pane”
Quando Enna si chiamava Castrogiovanni e gli inverni erano
veramente rigidi, con ricorrenti nevicate come quelle di questi
giorni, e la gente si rintanava in casa riscaldandosi soltanto
con bracieri e con scaldini di varie misure per tutta la
famiglia, la coltre bianca non era una calamità ma un bene e una
risorsa economica. Dopo una nevicata gli anziani ricordavano ai
più giovani un vecchio detto: “sotto la neve pane”. Secondo
quanto ha scritto Salvatore Presti in un articolo pubblicato nel
2005, che qui riproponiamo integralmente, noi ennesi
“esportavamo la neve” durante i mesi estivi facendone un
businnes commerciale.
LA FABBRICA DELLA NEVE
Nei mesi estivi partivano a “carovana”, carro dietro carro, la
sera, all’imbrunire, con un carico molto particolare: la neve.
Questa veniva adagiata sul fondo del ‘carretto’ a strati:
paglia-neve, paglia-neve… fino all’altezza delle sponde, sulle
quali venivano sistemate due traverse di legno in modo da
sorreggere una botte in rovere (due, se piccole), legata con
delle robuste corde. Il tutto era coperto con un telo cerato
impermeabile. La méta era la città di Terranova (dal 1927
ribattezzata col suo antico nome: Gela) e infine Vittoria il
paese del buon vino, il cerasuolo. Il viaggio era lungo e
faticoso, occorrevano dalle dodici alle quindici ore di cammino,
lungo strade polverose, attraverso borghi e paesi. Arrivavano,
infatti, alla vista del mare nelle prime ore del giorno
seguente. Con un carico all’andata e uno al ritorno, i
carrettieri riuscivano ad ottenere un’ottima remunerazione, così
da essere ricompensati dai disagi del viaggio nonché dei giorni
impiegati (non meno di tre). La neve veniva consegnata ai
commercianti gelatieri acquirenti di Terranova o di Comiso o
della stessa città di Vittoria i quali la utilizzavano, quale
materia prima, per la preparazione di sorbetti e granite,
secondo antiche ricette ed abilità nella trasformazione che si
perdono nella notte dei tempi. Il ritorno avveniva la sera del
giorno seguente, dopo aver fatto riposare e rifocillare
l’animale da tiro (di solito un mulo) e dopo aver riempito la
botte di vino, prodotto in quelle contrade iblee. Giunti a
Castrogiovanni, il vino veniva “scaricato” nei tanti “vinalora”(venditori
di vino), osterie e ristoranti. Quella, a quei tempi, era
senz’altro da considerare una vera e propria industria:
“l’industria della neve”. Catania e le città rivierasche che si
affacciano nello Ionio erano rifornite del prezioso “prodotto”
dai paesi dell’Etna; i commercianti ennesi di neve avevano,
invece, il loro “mercato” nelle città del versante sud
dell’isola. L’industria della neve era fiorente. Non occorrevano
grossi investimenti, bastava saperla “coltivare” o meglio
conservare (come?): “né fossa ‘a nivi” che erano sparse un pò
ovunque: nel “pianoro del monte” (Montesalvo, Torre di Federico
e nella zona di Mulino a Vento fino alla Colombaia). In inverno,
dopo ogni abbondante nevicata, la neve veniva spalata e
costipata dentro stretti cunicoli preventivamente scavati a
piano inclinato, chiusi con un “tappo” di paglia, con sopra del
terreno vegetale. Questi “contenitori”, dei veri e propri
freezer naturali, nei mesi estivi venivano svuotati del loro
contenuto per la consegna del “prodotto” a chi ne faceva
richiesta. Si approvvigionavano senza costi aggiuntivi di
trasporto le gelaterie locali. Non c’è dato sapere fino a che
epoca è stata attiva questa “industria della neve” ad Enna; si
ritiene, comunque, sia stata fiorente per quasi tutta la metà
del secolo scorso. Di queste “fosse di neve” durante gli scavi
per le fondamenta dei tanti palazzi in zona monte (Spirito
Santo, Macello, Carcere ecc.) se ne sono trovate a decine, tutte
riempite con pietrame o calcestruzzo.
(Pubblicato da
Salvatore Presti nel suo libro “ENNA – il filo della memoria”,
Edizioni Nova Graf, Assoro, Enna, 2013, pag.240, € 18,00).
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