Donne al potere
In molti, di recente, si sono posti la domanda se rappresenti un
bene o un male il fatto che le donne stiano acquisendo sempre
più i posti di comando strategico e operativo delle portanti
strutture istituzionali e produttive su cui poggia la variegata
società multinazionale.
Il futuro del Pianeta Terra e della specie umana sarà sempre più
affidato, come conseguenza, al potere, al volere e all’operato
delle donne ?
Non è fuor di luogo, a questo punto, fare una premessa.
Ponendo in risalto a priori, con la massima ovvia deferenza, le
nutrite categorie delle scienziate come, ad esempio, Marie
Curie, Margherita Hack, Rita Levi Montalcini, Ada Lovelace,
delle muse del sapere, della cultura e delle arti come Maria
Montessori, Simon Weill, Oriana Fallaci, Elsa Morante, Anna
Magnani, Anna Proclemer, Alda Merini, Grazia Deledda ecc., delle
invitte propugnatrici di Fedi religiose come Caterina da Siena,
Giovanna d’Arco, Maria Goretti o, più di recente, Maria Teresa
di Calcutta e Laura Montoya Upegui , il mondo femminile appare
suddiviso in due ben delineati settori:
1 * - quello, fortunatamente minoritario, in cui sono da
annoverare le inaffidabili e simulatrici vestali di un mondo
virtuale, boriose, petulanti e patologicamente ciarliere,
manipolatrici, invadenti, presenzialiste incallite, pur se
talvolta portatrici di strumentale e non sempre genuina
avvenenza;
2 *- quello, maggioritario per grazia ricevuta, cui appartiene
l’altissima percentuale delle “mater familias”, encomiabili,
dignitose, vitali, responsabili, generose.
A quest’ultimo gruppo sono meritoriamente da aggiungere le tante
scrupolose ed efficienti figure di donne che con dedizione
svolgono la loro preziosa attività in campo sociale,
assistenziale e formativo quali, ad esempio, “insegnanti e
docenti”, “medici”, “personale sanitario in genere” che, al
servizio della società, costellano il firmamento delle strutture
di prioritaria occorrenza.
Per quanto concerne, di contro, il campo politico globale o
quello della galassia partitica nazionale, fatte salve le debite
eccezioni ben presenti in passato come, ad esempio, Angelica
Balabanoff, Anna Kuliscioff, Rosa Luxemburg, Segolene Royal,
Helle Thorning Schmidt, o come Nilde Iotti, Tina Anselmi, Lina
Merlin, Susanna Agnelli, Livia Turco,
Emma Bonino, Franca Falcucci, Maria Pia Garavaglia, Rosa Russo
Iervolino, ecc., sono parecchie le variegate, stucchevoli e
mediocri “vamp” della odierna politica che possono essere
incluse, senza eccessive perplessità, nel poco edificante sopra
citato primo settore. Quasi tutte, salvo qualche eccezione,
mostrano parecchio diffusamente la loro tendenza a starnazzare
tesi e concetti da “copia e incolla”, sforzandosi di recitare la
non congeniale parte di “superdonne” mentre, di fatto,
dimostrano di essere solo autentiche cortigiane d’altri tempi,
quasi sempre pronte a seguire ciecamente la linea d’azione del
sovrano di turno. Non c’è tanto da meravigliarsi se da più parti
si va dicendo che parecchie di esse sono palesemente
immeritevoli di calcare il vasto palcoscenico pubblico.
E non è certamente un fatto esaltante constatare che in molte
non disdegnano di imitare metodi e comportamenti di taluni
spregiudicati e screanzati colleghi maschi, entrando in
competizione con essi nella scalata alle stanze dei bottoni,
magari puntando alle poltrone più comode e più utili a fini
elettorali o personali. Sono, in gran misura, donne di modeste
intrinseche capacità, provenienti da particolari settori del
contesto antropologico sociale, quali ad esempio il discutibile
mondo dello spettacolo (in qualche caso anche a “luci rosse”) e
dei mass media, la non sempre apprezzabile galassia delle libere
professioni, il recintato mondo accademico, il circo dei
politicanti di periferia, il terzo livello arrivista e
speculativo. E non va dimenticata qualcuna addirittura emigrata
dall'indorato enclave delle canzonette alla San Remo.
Esse godono, oltretutto, dei vantaggi di una categoria ben
retribuita quale quella dei politici di professione, oltre ad
essere talvolta ulteriormente compensate con non sempre
confacenti incarichi.
Ma la cosa più rattristante (e scandalosa) sta nel fatto che
codeste “mine vaganti” della politica si portano assiduamente
dietro, quasi per sinergia, folte schiere di portaborse in
gonnella, arroganti segretarie tutto fare, vestiariste e
acconciatrici, suggeritrici telematiche, che bontà loro formano
una sorta di impenetrabile “vallo” attorno alle loro datrici di
lavoro (si fa per dire) e complicano la vita a chi mai
desiderasse colloquiare alla pari con cotanto onorevoli prime
donne.
Lungi da qualsivoglia volontà di manifestare idee preconcette o
discriminatorie nei confronti del variegato mondo femminile, del
quale oltretutto fa parte il prezioso e meritorio settore delle
donne lavoratrici e di famiglia (pur se per secoli è stato
inteso come il “sesso debole” date le intrinseche diversità
fisiologiche e per via di taluni riflessi emozionali e reattivi
insiti, di massima, nella natura femminile), non va tuttavia
sottostimata, ove non ci si attenga seriamente al principio
della concreta meritocrazia (non quella d’alcova o da spregevoli
accordi sotto banco), la pertinente riflessione che non sempre
la parità operativa e sostanziale fra uomo e donna è pienamente
convalidabile.
Ciò vale, in particolare, per taluni specifici settori più o
meno delicati e di responsabilità riguardanti le dinamiche
funzionali e attuative delle Istituzioni di ciascuna entità
territoriale, oggi pericolosamente dominate da gruppi
egemonicamente avversi e antitetici pur se spesso determinanti
nella gestione della cosa pubblica, specie in relazione
all’incalzante incisività (non sempre positiva) della
supertecnologica e consumistica società umana, intesa nella sua
globalità.
Non è cosa facile stilare un elenco delle donne “in carriera”
(politica-istituzionale o manageriale che dir si voglia), sparse
in ogni angolo del Pianeta, mentre di contro, senza fare di
tutta l’erba un fascio, non è difficile constatare che molto
spesso sono ben poco grintose, competenti ed empatiche, quando
addirittura non traspare in loro un aspetto sgraziato,
arrogante, artefatto.
Il “pianeta delle donne” sembra tuttavia dominato da una sorta
di “solidarietà trasversale”, stile “editto bulgaro”, che punta,
senza infingimenti, alla indiscriminata affermazione del
“femminismo ideologico”, addirittura numericamente e
settorialmente fissato per legge o per regolamento.
Non sempre, in ogni caso, tale rivendicazione, seppure
ammissibile alla luce del sacrosanto principio della parità dei
sessi, si dimostra funzionalmente producente di positivi
risvolti.
Si afferma da più parti che, in genere e tranne i citati
eccezionali casi di alto valore etico e civile, il ruolo delle
donne in politica o nel sociale risulta essere “limitato e
talvolta ininfluente”, per come sta a testimoniare la cruda
esposizione dei dati disponibili.
Di contro, specie le Amministrazioni pubbliche locali, regionali
e di servizi collettivi, risultano spesso intasate, fatte salve
le debite eccezioni, da presenze femminili non rispondenti alla
bisogna e non produttive, la cui collocazione, se da una parte
rispecchia le percentuali di legge, dall’altra incide talvolta
negativamente sulla efficienza operativa di importanti gangli
vitali delle comunità.
Cosa che, di massima, avviene raramente nel settore aziendale
privato e della industria, ove la presenza femminile nei posti
decisionali di vertice è, di massima, apportatrice di positivi
risultati.
In conclusione le donne, nella stragrande maggioranza, almeno
quelle dotate del buon senso di cui madre natura le ha
gratificate, potrebbero essere (ma solo in talune circostanze
riescono ad esserlo) una autentica forza correttiva delle
deviazioni strutturali, sociali e morali cui ormai da secoli sta
andando incontro la composita autolesionistica società umana.
Ciò, in linea teorica, sarebbe più che possibile nella misura in
cui il segmento femminile di riferimento sappia rinunciare al
vuoto esibizionismo, alla smania del prevalere, alla pretesa di
un trattamento privilegiato, alla immodestia nella vita
pubblica, alla vanità di abitazioni faraoniche e, perché no,
alle smancerie della moda, del consumismo sfrenato, al vanto di
ricchezze magari infondate, alla ostentazione di preziosi
monili.
Il significato morale della popolare fiaba centrata sull’ingenua
imprudenza di “Cappuccetto Rosso”, ha insegnato ben poco a molte
spavalde esponenti del “gentil sesso” e il lupo cattivo è sempre
lì, pronto a divorarle, lieto o non lieto fine a parte.
27 9 2023 Luau
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