Catania 9 Gennaio 2020
Agli amici ennesi.
Enna, gli anni ruggenti
Nella mia autobiografia ho
descritto, su richiesta dell’Archivio Storico del Comune di
Enna, come nacque l’idea di dedicare una statua in bronzo ad
Euno, lo schiavo ribelle che nel 135a.c. mosse la Prima Guerra
Servile contro Roma, l’esercito più potente del mondo di allora,
e lo fece tremare.
Nella descrizione di quei fatti, accennai che la fine degli anni
60 dello scorso secolo, per noi: giovani rampanti ennesi,
invasati di ‘sacro furore ribelle’, contro un sistema sociale,
avverso alle aspirazioni giovanili, ermeticamente arroccato a
tradizioni ataviche; furono ‘anni ruggenti’ di giovani leoni
alla ricerca della conoscenza di un mondo, non solo circostante,
ma anche lontano, e per ciò affascinante.
Prima di descrivere come riuscimmo a scardinare questa gabbia in
cui ci sentivamo prigionieri, bisogna che racconti almeno ‘i
primi ruggiti’ di questi giovani leoni… e leonesse… mamme e
figlie.
Anche le mamme ebbero allora un ruolo primario, importante ai
fini ‘educazionali’ di noi giovani.
Stendhal descrive molto bene questo malessere nel suo romanzo
(psicologico) ‘Le Rouge et le Noir’ (Il rosso e il nero), nel
carattere e nelle vicissitudini del giovane Julien Sorel.
Le mamme più delle figlie, soggetto ed oggetto del desiderio.
Tutte tenute sotto stretto e rigido controllo, da parte di
parenti e amici, in un paese attento ai ‘passi falsi’.
La ‘memoria’, quale musa ispiratrice a cui l’aedo rivolgeva i
suoi auspici per il canto di ‘amori, armi ed eroi’, bisogna che
mi sia benigna e mi assista nell’essere veritiero.
Spesso avviene che i fatti passati siano simili a una matassa
aggrovigliata, dalla quale bisogna trarne il bandolo, per
scioglierne le ‘segrete fila’.
Ad antica memoria, per sentitomi raccontare più volte, nel
lontano 1944, avendo superato i due anni, dalla terrazza della
casa di Via Roma, in braccio a zia Marietta, sorella nubile di
mio padre, guardando i tetti e le case sottostanti bombardate e
distrutte dagli aerei degli alleati, ho esclamato, adirato e
pestando il pugno contro il palmo dell’altra manina: “Mamma,
mamma, guarda: bam!,bam!, bam!, le bombe han rotto tutto!”.
Poco dopo la guerra, iniziò ad Enna ‘la ricostruzione’
dell’antico borgo; ed il ripristino delle gerarchie sociali in
mano ai casati nobiliari, un po’ ‘ammaccati’, l’alta e media
borghesia, e gli emergenti ‘intrallazzisti’ che avevano, durante
la guerra, gestito il mercato nero, degli alimenti di prima
necessità, oltre ai piccoli traffici di contrabbando, come le
sigarette americane fuori monopolio.
Un aneddoto a tal fine.
Un barbiere, con bottega nella centralissima Via Roma, oltre ad
offrire il servizio di barba e capelli, vendeva ‘di sottobanco’
sigarette americane.
Tutto il paese ne era a conoscenza, e tanto se ne vociferava che
alfine i tutori dell’ordine dovettero intervenire, facendo un
sopralluogo-perquisizione nel salone del barbiere.
Frugarono dappertutto ma non trovavano il corpo del reato, le
sigarette. Sino a quando uno dei figli del barbiere, di nome
Pino,diminuitivo siciliano di Giuseppe, affetto di demenza
congenita, esclamò: “Taliatiquantu su babbi! (guardate quanto
sono scemi!), non attrovanu i sigaretti casunnudarreri o
specchiu (non trovano le sigarette che sono dietro lo specchio –
lo specchio a parete tipico del barbiere–)”.
Così quel piccolo commercio di contrabbando, ritengo intrapreso
dal barbiere quale ‘servizio promozionale della bottega’, ebbe
fine.
Ma di questi ‘intrallazzi’, subito dopo la fine della guerra,
Enna, come tanti altri centri piccoli e grandi dell’isola,
sovrabbondava.
L’intrallazzo era stato una delle tante ‘promozioni delittuose’,
nate in Sicilia, a seguito del ‘connubio’ mafia-forze armate
americane.
Uno dei ‘regali’ elargiti dall’esercito americano ‘liberatore’.
Questo l’ingranaggio: Lucky Luciano, illustre mafioso
d’oltreoceano, fu prelevato dalle carceri statunitensi, per
essere assegnato alle dipendenze del Generale Charles Poletti,
politico e militare degli ‘States’, con un compito ben preciso:
creare un ponte tra le forze armate americane e la mafia
siciliana, per pianificare ‘in combutta’ l’invasione
dell’Italia, iniziando dalla Sicilia.
Si vede che Poletti era un amante delle ‘guerre puniche’,
arrivando a superare i cartaginesi con lo sbarco successivo,
quello di Anzio, obiettivo Roma.
L’illecito accordo fu il seguente: la mafia siciliana avrebbe
‘agevolato’ in Sicilia lo sbarco anglo-americano, avendo quale
‘contropartita’ la gestione del contrabbando di ‘ogni risorsa’
economica ‘lecita ed illecita’.
A mali estremi, estremi rimedi, la famosa pluriabusata ‘ragion
di stato’.
Un vero e proprio patto di sangue alla mafiosa, sulla pelle del
cittadino onesto, con strascichi e risvolti che sono tutt’ora
presenti in Sicilia, in Italia, in America.
Evviva la globalizzazione della disonestà imperante.
E si!, perché la storia fa testo anche in questo.
Quando qualcosa, qualche azione delittuosa, qualche insegnamento
scorretto, rimangono impuniti, e creano ricchezza, il mondo
intero vi si butta ‘a capofitto’.
Ritorniamo agli ‘anni ruggenti’.
Dicevamo che ad Enna con il contrabbando, durante e subito dopo
la fine della guerra, alcune famiglie di carrettieri si
inventarono contrabbandieri di grano, farina, beni di prima e
seconda necessità; e successivamente si trasformarono, con i
profitti illeciti, in commercianti di beni e servizi, oltre che
imprenditori edili, e di altre attività altamente lucrose.
Parlando di tale ‘fenomeno’ con un amico, in merito a questi
‘emergenti carrettieri’, concordammo: “Anche se ricchi, fanno, e
faranno sempre, ‘ciauru di carrettu’ (odore di carretto). A
significare che ‘buzzurri’ erano e buzzurri sarebbero rimasti,
per molte generazioni a venire. Nel tempo, la storia di Enna ce
l’ha confermato.
“S’accattarrulupaisi (si comprarono il paese)”. “Non c’era
foglia a luventu si non c’era lucunsensu! (non c’era foglia –
che si muovesse – al vento, se non c’era – il loro –
consenso!)”. Voxpopuli, vox Dei (Voce di popolo, voce di Dio).
E nacquero ‘i padrini’ dell’economia ennese, fautori del bello e
del cattivo tempo, anche in politica.
Tutto vecchio ed uguale sotto il sole.
Furono i tempi dei pantaloni con le ‘pezze’ nel sedere, dei
vestiti rivoltati, delle scarpe rabberciate all’infinito, del
gioco dei bottoni, del gioco con le nocciole – frutta secca
altamente energetica –, degli allevamenti di galline ruspanti in
tutte le famiglie, dei vestiti americani di seconda e terza
mano, provenienti anch’essi dal contrabbando delle riserve
militari ecc., ecc., ecc.
Circolarono armi di piccolo calibro, favorite dalla libera
vendita delle cartucce. Noi ragazzini avevamo recuperato piccole
armi nascoste in molte delle nostre case, retaggio dell’Opera
nazionale Balilla, comprensiva della dotazione del primo
moschetto Balilla, offensivo; al contrario del secondo, che era
inoffensivo.
Ci esercitavamo andando a caccia di colombi, in competizione con
i ragazzi dotati di fionda.
Piccoli delinquenti in erba, che crescendo rientrammo ‘nei
ranghi’, pur conservando lo spirito libertario che ci ha
assistito, nell’evoluzione della vita.
I costumi erano all’insegna della falsa castità.
Le ragazze erano inavvicinabili. Mi ricordo un aneddoto che mi è
rimasto impresso nella mente. Una sera d’estate un amico più
grande di me, di circa otto anni (io ne avevo dieci), mi chiese
se ero disposto ad accompagnarlo per assisterlo in una ‘veglia’
alla finestra della sua ‘amata’.
Lo accompagnai, ed assistetti ad uno strano corteggiamento. Ci
posizionammo, distanti circa una cinquantina di metri da una
finestra accesa, ove dietro i vetri si scorgeva, a mala pena,
una bella ragazza immobile che fissava il buio della impervia
via. Mentre il mio amico si era ‘piazzato’ sotto un lampione,
scarsamente illuminato da una fievole lampadina, alla cima di un
palo.
Questo il corteggiamento di quegli anni, nella più ‘chiusa’
cittadina siciliana, Enna.
Non vi dico i fidanzamenti ufficiali, dalle più tetre usanza
medioevali: seduti, genitori e parenti di entrambi i fidanzati,
nel salone dei ricevimenti, l’una schiera di fronte all’altra, a
discutere del banale più assoluto, per poi salutarsi e andare
via; sino al prossimo appuntamento. E così, sino al matrimonio.
Insomma la donna, allora, era da marito già a sedici anni.
Inarrivabile, sino al fatidico ‘si’.
Dopo era tutta un’avventura, alla scoperta l’uno dell’altra.
Cantava Carosone, in una sua canzone: “il matrimonio è come un
mellone, può uscire bianco… e può uscire anche rosso”.A
significare che la buona riuscita del matrimonio era pura
casualità.
Noi giovani leoni, ‘pieni gli inguini di spuma’, come dice
García Lorca, nella inavvicinabilità delle leoncine, rivolgevamo
le nostre attenzioni… e i nostri desideri… alle leonesse madri,
dai più solidi appetiti.
Eravamo eternamente a caccia, come marinai allo sbarco dopo mesi
di ininterrotta navigazione. Attratti dalle pruriginose esigenze
di donne con le ‘calure’.
A fronte della carcerata castità delle figlie, rivolgevamo lo
sguardo verso le giovani, o meno giovani, signore.
La caccia era altamente competitiva, data la scarsità di
‘prede’, e la esasperante ‘offerta’. In questi ‘frangenti’, ogni
tanto, a qualcuno, andava bene.
Le probabilità di successo aumentavano in estate, con l’arrivo
dei gruppi turistici, da ogni parte del mondo, l’avvento della
lirica, con le ballerine, le comprimarie, le cantanti del coro,
le musicanti, le sartine; e le improvvise fortune di bellezze
provenienti da ‘terre lontane’.
Ve ne racconto una.
Un giorno d’estate, incrocio due belle ragazze straniere, sedute
su una panchina del ‘Belvedere’, sotto un grande pino, che
consultavano una carta geografica della Sicilia.
Scambio due parole in inglese (raffazzonato) misto all’italiano,
e vengo a sapere che sono due saccopeliste canadesi, venute per
conoscere la Sicilia. Avevano pernottato nella pineta del lago
di Pergusa, e intendevano raggiungere Palermo in autostop.
Mi balena alla mente la possibilità di una avventura, diversa
dal comune, la conquista di un cuore dalle caratteristiche
differenti di quelli sino ad allora conosciuti. Tranne qualche
rarissimo caso, del quale ne accennerò più avanti. Bisognava
trovare, nell’immediatezza, un amico con l’autovettura,
affidabile e disposto a correre insieme a me una avventura dai
mille risvolti incerti e per questo più interessante. Mentre
rimuginavo questi pensieri, mi viene incontro Mario Coppola,
amico di ‘caccia alle gonnelle’, in special modo nell’ambito
delle compagnie teatrali e della lirica estiva al Castello di
Lombardia. Gli espongo i fatti ed accetta di correre questa
curiosa avventura.
Facciamo il pieno e ci imbarchiamo in quattro nella macchina di
Mario (berlina Fiat 1.100), facendo scegliere i posti alle
ragazze. La brunetta siede avanti, a lato di Mario, che è alla
guida, e la biondina, bella come il sole, occhi verdi, formosa
come una dea e dallo sguardo timido, viene dietro insieme a me.
Si parte alla volta di Palermo, in una mattinata assolata e
limpida, noi senza neanche il famigerato ‘spazzolino per i
denti’.
Il percorso Enna-Palermo passava, data l’allora mancanza
dell’autostrada, attraverso strade e paesi impervi di cui mi
disinteressavo, preso com’ero dalla seducente figura della
ragazza che mi sedeva accanto.
Nel percorrere una stupenda vallata fra colli e monti
verdeggianti, la brunetta, che masticava poche parole in
italiano, mi fa capire che ha la necessità di fermarsi per
versare un gentile ‘obolo’ liquido, dietro un albero.
Scendono le due amiche, ed entrambe, tra sorrisi e ridolini,
compiono il naturale gesto.
Ritornando verso l’auto si imbattono in una fiorente pianta di
ficodindia. La brunetta mi chiede se i frutti sono commestibili,
ed al mio assenso, alza la mano, ne raccoglie uno e
repentinamente lo avvicina alle turgide labbra. Un grido, e mio,
e di Mario, per bloccarne il gesto, risulta tardivo. La ragazza
ravvisa immediatamente il fastidio delle sottilissime spine,
nelle mani e sulle labbra. Ci avviciniamo alla incauta, e Mario
inizia una paziente rimozione delle spine con l’ausilio di una
pinzetta per le sopracciglia, fortunatamente presente dentro uno
dei loro zaini.
Immaginate gli sfioramenti delle labbra con le mani, da parte di
Mario, che procuravano alla ‘ninfa’ sollievo ed eccitazione
sensuale. Tanto che alla fine ‘l’ardita fanciulla’ era
visibilmente eccitata.
Al rientro nell’auto la ragazza adagiò dolcemente la testa sulla
spalla di Mario, in senso di riconoscenza. Il primo ‘ghiaccio’
era superato.
L’amica dietro, a me vicina, guardava ed arrossiva. Pensai che
anch’essa fosse propensa ad accettare qualche ‘avance’. Mi
sbagliavo, era interiormente combattuta, poiché ben immaginava
l’epilogo al quale, contrariamente all’amica, lei non era né
preparata, né disposta.
Non volli insistere, convinto com’ero che il comportamento
consenziente dell’amica, avrebbe sciolto le sue remore.
Dopo un lungo percorso, accompagnato da canti, siciliani i
nostri, inglesi i loro, arriviamo a Palermo e ci indirizziamo
verso il ‘Grande Hotel Sole’, dove Mario era di casa ed aveva un
conto aperto tutto l’anno.
Le ragazze sono titubanti, alla fine accettano e saliamo in
camera. Noi in una stanza a due letti, loro in una doppia. Le
uniche disponibili.
In camera mi consulto con Mario, per stendere un piano di
attacco al consenso delle due bellezze straniere. Il bagno caldo
ci ritempra della stanchezza del viaggio, più di quattro ore su
strade impervie e tortuose.
Belli ed aitanti come adoni, incontriamo la due ninfe,
finalmente entrambe sorridenti, nella hall dell’albergo. La cosa
si fa sempre più intrigante. Ci avviamo con l’auto verso
Mondello, per una cenetta a lume di candela. Confabuliamo con
Mario sul da farsi per superare la ritrosia della biondina.
Decidiamo di proporle, per il rientro in Hotel, uno scambio di
partner.
Tentiamo, al ritorno nell’auto, la mossa ritenuta strategica, e
ci accorgiamo che la biondina si irrita e respinge
categoricamente l’offerta.
Allora capisco, la mia ‘agognata’ era una di quelle che dice a
se stessa: ‘solo per amore’; e sono irremovibili. Almeno fino a
quando il ‘tombeur de fammes’ non trova ‘la chiave’ per aprire
quella porticina segreta, in fondo, talvolta molto in fondo, al
loro cuore.
Ne ho conosciute tante di questo tipo, specialmente all’estero,
in giro per il mondo.
Tra parentesi, ne fece la spese persino Casanova, a Londra.
Richiedono tempo da dedicare loro con dedizione assoluta. Ma
alfine, anche loro ‘capitolano’, e quando lo fanno diventano
possessive sino all’ossessione.
Dice Prévert, nella poesia “Rue de Seine”: “Egli è prigioniero /
imprigionato dalle sue promesse… / dinanzi a lui… / una macchina
calcolatrice / una macchina per scrivere lettere d’amore / una
macchina per soffrire / lo afferra… / s’aggrappa a lui… / Pierre
dimmi la verità… / L’uomo che si chiama Pierre è perduto”.
Avevo capito, ma ero troppo giovane ed inesperto, per
‘imbastire’ una strategia che accorciasse i tempi della sua resa
incondizionata, e soprattutto non c’era tempo. L’azione avrebbe
potuto richiedere ore di insonnia, lunghi discorsi accattivanti,
promesse di ‘eterno amore’, ribaditi in varie forme, languide
carezze per sciogliere l’icerbeg che albergava nel suo cuore.
In questi casi tutto ciò può avvenire anche in una notte… ma
sotto le coltri.
E poi ci vuole esperienza, tanta esperienza, sicurezza nelle
proprie capacità persuasive e nel successo. Alle spalle di tali
‘pulzelle’, ci sono fantasmi di esperienze negative che hanno
creato ferite più o meno profonde. Loro stesse anelano potersene
liberare. Bisogna comprenderle e non forzare, aspettare che ‘il
cuore’ si schiuda spontaneamente, per essere colto nel preciso
momento, nell’attimo fuggente.
Superato il quale si richiudono in loro stesse, e l’amore si
trasforma in disprezzo. Conoscenze, queste, che si acquisiscono
per istinto, intuito, esperienza.
Nel caso specifico, ‘la dea’ figlia di terre lontane, forse
fuggiva da un amore sfortunato o impossibile. Non lo sapremo
mai. È certo che viveva interiormente combattuta, nella mente e
nel cuore.
Mancavano i presupposti per arrivare a scioglierne l’arcano
mistero. Bisognava rinunciare.
Attendemmo, con Mario, nella nostra stanza, un cenno di
disponibilità; che non venne. Sapevo cosa, nel frattempo,
avveniva nell’altra stanza. Un dialogo fra la brunetta, che
propendeva per una soluzione positiva, e la resistenza della
biondina. Dissi a Mario di tentare, almeno lui, a chiamare la
brunetta nella nostra stanza, dalla quale mi sarei assentato, ma
non volle farlo; credo per solidarietà.
Rientrammo nella notte ad Enna, pagando anche la stanza delle
due ‘amiche’.
Il viaggio di rientro mi consentì di conoscere meglio il mio
amico.
Due cose mi colpirono dei vari discorsi che fece.
La psicologia femminile è uguale, sia nelle donne belle, con i
maschi ai loro piedi, come nelle donne meno attraenti: tutte
sono selettive e vogliono che l’uomo trovi la strada per
conoscerne ‘il cuore’, ed esaltarne i sentimenti.
Le donne dei parenti e degli amici più cari, dal vero ‘tombeur
de femmes’, devoro essere rispettate come sorelle.
Questo ultimo principio, in un perfetto esteta come lui, mi fece
riflettere. Mi fece capire che anche nella dissolutezza ci sono
principi invalicabili.
Prendiamo per esempio ‘la mafia’. Consideriamo che, pur essendo
sempre stata la massima espressione del ‘male’, aveva, sino a
non molto tempo fa, un ‘codice d’onore’: donne e bambini, non si
toccano!. E per questo si autodefiniva ‘l’onorata società’. Oggi
non è altro che ‘feroce delinquenza’, senza principi e senza
onore. La feccia dell’umanità. Il mafioso di oggi, rimarrà
sempre un mafioso. Non si redimerà mai. Per un vero mafioso, non
ci sarà mai ‘la notte dell’innominato’ di manzoniana memoria.
Quella volta toccai con mano alcuni principi che desidero
evidenziare: la biondina concedeva i suoi favori ‘solo per
amore’; al contrario dell’amica, di più facile accondiscendenza.
Il principio della solidarietà, ed il gesto ‘cavalleresco’ di
Mario, che pagò anche la stanza delle ragazze, per un profondo
rispetto della donna, indipendentemente dal successo, o meno.
Il principio ‘dell’onore’, nel rispettare la donna di parenti e
amici.
Questo la donna, purtroppo, non sempre lo apprezza; anzi si
risente, ed in cuor suo dichiara ‘vendetta’.
Giovani rampanti e di belle speranze come eravamo, avevamo in
comune alcuni punti di riferimento. Una specie di ‘canovaccio’
da seguire.
Le grandi strategie, venivano studiate e perfezionate nel Bar
dell’Hotel Belvedere, con la fresca passeggiata estiva, e ‘lo
struscio’, lentopede, nell’attigua Via Roma.
Mentre alla ‘balata’, con a fianco il bar, era dove ritrovarsi
al mattino, prendere un caffè, organizzare la giornata, tra
pettegolezzi dell’ultima ora, ‘spedizioni’ e ‘progetti’ di
attacchi verso questa o quella fanciulla, o irraggiungibile
signora.
Era ove ‘studiare’ programmi estivi in luoghi ad alta densità
femminile, specialmente belle straniere: Taormina, Rimini,
Riccione, Cattolica, Olanda, Svezia, Parigi, Londra, e così via.
Alla ‘balata’ c’era sempre un amico con cui scambiare preziose
informazioni.
E se proprio non c’era niente da fare, rimaneva pur sempre il
ripiego nella ‘casa di tolleranza’; che, all’entrata in vigore
della legge Merlin, per noi una ferita insanabile, assieme a
Bruno Grimaldi organizzammo un funerale, con relativa portata a
spalla della bara per tutta la via Roma.
Al passaggio del corteo, la popolazione curiosamente ci chiedeva
chi era morto. Noi ci ‘sbellicavamo’ dalle risate, insieme ai
curiosi, nel confessare che il funerale era dedicato alla
chiusura ‘dell’ameno luogo’.
Una regola fondamentale del ‘seduttore in erba’, era
l’aspirazione di due cuori femminili ‘da coltivare’: Una
ragazza, bella, affascinante, di buona famiglia, di risaputa
onestà ed integra moralità; e poi la ragazza non ufficiale, con
la quale ‘saltare la cavallina’, come si diceva allora.
Nel mio caso specifico, anch’io, ‘corsi la cavallina’, in
maniera molto rocambolesca:
“Corsi quelle notti / il migliore dei cammini / sopra una
puledra di madreperla / senza briglie e senza staffe.
Non voglio dire, da uomo, / le cose che ella mi disse. / la luce
dell’intendimento / mi fa essere molto discreto”.
(Federico García Lorca – La casadainfiel)
Quante volte litigai per difendere la mia ‘bella’, dagli assalti
di tutta una pletora di pretendenti. Oltre all’invidia di chi
subiva i rigori di una società bigotta e bugiarda.
A manovrare tutto erano le ‘comari’ incartapecorite, che nessuno
‘coltivava’, lasciate al loro solitario destino. Si battevano il
petto per poi malignare, sedute davanti a una ‘conca’. Prévert,
nella poesia ‘In estate come in inverno’, le dipinge così: “… è
una ignobile megera/una ranocchia d’acquasantiera”.
Qualcuno si chiederà il perché di questo ‘amarcord’ (a m’arcord–io
mi ricordo). Perché ci sono cose che non dovrebbero andar perse,
come: …la bellezza botticelliana della giovane moglie, non
ennese, del mio amico Enzo.
La bellezza della ‘valchiria’ Brunilde, moglie di un ingegnere
tedesco, dalle cui labbra pendevamo, e Mario ne raccolse
l’ambito fiore, bella più di una dea greca.
Le lettere di struggente passione che la figlia minore di un
primo cittadino scriveva ad un mio amico, grande artista,
pittore e scultore.
Il furore di un altro caro amico, che venne a conoscenza, da un
articolo di giornale, che la sua ‘fiamma’, ragazza di illustre
famiglia, era arrivata in ambulanza, al pronto soccorso di altra
città dell’isola, per un incidente stradale, dalle oscure
origini, e fu ‘trovata’ con le mutandine ‘riposte’ nella
borsetta (gossip giornalistico d’altri tempi).
Gli amori inconfessabili delle ‘vedove bianche’, abbandonate al
loro destino, dai mariti in armi, o lontani, in cerca di
fortuna. Come nel film ‘Malena’ di Tornatore, e ‘La stanza dello
scirocco’ di Maurizio Sciarra, interpretato da Giancarlo
Giannini.
A tutto resiste la donna, tranne che alla solitudine imposta, ed
al ‘freddo giaciglio’.
“… per lei assai di lieve si comprende / quanto in femmina foco
d’amor dura / se l’occhio ‘l tatto spesso non l’accende”.
(Dante – Purgatorio VII, versi 76-78)
Altro esempio è nei “Promessi Sposi”, la monaca di Monza.
Cito i due Padri della Lingua Italiana, al confronto dei quali,
queste mie righe, sono ‘piccole cose’ di un mondo provinciale,
‘a futura memoria’.
“Se la memoria ha un futuro”, diceva Leonardo Sciascia.
Per noi amici “U zuNardu”.
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