ATTI CONVEGNO
23 febbraio 2002 GIUDICI ONORARI
Gli atti del convegno di Catania del 23 febbraio 2002
organizzato dell'associazione regionale siciliana giudici
onorari aggregati sezione della corte d’appello di catania
Sommario:
1. Le sezioni stralcio dei tribunali e la durata ragionevole dei
processi”(presentazione di L. Barreca);
2. Introduzione ai temi del convegno del g.o.a. giuseppe
ferrante;
3. Le sezioni stralcio dopo tre anni e la lentezza della
giustizia italiana del g.o.a. Francesco furnari ;
4. Relazione di sintesi del convegno di giuseppe petrantoni
presidente associazione regionale g.o.a.;
5. La riforma della giustizia civile alcuni spunti di
riflessione in tema di efficienza nella p.a di francesco
ferrante;
6. Sulle “sezioni stralcio” dei tribunali civili intervento di
giancarlo scardillo;
7. Mozione dei giudici onorari aggregati delle sezioni stralcio
del tribunale di catania.
***
Atti del convegno sulla magistratura onoraria
(presentazione di L. Barreca)
Anche se ho cessato di far parte da qualche anno della
magistratura onoraria, ho mantenuto un forte legame con una
categoria che, come ebbi modo di riferire anche in passato, era
ed è utilissima alla soluzione dei problemi della giustizia.
I Giudici Onorari Aggregati da qui a breve concluderanno il loro
mandato, esaurendo il carico che era stato loro affidato.
I risultati complessivi, anche alla luce delle fisiologica
quantità delle impugnazioni, sono certamente ottimali, anche in
termini di qualità finale del prodotto “sentenza”, e non solo in
termini di “rapidità” della definizione dei processi.
Sotto il profilo economico, i costi sono davvero irrisori, se
paragonati a quelli della magistratura ordinaria.
Ho quindi ritenuto opportuno render noti tali risultati
attraverso le pagine della nostra rivista, ospitando le
relazioni che seguono.
Tali considerazioni, sono ampiamente sviluppate nella relazione
del G.O.A. Ferrante, che ha aperto i lavori.
Da Ultimo, I G.O.A. hanno ritenuto di approvare una mozione, con
cui invitano il governo a non disperdere ed a non vanificare la
professionalità acquisita.Condividendo tali riflessioni,
aggiungo che sarebbe davvero uno spreco, dopo aver comunque
contribuito alla formazione di una classe di “magistrati
onorari”, che ha mostrato di dare buoni risultati, vanificare
tutto e disperdere il patrimnio acquisito.
La sete di giustizia in Italia è enorme, siamo uno dei paesi
dove è più alto in assoluto il livello di contenzioso.
Sicchè, vi è e vi sarà certamente uno spazio da ritagliare in
favore dei Giudici Onorari Aggregati, che possa contribuire al
contempo ad affrancare il carico di lavoro dei Giudici Togati.
LINO BARRECA
--**--
ASSOCIAZIONE REGIONALE SICILIANA GIUDICI ONORARI AGGREGATI
Sezione della Corte d’Appello di Catania
ATTI DEL CONVEGNO TENUTOSI A CATANIA IL
23 FEBBRAIO 2002
SUL TEMA:
“Le Sezioni Stralcio dei Tribunali e la durata ragionevole dei
processi”
INTRODUZIONE AI TEMI DEL CONVEGNO
Del G.O.A. Giuseppe Ferrante
Porgo i saluti ed i ringraziamenti, anche a nome dei miei
colleghi, ai relatori, alle Autorità ed agli intervenuti per la
loro partecipazione a questo convegno, ove ci accingiamo a
dibattere temi già oggetto di importanti e frequenti
appuntamenti tenutisi a Catania ed in altre sedi. Mi è gradito,
prima di iniziare i lavori, formulare a S.E. il dott. Alicata i
nostri auguri per il suo compleanno, che coincide con la
conclusione della sua lunga carriera, illuminata sempre da una
fede intensamente vissuta, svoltasi con esemplare ed operosa
dedizione ed elevata professionalità nei ruoli più diversi ed
importanti fino a quello di Primo Presidente di questa Corte di
Appello. Di lui, nelle occasioni di incontro, con mio grande
rammarico recenti e poche , ho avuto modo di apprezzare, in
special modo, la saggezza, il garbo e, soprattutto, la umanità
associata ad una salda umiltà, virtù necessarie per rendere
Giustizia con prestigio, autorevolezza ed efficacia e per
dirigere con successo l’importante distretto di Catania. Siamo
stati testimoni commossi dello spessore non comune della sua
spiritualità mercoledì, quando Lei ha di getto, con il cuore in
mano, pronunciato il suo discorso di commiato, denso di
sincerità e, nel contempo, di profonda cultura. Le mie non sono
frasi di circostanza, ma un sintetico ed unanime giudizio che ho
potuto raccogliere nel foro catanese e presso gli appartenenti
all’Ordine giudiziario. Le auguro, sig. Presidente, un futuro
lungo e sereno, assicurandoLe che Lei continuerà ad essere di
guida e di esempio a tutti coloro hanno avuto il piacere e la
fortuna di conoscerla, giovani e meno giovani.
Nel momento in cui si discute nel Paese della riforma del
processo civile e della sua ragionevole durata, mi è apparso
naturale che anche noi Giudici aggregati sottoponessimo alla
pubblica opinione il nostro punto di vista, elaborato sulla
scorta delle esperienze maturate a tre anni dal funzionamento
delle Sezioni Stralcio, che ci hanno consentito di osservare da
vicino e nel suo interno il sistema della Giustizia civile ed i
suoi problemi. Il nostro intento è di contribuire, uti cives, al
lavoro di ricerca e di studio in corso di svolgimento in sede
ministeriale, nell’associazione nazionale Magistrati e nelle
università, circa i modi e gli strumenti con cui procedere al
suo necessario ed improcrastinabile risanamento. Ci è estranea
la voglia di protagonismo o l’ambizione di carriera, per ovvie
ragioni di età. Ci spetta, però e quantomeno, il diritto ed il
dovere di interloquire perché ci consideriamo il manipolo dei
settecento Giudici, che, male equipaggiati, forniti solo di
mezzi propri e di buona volontà, hanno impedito, lavorando sodo
insieme al resto della Magistratura, il “disastro” nella
Giustizia Civile. Memore degli insegnamenti di padre Davide
Maria Turoldo, che ho avuto la fortuna di conoscere negli anni
70, oso dire che la nostra “paupertas” di risorse ci ha aiutato
ad essere un tantino virtuosi. Fatta questa premessa, vengo al
tema del convegno.
L’essere nella Comunità Europea ha comportato per lo Stato
italiano l’obbligo anche, fra numerosi altri di natura economica
e finanziaria, di osservare diversi vincoli giuridici fissati
dagli organi comunitari nell’interesse della pacifica e civile
convivenza e della crescita morale ed economica dei cittadini.
Uno di questi è quello di rendere, nella più rigida salvaguardia
della effettiva autonomia ed indipendenza dell’ordine
giudiziario, il nostro apparato di giustizia, fatto di schemi
organizzativi superati ed, a volte, arcaici e, per questo,
inefficienti, capace di giusto processo, che “giusto” non può
mai essere se i suoi tempi superano ogni civile e paziente
ragionevolezza, come purtroppo finora è avvenuto ed avviene. Di
fronte a questa gravissima insufficienza del sistema, che può
essere causa, insieme ad altre, di indebolimento delle strutture
sociali e democratiche del Paese, quasi “obtorto collo”, lo
Stato Italiano è stato costretto a correre ai ripari ed
intervenire varando importanti ed incisive riforme. E’ stato,
quindi, riformulato l’art.111 della Costituzione, laddove si è
affermato il principio ed il diritto del cittadino alla durata
ragionevole di ogni processo, e si è poi varata la legge
24.3.2001 n.89, nota come legge Pinto, che ha dato attuazione,
fra l’altro, alla convenzione per la salvaguardia dei diritti
dell’uomo.
Le Sezioni Stralcio sono nate, con un parto molto sofferto e
contrastato, prima ancora del varo di queste importantissime
riforme stante l’esigenza, non più rinviabile, di anticipare
l’attuazione del citato principio procedendo alla eliminazione
dell’arretrato civile formatosi fino al 1995, col proposito di
chiudere definitivamente una fase storica della Giurisdizione,
che non era stata in grado, fino a quel momento, di
corrispondere adeguatamente ai bisogni di giustizia dei
cittadini, e di dare inizio, in concomitanza della nascita del
Giudice unico, ad una nuova fase che fosse esente da ritardi ed
insufficienze. Il primo obiettivo si può ritenere quasi del
tutto raggiunto, essendo stato eliminato prima dei tempi
previsti ben 4/6 dell’arretrato, il secondo un po’ meno alla
luce dei dati statistici, da cui si ricava che nelle cancellerie
civili, successivamente al 1995, si va accumulando altro
arretrato, nonostante vi sia stato un apprezzabile aumento della
produttività. Una delle cause dei ritardi è certamente la
destinazione al settore penale di molti giudici.
Ciò atteso, a me corre l’obbligo, quale Giudice aggregato più
anziano, fornire in questa sede gli elementi conoscitivi utili
per stabilire se le Sezioni stralcio ed, in particolare, le due
di Catania, quale espressione di uno specifico ed importante
segmento della giurisdizione, abbiano o meno dato o contribuito
a dare una efficace risposta a questa domanda di Giustizia e con
quali oneri per lo Stato, domanda che attende, in non pochi
casi, da oltre 10 anni. Ho elaborato quindi delle tabelle , che
vi illustro:
Tabella n. 1- Da essa si ricava che dal marzo 1999 al 31.1.2002
le due Sezioni hanno definito circa 8.100 cause, di cui 4.650
con sentenza, su un originaria pendenza di 11.803 cause. Il
collega Farina del Tribunale di Catania mi ha comunicato che
anche in quella Sezione si è registrata una riduzione delle
pendenze iniziali da 6257 cause a 1726 a tutto il 13.2.2002-
Tabella n. 2- Da essa emerge che il numero delle impugnazioni
avverso le sentenze emesse dalle Sezioni deve ritenersi
fisiologico. Ho limitato la mia personale indagine sull’anno
2000 per l’ovvio motivo che le impugnazioni avverso tali
sentenze sono ormai improponibili. Su 1704 sentenze, ne
risultano impugnate soltanto n. 254, tra il 14%-15% circa-. Tale
campione appare ampiamente rappresentativo anche per gli altri
anni.
Tabella n. 3- Si è potuto stabilire che per ciascuna sentenza è
stata riscossa mediamente un’imposta di £.1.000.000- Lo Stato
ha, quindi, incassato, ad oggi, 4 Miliardi e 650 milioni di
lire. Sono stati anche espressi gli effetti indotti dalla
definizione di questi processi, stabilendo che, fissato per
difetto il valore medio per controversia pari a £.100 milioni,
la comunità locale ha goduto dei vantaggi relativi
all’immissione di capitali nel circuito commerciale e produttivo
di circa 500 miliardi di lire, senza contare gli effetti
economici determinati dalla chiusura delle altre cause definite
senza sentenza. Gli onorari liquidati , indicati per difetto in
£.10 milioni per controversia, ammontano a £.50 miliardi, su cui
gravano l’iva al 20% e l’irpef media del 30%- Ha inoltre
incassato, per diritti di cancelleria ed imposta di bollo,
all’inizio e nel corso della causa, non meno di £.350.000 per
controversia.
Tabella n. 4 – Da essa si ricava che, per il funzionamento delle
Sezioni stralcio di Catania, lo Stato ha speso in tre anni la
somma complessiva di £.1.463.000.000 circa, pari ad una quota
infinitesimale delle somme che lo Stato ha incassato quale
prezzo del servizio Giustizia espletato dalle Sezioni, pur
escludendo gli altri effetti finanziari indiretti ed indotti.
Sia detto, per inciso e per coerenza con quanto da me sostenuto
in precedenti scritti, che l’eventuale aumento dell’indennità
annuale fissa lorda non provocherebbe un aumento della
produttività dei G.O.A., ma, probabilmente ne causerebbe la
diminuzione. E’ di comune esperienza che lo “stipendio fisso”,
non integrato da compensi stabiliti secondo meccanismi
incentivanti, non rappresenta una buona terapia. Solo l’aumento
del compenso correlato alla quantità di lavoro prodotto,
determina, certamente non all’infinito, un incremento della
produttività media per Giudice. Questi criteri sono
concettualmente contenuti nelle leggi di riforma della P.A. e
non costituiscono, quindi, una novità o un modo di privatizzare
il servizio, ma uno sperimentato metodo utilizzato nel privato
applicabile anche, senza che ciò debba costituire motivo di
apprensione o di scandalo, al servizio Giustizia, pur con la
necessaria prudenza e nei limiti in cui non abbia a trasformarsi
in un sofisticato strumento di sfruttamento o di pericolosissimo
controllo politico. Ma non è il caso nostro, anche se i G.O.A.,
alla luce di quanto finora è accaduto in negativo nei loro
confronti, avvertono il concreto pericolo di essere considerati
ed utilizzati come merce di scambio da sacrificare sull’altare
dei compromessi politici. Per la parte governativa, infatti,
costituisce una tentazione e per la Magistratura di carriera un
timore ed una minaccia, se quest’ultima decidesse di trincerarsi
caparbiamente dentro la sua cittadella, rifiutando proposte
alternative diverse dalle sue. Noi, privi con evidenza di
qualsiasi potere di contrattazione, non siamo come i barbari
alle porte o come i bersaglieri a Porta Pia decisi ad espugnare
il fortilizio, ma, ribadisco, cittadini desiderosi di porre
estremo rimedio, con profondo senso di responsabilità, ad una
situazione insostenibile, convinti che a vincere, su tutti gli
altri interessi, debba essere quello della collettività ad una
amministrazione della Giustizia da Paese di alta civiltà
giuridica.
I dati e le indicazioni fornite, per la loro evidente
oggettività e facile lettura, sono utile materiale di
valutazione empirica per i relatori, consentono una concreta
disamina dei temi del convegno ed un pertinente giudizio sulla
nostra fatica. Ometto i confronti con il prodotto ed i costi
riguardanti il resto della Giurisdizione civile, sia per la
disomogeneità dei dati da confrontare, ma, soprattutto, per
evitare infruttuose polemiche. Tocca, infatti, agli altri e non
a noi Giudici aggregati, facili a suggestioni trionfalistiche o
corporative, il giudizio sui risultati da noi conseguiti e gli
eventuali confronti. Sento, comunque, in piena coscienza, di
affermare, che in questi tre anni siamo stati, insieme a tutti
gli altri Magistrati professionali e non, guidati dal desiderio
di essere utili alla Comunità, nel pieno rispetto della legge e
delle istituzioni, ma, soprattutto dei cittadini.
In questa fatica ci ha sorretto l’etica della responsabilità,
forse perché quali anziani avvocati siamo stati partecipi ed al
contempo vittime dei disservizi della Giustizia nel corso della
nostra ultra trentennale attività professionale, che ci ha dato
modo di rilevare vizi ed insufficienze, ma anche l’abnegazione,
le virtù ed in molti casi, purtroppo, l’eroismo fino al dono
della vita.
Non è facile stabilire a chi ed in quale misura addebitare la
responsabilità della crisi, ma non siamo qui per farlo. E’
opportuno però che i politici, i magistrati e gli avvocati
sappiano finalmente riconoscere autocriticamente le loro
rispettive colpe, rinunziando, per una volta, alle reciproche
accuse ed alle sterili polemiche. Occorre ad ogni costo evitare
che il pur necessario confronto ideologico o di categoria
degeneri in un progressivo gioco al massacro della Giustizia,
atteso , peraltro, che la indagine sui problemi della Giustizia
Civile, su cui siete chiamati a discutere, si presta ad una
trattazione di tematiche giuridiche e di tecniche giudiziarie
diverse, meno ardue o più neutre di quelle richieste nel settore
della Giustizia penale, laddove la caratura e la fisionomia
degli interventi implica il superamento di aspre e radicali
impostazioni dottrinali ed ideologiche, per loro obiettiva
natura dirompenti e capaci di bloccare o ritardare una
equilibrata soluzione dei gravi problemi della lotta alla
criminalità.
Ed allora noi ci chiediamo e vi chiediamo: a) se è opportuno ed
ha ancora senso puntare sul monopolio dell’amministrazione della
Giustizia civile da parte dei Giudici professionali, pur se di
fatto è avvenuta una progressiva estensione di questa
Giurisdizione ai Giudici laici, che, per quanto ci riguarda, non
si possono erratamente considerare “non professionali”, in
quanto reclutati dal grande bacino dell’avvocatura e della
docenza universitaria. b) se è opportuno e vantaggioso per il
Paese, tenuto conto della particolare urgenza degli interventi
richiesti e del fatto che sta per essere radicalmente innovato
il processo civile, speriamo più agile ed aderente all’era della
tecnologia, coniugare l’introduzione di nuove norme processuali
con l’utilizzazione di Giudici laici, decidendo di spostare
delle energie professionali dal settore civile a quello penale,
del tutto prioritario e bisognoso della presenza di Magistrati
di carriera altamente qualificati, con la conseguente
attribuzione di una quota della giurisdizione civile, diversa da
quella del Giudice di pace, ai laici ed utilizzando al meglio,
motivandoli ed esaltandone la funzione, i funzionari ed il
personale di Cancelleria. Si sottolinea, a tale proposito, che
la progressiva precarizzazione del posto di lavoro è una misura
socialmente riprovevole ed inidonea per ottenere efficienza, che
poggia, invece, sulla responsabilizzazione degli individui,
sulla effettiva informatizzazione dei servizi e sulla
introduzione di meccanismi incentivanti, normativamente
regolamentati ma scarsamente praticati nella P.A. c) se tale
operazione è vantaggiosa e possibile nel breve periodo sotto il
profilo della legittimità costituzionale, dell’efficienza e
della spesa, alla luce dei dati esposti e dell’analisi
economica. d) se ha senso insistere sul progressivo ampliamento,
al di fuori del normale ricambio, dell’organico del personale
della Magistratura di carriera, considerato che l’eventuale
adozione di questo rimedio, certamente di non breve periodo,
costringerebbe l’utente della Giustizia ad ulteriori attese e,
quel che è più grave, provocherebbe la progressiva
delegittimazione o discredito dell’intero Ordine Giudiziario,
indicato, da molti con malizia, quale esclusivo responsabile
della crisi. Sarebbe, ad esempio, opportuno mutuare dalla
organizzazione giudiziaria di tipo anglosassone modi diversi di
reclutamento della Magistratura, ma tenendo conto della nostra
specificità sociale, politica e culturale. e) se non è venuto
finalmente il momento di bandire coraggiosamente dal processo e
dalle aule di giustizia ogni ipocrita finzione, prendendo
onestamente e decisamente atto che non esiste da molto tempo
l’assistenza in udienza del segretario, che i verbali vengono
scritti dagli avvocati nei corridoi, che le sentenze ed ogni
altro provvedimento vengono solo eccezionalmente redatti dai
dattilografi, che la necessaria solennità è sostituita da una
scomposta folla di avvocati e parti vocianti intorno al tavolo
del Giudice, che il personale demotivato continua ad annotare su
polverosi registri l’iter faticoso dei processi nel lento
trascorrere dei lustri, che il costo di una procedura esecutiva
immobiliare delegata ai notai è, a volte, pari o maggiore al
compenso annuo di un funzionario, magari disposto e preparato ad
assolvere lo stesso servizio per un compenso molto più modesto,
che i Giudici sono costretti ad implorare con apposita domanda
scritta e depositata in cancelleria la fornitura di carta ed
inchiostro per il proprio computer e che le altre numerose
disfunzioni, di cui sono vittime quotidiane i frequentatori del
tempio della Giustizia, permettetemi questa definizione dal
sapore blasfemo, hanno minato fino alle radici la credibilità di
questo fondamentale servizio. Una razionale organizzazione delle
risorse materiali ed umane, ed in particolare l’uso diffuso
degli strumenti informatici, potrebbe assolvere con maggiore
precisione il lavoro di decine di impiegati, da utilizzare
proficuamente e con loro certa gratificazione in attività più
importanti e delicate. Ben venga, quindi, il c.d. ufficio del
giudice, modernamente attrezzato, dove il processo potrà
svolgersi con il coinvolgimento di personale pienamente
gratificato dalla funzione esplicata, da impiegare nella
corretta e puntuale certificazione degli atti, nell’attività di
ricerca giurisprudenziale e di relazione con il foro ed il
pubblico. L’Ufficio del Giudice costituirebbe il centro
propulsore e di gestione dei tempi del processo, del cui normale
andamento diverrebbe principale responsabile. In questa
prospettiva ha giustificazione distinguere fra il momento della
istruttoria o della raccolta delle prove (o del tema probandum),
da demandare parzialmente alle parti sotto la sorveglianza di un
giurista, ed il momento della decisione ( o del tema decidendum),
nel quale il Giudice, lo affermo per esperienza diretta, non
incontrerà quelle difficoltà a decidere temute da molti. Basta
dire che i G.O.A. hanno correttamente definito un buon 50% delle
cause assegnate, pur non avendo gestito direttamente e
personalmente la fase istruttoria. I veri tempi del giudizio,
così, sarebbero rappresentati da quelli della fase decisoria,
certamente brevi, misurabili in giorni e mesi e non in anni. Il
mantenimento della centralità e del dominio del Giudice
sull’intero processo è teoricamente auspicabile, ma rappresenta
un principio chiaramente utopistico, se si considera che durante
l’iter della maggior parte dei processi, per vari ed
indefettibili motivi che tutti conosciamo, si succedono almeno
due o tre Giudici.- Su questi ed altri temi diretti a ridurre i
tempi della Giustizia vi è abbondante letteratura, su cui i
convegnisti avranno modo di discutere. In particolare mi limito
a segnalare il tentativo obbligatorio della conciliazione ed un
migliore e più diffuso uso dell’art.96 c.p.c.
Vi invito, concludendo, ad ipotizzare per un momento quali e
quanti sarebbero i benefici effetti nel breve periodo,
soprattutto nella lotta alla criminalità via via più agguerrita
e diffusa, se si decidesse pragmaticamente, insieme alla riforma
del processo, l’utilizzazione, previa accurata selezione, di
giudici provenienti dall’avvocatura nel lavoro di “spegnimento”
di aree di crisi riguardanti il processo civile, ogniqualvolta e
laddove tale situazione di crisi abbia a verificarsi. Questi
Giudici potrebbero costituire una forza di pronto intervento,
che non abbisogna di alcuna fase e spesa di addestramento, a
costo zero, come ho avuto modo di dimostrare. Si eviterebbe, ad
esempio, che il cittadino meno accorto ingenerosamente possa
dire “vedete quanto ci costa la pigrizia dei Giudici”,
ogniqualvolta egli legge sui giornali di sentenze comminanti
condanne dello Stato per danni provocati dalla “non ragionevole”
durata del processo o, assai peggio, debba indignarsi al
dilagare progressivo della criminalità.
Ritengo di potere affermare che con la creazione di una tale
forza di pronto impiego verrebbero realizzati i tre importanti
obiettivi, che tutti i cittadini auspicano, di una Giustizia
civile più celere, più efficiente, più flessibile alle mutabili
esigenze e più rispettosa della spesa pubblica. L’elevato
spessore culturale, professionale ed etico della nostra
Magistratura di carriera mi impedisce di credere che essa possa
divergere radicalmente dall’analisi e dalla proposta da me
prospettate. Devo però onestamente riconoscere che da recente
sono divenuti via via più frequenti ed importanti i segnali di
convergenza e di minore rigidità verso questi temi provenienti
dall’Associazione Nazionale Magistrati, soprattutto in tema di
produttività. Ho letto con attenzione le proposte di riforma del
processo civile emerse nel recente convegno di Roma della A.N.M.
e, per buona parte, le condivido. Da esse positivamente emerge
che i Magistrati hanno finalmente acquisito, anche se con
qualche riserva e perplessità, la piena consapevolezza che il
varo del nuovo processo deve essere necessariamente accompagnato
dalla fattiva collaborazione di una Magistratura laica, pur
omettendo di indicare come regolamentarla. Non si nota più
quella miopia preconcetta, manifesta fino a poco tempo fa nei
documenti della A.N.M.-
Solo con interventi fondati sulla concretezza e sul pragmatismo,
il Paese sarà posto in grado di recuperare il grave deficit di
legalità e di uscire dalla crisi. Non desta meraviglia, su
questi problemi, l’atteggiamento dogmatico e difensivo tenuto,
fino a qualche tempo fa, da una parte non minoritaria della
Magistratura, ben sapendo che l’istinto di conservazione è nella
natura dell’uomo, che teme sempre pericoli da qualsiasi
innovazione nella quale vede sospettosamente ostacoli, nemici ed
intenti punitivi, laddove, invece, vi sono amici fidati,
soluzioni realistiche dei problemi e concreti vantaggi per lui
e, soprattutto, per la comunità.
Confido che queste mie indicazioni, non sufficientemente
approfondite per ragioni di tempo e di rispetto per chi mi
ascolta, siano utili, quantomeno, per stimolare un sereno e
proficuo dibattito, auspicando comunque che non si non litighi
sui principi, consapevoli, come certamente siamo, che l’etica si
difende con regole efficaci e puntando dritto verso i risultati
e gli interessi dei cittadini, in nome dei quali, non
dimentichiamolo, i Giudici sono chiamati a rendere giustizia. Vi
ringrazio per la attenzione da voi prestata a questa mia
esposizione, che spero giudicherete sincera e trasparente,
confessandovi presuntuosamente di essere uno dei pochi o dei
tanti, non li ho contati, ancora capace di rabbia e di denuncia
per le molte cose che non vanno. Vengo spesso invitato alla
prudenza nel relazionarmi col prossimo e ciò mi deprime perché
mi induce a pensare ad un tipo di comunità i cui appartenenti
autoriducono per timore o per soggezione, in un atteggiamento
emotivo e personale, gli spazi del civile confronto fra opinioni
diverse. Preferisco però essere giudicato imprudente piuttosto
che pavido. Vi ringrazio ancora.
Tabella n. 1
Giudizi assegnati alle Sezioni Stralcio n. 11.803 + 250 circa
delle Preture, per un totale di 12.053;
n. 8.100 giudizi esauriti fino al 31.01.2002 di cui n. 4.650 con
sentenza.
Giudizi pendenti al 31.01.2002, n. 3.953
Tabella n. 2
N. 254 impugnazioni su n.1704 sentenze emesse nell'anno 2000.
Percentuale delle impugnazioni poco meno del 15%.
Questo campione può essere ragionevolmente rappresentativo anche
per gli altri anni.
Tabella n. 3
Imposta di registro riscossa mediamente su ogni sentenza
£.1.000.000.
Importo complessivo dell'imposta su 4.650 sentenze £.
4.650.000.000.
Onorario medio liquidato per controversia £. 10.000.000, su cui
grava l'I.V.A. al 20% e l’I.R.PE.F. media del 30%
Tabella n. 4
Costo netto complessivo delle Sezioni Stralcio di Catania in tre
anni £. 11.463.750.000, così calcolato: Costo per n. 4.650
sentenze £ 1.116.250.000, ridotta del 30% quale aliquota media
dell'I.R.PE.F.; £. 813.000.000 Indennità annuale di £.
20.000.000 corrisposta a ciascun Giudice per un complessivo di
£. 650.000.000, al netto dell'I.R.PE.F. al 30%.
La tassa di iscrizione a ruolo e l'imposta di bollo pari a £.
350.000 circa per causa coprono gli altri costi.
Ipotesi sommaria di smaltimento dell'arretrato civile formatosi
dopo il 1995 nel Tribunale Unificato di Catania dati statistici
indicati nella relazione del Procuratore Generale a pagina 115 e
segg.:
Capacità annuale di esaurimento del Tribunale Unificato di
Catania di n. 10.838 cause.
Sopravvenienza annuale n. 9.641 cause. Pendenze al 30.06.2001 n.
20.273 cause, di cui circa la metà da considerare arretrato
tenuto conto che le sopravvenienze annuali sono pari a circa
10.000 cause.
Capacità di smaltimento annuale delle Sezioni Stralcio nel
periodo considerato n. 3147 cause.
Ipotesi dei tempi di smaltimento di tutto l'arretrato civile
successivo al 1995 pari a circa 10.000 cause da parte delle
Sezioni Stralcio con organico completo di 18 Giudici, fornito
però di risorse materiali ed umane analoghe a quelle delle
normali Sezioni in particolare computer, collegamento al Ced,
assistenza di personale di cancelleria, biblioteca e materiale
di cancelleria di varia natura: anni 2 e mesi 6, nell'ipotesi
ragionevole di un incremento della capacità di esaurimento
annuale elevata da 3147 a 4000 processi l'anno dovuto
all'effettivo utilizzo di tutto l'organico ed all'aumento atteso
della produttività pro capite.
Il costo dell'operazione sarebbe coperto, estrapolando le
indicazioni che provengono dai dati effettivi, dalle entrate per
imposte varie derivanti dalla "definizione" di tale arretrato,
salvo errori ed eventuali omissioni.
La durata media dei processi diverrebbe di un anno circa.
L'eventuale aumento dei compensi per sentenza ai Giudici
aggregati sarebbe ugualmente coperto dalle predette entrate.
--**--
LE SEZIONI STRALCIO DOPO TRE ANNI E LA LENTEZZA DELLA GIUSTIZIA
ITALIANA
(intervento del G.O.A. Francesco Furnari)
Entrando nel palazzo di giustizia di Milano dalla porta centrale
rileggo quelle sagge massime latine: “iurisprudentia est
divinarum atque humanarum rerum notitia, iustiatque iniusti
scientia, iuris praecepta sunt haec honeste vivere, alterum non
laedere,suum cuique tribuere; sumus ad iustitiam nati, neque
opinione, sed natura costitutum est ius”.
Mi chiedo: come mai noi popolo latino, discendente da quei
grandi giureconsulti romani, allora i primi nel mondo, oggi
siamo in tema di giustizia gli ultimi di Europa ?
La Corte Europea dei diritti dell'Uomo condanna al 95% l'Italia
e per il restante 5% tutti gli Stati aderenti al Consiglio
d'Europa per la violazione dell'art. 6, par. 1 della Convenzione
europea dei diritti dell'uomo sulla durata non ragionevole dei
processi.
Occorre, pertanto, affrontare il problema della lentezza della
giustizia ed individuarne le cause.
Innanzitutto, nel ringraziare gli intervenuti per le parole
gratificanti sul consuntivo delle Sezioni Stralcio, dobbiamo
ritenere che non può costituire una lode il resoconto di tre
anni di funzionamento delle Sezioni Stralcio per la minore
lentezza della giustizia amministrata da queste Sezioni e per la
bassa percentuale degli appelli, i quali non hanno superato il
14 per cento, poiché i giudici di tali Sezioni sono in maggior
parte avvocati con 40 anni di attività professionale, sicché
l'elevato numero di sentenze depositate sono il normale frutto
della loro maggiore esperienza.
Ora. a mio modesto avviso, tra le cause della lentezza della
giustizia ne emergono due principali:
1) Il reclutamento dei magistrati.
Il magistrato può partecipare al concorso subito dopo la laurea,
al contrario del praticante avvocato, che deve osservare un
periodo di almeno due anni di pratica forense prima di sostenere
l'esame di Stato, per cui il giudice all'inizio e un inesperto e
corregge negli anni la sua inesperienza sulla pelle dei
cittadini, in modo particolare oggi, dopo la soppressione del
Pretore, per cui egli sin dai primi passi e Giudice di
Tribunale. I suoi inevitabili errori sono un danno ed
intralciano la giustizia; ciò non si verifica nel sistema
anglosassone, ove il candidato per partecipare al concorso della
magistratura deve avere prima esercitato per molti anni la
professione dell'avvocato nelle due categorie del “solicitor” e
del “barister”.
2) L'arretratezza.
Il modo come il magistrato applica la legge, la mancanza delle
strutture, gli adempimenti burocratici e fiscali sono
decisamente superati dai tempi.
Basta osservare una sentenza della Corte Europea dei Diritti
dell'Uomo per accorgersi che essa e fatta di poche righe di
esposizione in fatto, altrettante di quella in diritto e più
breve ancora e il dispositivo. Essa viene pubblicata in
“internet” e se ne può estrarre copia dal computer lo stesso
giorno della decisione, senza bolli, né diritti di rilascio, né
formula esecutiva.
In Italia, quindi siamo indietro e lo siamo anche nelle
strutture giudiziarie, mancano aule, Cancellieri e dattilografi
perché lo Stato finora ha speso assai poco per la giustizia.
La lentezza della giustizia, a mio avviso è la conseguenza del
modo anch’esso arretrato come viene applicata la giustizia in
Italia. Questo concetto è stato espresso in un mio intervento
all'Università di Catania in occasione dei Convegno Nazionale
dei Filosofi del Diritto. L'Università Italiana è ancora oggi
baronale e feudale, essa fornisce inutili disquisizioni teoriche
e non è collegata con la vita pratica del diritto, motivo per
cui il giovane laureato, che ancora ventenne diventa magistrato,
crede ciecamente in quelle teorie dei diritto e venera la legge
come un santo, non accorgendosi che la legge è solo una regola
sociale mutevole nel tempo; essa non è un fine, ma un mezzo per
raggiungere la giustizia. Ciò non significa che il giudice è
“legibus solutus”, dovendosi egli servire della legge, come il
pittore della tela e del colore per dipingere il quadro, che è
l'opera finale, ne ciò significa andare contro il principio di
legalità, sancito dall'art. 101, 2° comma, della Costituzione,
tanto apprezzato giustamente da Piero Calamandrei, né proporre
il giudizio di equità per tutti i casi, come previsto fino al
valore di £. 2.000.000 dal 2° comma dell'art. 113 c.p.c., poiché
a mio avviso la legge deve costituire al contempo il mezzo ed il
limite per il giudice, il quale è tenuto ad applicare una
volontà che non e la sua, ma quella contenuta nella norma
giuridica; infatti, come dicevano i giureconsulti romani, “scire
leges non est earum verba tenere, sed vim ac potestatem.
Il giudice italiano invece cerca a tutti i costi l'applicazione
rigida della legge non la giustizia e ciò e dimostrato nel caso
in cui, per esempio, dopo 15 anni rigetta la domanda dichiarando
il difetto di giurisdizione ed argomentando con una lunga quanto
inutile sentenza che si trattava di interessi legittimi e non di
diritti soggettivi.
Si tratta di bizantinismi e sembra che siamo rimasti al 1300
dopo Cristo, cioè ai modi filosofici di amministrare la
giustizia nell'impero romano d'oriente, in spregio ancora
all'insegnamento latino: “littera occidit, spiritus autem
vivificat”.
Occorrono, quindi, non solo mezzi economici, ma anche nuovi
metodi e diversa mentalità del giudice, il quale dovrà capire
che la sua missione e rendere giustizia e non rendere legge,
perché il cittadino non chiede affatto l'applicazione formale
della legge (per ciò basterebbe il computer), ma semplicemente
giustizia.
Finché la cultura giuridica italiana non si evolverà e non farà
proprio questo concetto sarà inutile ampliare gli organici ed
assumere nuovo personale di magistrati, perché la giustizia sarà
sempre burocratica e lenta, fino a quando il giudice italiano
non avrà capito che la giustizia non e burocrazia, né atto di
imperio o di arroganza ma solo umanità, per la salvaguardia dei
diritti dell'uomo.
--**--
RELAZIONE DI SINTESI DEL CONVEGNO
di Giuseppe Petrantoni
Presidente Associazione Regionale G.O.A.
La numerosa ed interessata partecipazione al convegno di tante
personalità rappresentative dell'Ordine Giudiziario e del
Parlamento e la loro responsabile riflessione sul grave ed
irresoluto problema dei ritardi della Giustizia Civile, ha
conferito al nostro incontro già un primo contributo
sull'effettiva volontà di formulazione di proposte di agevole ed
immediata attuazione per la più idonea risoluzione del problema.
Preso atto, com'era di doverosa evidenza, che l’intervento delle
Sezioni Stralcio, così come ormai riconosciuto unanimamente dai
Procuratori Generali, dal Procuratore Generale presso la
Cassazione, dai Ministri della Giustizia avvicentatisi, dal
Presidente della Repubblica e dagli Ordini degli Avvocati, ha
pressoché esaurito l'enorme mole di arretrato civile
consolidatosi fino al 1995 (relazione Giudice Aggregato Avv.
Ferrante ed intervento del Sig. Presidente della 1^ Sezione
Stralcio del Tribunale, Dott. Lucchese); che le perplessità
iniziali sono state superate dal risultato del lavoro dei
Giudici Onorari Aggregati e che la loro esperienza ha funzionato
oltre che per la qualità dei prodotto anche dal punto di vista
economico della produttività (relazione del Sen. Prof. Guido
Ziccone); che tanto gli esponenti dell'Avvocatura quanto quelli
della Magistratura hanno sostanzialmente concordato sul ricorso
alla giustizia onoraria per il conseguimento di quelle risposto
immediate che l'odierna Società esige (relazione Avv. Leonardi e
Avv. Stazzone ed intervento del Dott. De Marco, Presidente della
Sezione di Catania dell’Associazione Nazionale Magistrati); che
in definitiva tutti gli intervenuti hanno concordemente
convenuto sull'opportunità di non far disperdere e di utilizzare
al meglio questo patrimonio di uomini e di esperienza vieppiù
specializzatosi per la gravosità dei compiti affrontati e
positivamente risolti, ( per come conferma la scarsa incidenza
delle decisioni appellate).
Le conclusioni più indicative che un'occasione così qualificata
di incontro e di dibattito ha offerto, sono le seguenti:
-Gravità ed improcrastinabilità del problema Giustizia Civile;
-Sostanziale efficacia risolutiva del rimedio GG.OO.AA.;
-Entità e disponibilità di un patrimonio professionale
sperimentato;
-Convenienza ed economicità di impiego in termini di costi
benefici
--**--
LA RIFORMA DELLA GIUSTIZIA CIVILE ALCUNI
SPUNTI DI RIFLESSIONE IN TEMA DI EFFICIENZA NELLA P.A
di Francesco Ferrante
Università di Cassino
Introduzione
I tempi lunghi della giustizia civile e l'incertezza che a essi
si associa sull'estensione effettiva dei diritti a contenuto
patrimoniale e sul valore delle transazioni, rappresentano
elementi di forte preoccupazione per l'economista poiché
incidono significativamente sull'efficienza complessiva del
sistema economico e sulla sua capacità di generare benessere.
Tale incertezza si traduce, per usare una terminologia cara
all'economista, in elevati costi di transazione, cioè in
significativi costi d'uso dei mercati, che ne riducono
l'efficienza complessiva.
Quest'esito si realizza non solo perché gli operatori sono
sottoposti ad un'alea eccessiva sull'estensione effettiva dei
diritti di proprietà ma anche perché, venendo ad essere minata
la fiducia nello stato di diritto, risulta impoverito il
capitale sociale relazionale, elemento primario che sta alla
base del funzionamento di una moderna economia di mercato. La
storia anche recente c'insegna che lo sviluppo socio-economico
di una nazione è condizionato dalle dimensioni di tale capitale
relazionale e che il suo impoverimento può essere causa di gravi
crisi economiche e politiche (si veda il caso recente
dell'Argentina) e della messa in discussione del contratto
sociale che sta alla base delle moderne democrazie. Spero che
questa premessa fornisca sufficiente giustificazione alla
presenza di un economista ad un dibattito sull'efficienza della
giustizia civile.
Evidentemente, tenuto conto anche dei tempi a disposizione, sarò
costretto a limitarmi ad alcuni spunti di riflessione che non
hanno alcuna pretesa di riassumere l'articolata e consolidata
letteratura economica rilevante in questa materia.
La prospettiva dell'economista nell'affrontare le problematiche
legate all'efficienza della giustizia è, evidentemente, diversa
da quella del giurista. La differenza sostanziale di metodo tra
giuristi ed economisti va attribuita al fatto che i primi
analizzano i comportamenti umani in termini normativi, cioè
avendo a riferimento il dover essere mentre gli economisti si
occupano degli incentivi economici latu sensu, che stanno alla
base dei comportamenti effettivi degli individui. Quindi, mentre
i giuristi sono principalmente interessati a principi e norme
astratte, alle quali dovrebbero conformarsi i comportamenti, gli
economisti guardano soprattutto al grado d'adeguatezza degli
incentivi rispetto agli obiettivi desiderati e,
conseguentemente, agli eventuali cambiamenti richiesti affinché
gli incentivi siano quelli appropriati rispetto agli obiettivi
prefissati. Due termini chiave esprimono il tutto: l'economista
si occupa di efficacia e di efficienza delle azioni umane nei
diversi contesti specifici - siano essi un'impresa privata, la
P.A., un'organizzazioni no-profit o il nucleo famigliare - a
prescindere dalla rispondenza di queste azioni alle norme morali
i giuridiche.
In termini generali, la possibilità di valutare l'adeguatezza di
un dato assetto organizzativo nel generare incentivi appropriati
ai fini perseguiti - cioè la possibilità di effettuare
valutazioni di efficienza ed efficacia - richiede che siano
soddisfatte alcune condizioni:
Che siano esplicitati puntualmente gli obiettivi delle azione/
comportamenti oggetto di analisi;
Che siano identificate e misurate correttamente le relazioni di
causalità tra azioni e risultati (ad es., nel caso di
un'impresa, potremo chiederci se il suo fallimento sia
addebitabile ad un management inadeguato o, in alternativa a
causa di fattori di mercato imprevisti ed imprevedibili; o, nel
caso, di un'azienda locale dei trasporti, se il deficit di
bilancio dell'azienda dipende da scelte sbagliate del management
o da fattori esterni incontrollabili).
Ove ciò sia realizzabile, risulta anche auspicabile:
porre in essere i cambiamenti appropriati (se, nell'esempio
precedente, la causa del deficit è esterna ed io licenzio dei
buoni managers evidentemente non faccio un buon servizio agli
azionisti….);
remunerare coloro che partecipano alla realizzazione del
risultato in funzione del loro contributo effettivo alla sua
realizzazione.
Evidentemente, le difficoltà nell'attuare concretamente queste
procedure dipendono dal contesto specifico al quale sono
applicate, tipicamente, dalle opportunità che esso offre di
realizzare tutti i passaggi richiesti per una corretta
valutazione di obiettivi, azioni e risultati. Nel caso di
attività di mercato, l'operazione risulta facilitata dal fatto
che il valore/risultato delle azioni è fissato oggettivamente
attraverso gli scambi realizzati sul mercato, il quale
costituisce l'arbitro di ultima istanza dei comportamenti
individuali e delle organizzazioni. Così, pur con tutte le
qualificazioni del caso, la remunerazione di un lavoratore o di
un manager costituisce la valutazione attribuita dalla
collettività attraverso il mercato del contributo che questi
ultimi danno all'attività di produzione di beni e servizi.
Evidentemente, più complessa è la valutazione dei risultati
dell'attività della P.A., per la quale non esiste spesso un
mercato di riferimento, se non quello politico che si attiva
nelle fasi di consultazione elettorale e che presenta, comunque,
elevati gradi di imperfezione.
Al di là della maggiore facilità di valutazione dalle attività
di mercato, un'impresa privata che opera sul mercato condivide
con la P.A i problemi legati alla valutazione del contributo
individuale delle proprie risorse umane al risultato finale e,
conseguentemente, quello della costruzione di un sistema
corretto di incetivi incentivi (quanto remunerare i managers?
Quali schemi di carriera incentivanti utilizzare?). Le
difficoltà non hanno certo indotto le imprese a rinunziare ai
tentativi di trovare soluzioni adeguate che, in gran parte, sono
esportabili all'ambito pubblico. Occorre a questo proposito
notare come non pochi economisti abbiano evidenziato che
l'efficienza di un'organizzazione non dipende tanto dalla sua
natura pubblica o privata, quanto dalla bontà dei sistemi di
incentivi che le sono propri.
Le difficoltà nel valutare l'efficienza nelle organizzazioni che
non agiscono sul mercato hanno indotto in passato a adottare due
approcci, di diversa ispirazione ideologica, nel valutare
l'attività della P.A. e gli spazi da destinare a essa:
il primo si basa sull'idea che, poiché l'attività della P.A non
è controllabile e genera inefficienze sarebbe opportuno ridurla
al minimo, privatizzando il più possibile;
il secondo, pur riconoscendo tali difficoltà e affermando il
primato della presenza pubblica in alcuni settori della vita
collettiva, propone quale soluzione intermedia l'utilizzo di
meccanismi che, attraverso la simulazione del funzionamento del
mercato all'interno delle P.A, generino appropriati incentivi e
consentano di avvicinarsi ai risultati voluti, anche in queste
organizzazioni.
E' a questa seconda filosofia che desidero dedicare spazio in
questa sede. In particolare, ritengo che l'introduzione delle
sezioni stralcio costituisca un interessante esperimento che ha
generato, al di là dei buoni risultati in termini di riduzione
dell'arretrato, informazioni utili al fine di predisporre
meccanismi virtuosi di simulazione del funzionamento del mercato
nell'ambito dell'organizzazione della giustizia.
Economia delle organizzazioni e del personale: il problema della
misurazione delle performance e degli incentivi nell'ambito dei
servizi per la giustizia
Sul tema dei meccanismi di valutazione dell'efficienza delle
P.A. esiste oramai, su scala internazionale, un ricca e
consolidata letteratura a cavallo tra economia, sociologia e
diritto nonché numerose esperienze applicative di successo. Devo
ammettere che la cosa per me più sorprendente è che, nell'ambito
dei dibattiti sull’organizzazione della P.A., le indicazioni
provenienti da questa letteratura e dalle esperienze
internazionali siano state lasciate, tranne alcune eccezioni, al
margine. Con la conseguenza che, nel nostro paese, la
progettazione delle istituzioni responsabili dei vari settori di
attività in ambito pubblico è stata quasi sempre realizzata
senza tenere conto del fatto che queste ultime camminano sulle
gambe degli individui i quali, dati i valori di riferimento
individuali e collettivi, agiscono in risposta a precisi
incentivi sia di natura monetaria (retribuzioni e loro
evoluzione, premi, fringe benefits) che di natura extra
monetaria (es. status, sanzioni disciplinari, carriera).
Sulla base di questa prospettiva parziale, gran parte
dell'attenzione del legislatore è stata dedicata alle regole
astratte di comportamento, alla previsione delle procedure
formali, dimenticando che i comportamenti degli individui che
agiscono nelle organizzazioni aderiscono a quelli astratti o
previsti e le istituzioni raggiungo gli obiettivi fissati solo
in quanto due condizioni fondamentali risultino soddisfatte:
le risorse umane e materiali assegnate risultino adeguate
rispetto agli obiettivi fissati;
il sistema effettivo degli incentivi sia stato disegnato
coerentemente con i risultati desiderati.
Non me ne vogliano i giuristi presenti, ma ritengo che questo
sia anche il risultato di un eccessivo peso avuto dalla cultura
giuridica, a scapito di quella economica, nell'ambito delle
progettazione delle attività della P.A., elemento che ha indotto
a mantenere sempre in secondo piano gli aspetti di efficienza ed
efficacia. Cioè, l'analisi economica del diritto amministrativo.
Una delle principali conseguenza di questa approccio è che il
mancato raggiungimento dei fini istituzionali, nei vari ambiti
di azione pubblica, non ha portato a domandarsi, in prima
istanza, se risorse e incentivi fossero adeguati bensì a
discutere la bontà degli obiettivi e delle procedure formali,
condannando il paese ad un perenne processo di riforma che
congestiona l'apparato amministrativo nelle sue diverse
articolazioni, non ultima, quella della giustizia.
Ritengo che gli spunti di riflessione qui proposti forniscano
elementi alquanto oggettivi ed utili ad identificare almeno una
parte delle ragioni effettive dell'inefficienza della giustizia
civile, la cui misura più emblematica sono i tempi lunghi di
conclusione delle procedure. A questo proposito, l'esperienza
delle sezioni stralcio ha messo in luce tre punti che meritano,
a mio parere, attenzione:
la riforma delle procedure è un aspetto importante ma forse non
centrale per ridurre i tempi della giustizia civile;
la dotazione di risorse di supporto all'attività della
magistratura nelle sue varie articolazioni è sicuramente un
problema centrale all'efficienza della giustizia che va
analizzato in maniera puntuale;
vi sono spazi per significativi miglioramenti di efficienza
nell'uso delle risorse legati all'utilizzo di sistemi
retributivi incentivanti che, sicuramente, vanno meglio
calibrati; questa conclusione deriva dai dati sul numero
pro-capite di sentenze dei GOA e induce a ritenere che sia
possibile rispondere alla domanda di giustizia con un servizio
qualitativamente omogeneo rispetto a quello realizzato dalla
magistratura ordinaria (i dati sulla incidenza degli appelli ce
lo confermano) ad un costo per unità di servizio erogata
sostanzialmente inferiore.
Queste conclusioni forniscono indicazioni utili all'impostazione
degli interventi di riforma del sistema nella direzione prima
indicata, in particolare appare non eludibile:
un adeguamento delle risorse di supporto all'attività della
magistratura civile;
l'introduzioni di sistemi di valutazione, retribuzione e di
progressione nella carriera legati, in quanto possibile, ai
risultati effettivamente conseguiti;
la creazione di un'organizzazione amministrativa di supporto,
gestita secondo criteri di efficienza, da personale a ciò
qualificato non appartenente ai ruoli della magistratura;
la creazione di un’autorità di controllo autonoma
Il tipo di informazioni necessarie ad intervenire nei tre ambiti
sopra elencati sono in parte le stesse e riguardano le corretta
ricostruzione delle caratteristiche del processo di produzione
di servizi della giustizia, cioè l'identificazione del
contributo delle varie componenti che partecipano alla
erogazione del servizio - risorse umane, materiali ed
immateriali - ai risultati finali. Tenuto conto del tempo a
disposizione, mi concentrerò sul punto sub (b), relativo alla
fattibilità di un sistema di indicatori di risultato ai quali
collegare meccanismi retributivi e di carriera di tipo
incentivante.
Ritengo opportuno precisare che qualsiasi innovazione
istituzionale realizzata in questo campo debba garantire il
rispetto del principio costituzionale irrinunciabile della
separazione dei poteri, assegnando eventuali competenze in
materia di valutazione e controllo ad un organismo neutrale ed
autonomo rispetto agli altri poteri, in particolare, a quello
esecutivo.
In alternativa, se ciò non risultasse politicamente fattibile,
ritengo preferibile l'attuale stato di cose al rischio che
l'introduzione di meccanismi di controllo della produttività si
possa tradurre in una lesione dell'autonomia della magistratura.
Indicatori di performance e i sistemi retributivi e di carriera
incentivanti
Il concetto centrale e articolato che entra in gioco quando si
discute di valutazione dell'operato della P.A. è quello di
accountability o possibilità di verificare le azioni rispetto
agli obiettivi e di essere chiamati a rispondere per le azioni
svolte. I presupposti dell'accountability e della fattibilità di
schemi retributivi incentivanti sono sostanzialmente due:
la possibilità di fissare obiettivi chiari, articolati e
quantificabili
la possibilità di correlare le azioni individuali o di gruppo ai
risultati al fine di distinguere i contributi dei singoli o del
gruppo e il ruolo giocato dai fattori non controllabili.
I passi necessari in questa direzione sono:
A. L'identificazione di parametri di efficienza significativi
nell’ambito della produzione dei servizi della giustizia
(multidimensionali e articolati per funzioni omogenee);
B. L'individuazione dei fattori specifici che influenzano la
produttività nella erogazioni dei servizi e concorrono a
determinare a produttività di singole unità omogenee di
personale od organizzative;
C) L'elaborazione di sistemi di indicatori che consentano di
effettuare confronti di produttività su scala nazionale e per
ambiti omogenei di funzioni e di affinare nel tempo gli
indicatori.
Queste informazioni appropriatamente trattate dovrebbero
consentire, attraverso aggiustamenti sequenziali, di ricavare
informazioni utili agli scopi prima descritti e cioè:
individuazione dei fabbisogni di risorse materiali ed umane di
supporto e dei criteri per la loro efficiente allocazione;
costruzione di meccanismi retributivi e di carriera che
consentono di collegare in maniera corretta impegno, capacità e
risultati.
Tenuto conto della gravità dei problemi legati alla durata dei
processi, ritengo che sia divenuto non eludibile affrontare la
riforma della giustizia civile a partire da una corretta analisi
della situazione, che riconosca il ruolo dei meccanismi sopra
descritti. Il lavoro da fare è molto ma l'esperienza maturata in
altre realtà potrà essere di ausilio nel ridurre i tempi di
attuazione e gli errori di percorso.
--**--
SULLE “SEZIONI STRALCIO” DEI TRIBUNALI CIVILI
Intervento di Giancarlo Scardillo
Già s’è detto del perché della sofferta istituzione delle
Sezioni Stralcio, della non più procrastinabile esigenza di
procedere all’eliminazione dell’arretrato dei giudizi civili
fino al 1995.
Anche dei risultati conseguiti dalla due Sezioni Stralcio
catanesi già abbiamo sentito e sono stati forniti dati
statistici più che soddisfacenti.
Dei dati fornitici, desidero ricordare soltanto quelli afferenti
i costi e gli introiti per le casse dello Stato, relativi alle
due Sezioni Stralcio catanesi: per il funzionamento delle due
Sezioni Stralcio di questo Tribunale, lo Stato ha speso
orientativamente la somma omnicomprensiva (comprensiva, perciò,
di spese di Cancelleria, locali, materiale e quant’altro, nonché
degli emolumenti corrisposti) di circa £. 1 miliardo 463 milioni
(in particolare, la retribuzione per ciascun giudice delle
Sezioni Stralcio è, al lordo, di £. 20.000.000 annue, che si
riducono a £. 10.000.000 annui (sempre lorde), se il giudice
gode di redditi, di qualunque natura, oltre i 60.000.000 (lordi)
l’anno. A tale fisso vanno aggiunte £. 250.000 (lorde) a
sentenza).
L’esperienza delle Sezioni Stralcio, i risultati positivi
conseguiti, circostanza, questa, ampiamente ammessa e ricorrente
nelle relazioni della pressoché totalità dei Sigg. Procuratori
Generali in occasione dell’inaugurazione del corrente anno
giudiziario, dal Sig. Procuratore Generale presso la Corte di
Cassazione (il quale ha dato pubblicamente atto che fra i
fattori che hanno permesso un miglioramento dei risultati nel
settore civile, è da ricomprendersi la, testualmente, “decisiva
positività” dell’introduzione del giudice unico, delle sezioni
stralcio e dei giudici onorari aggregati) dal Sig. Ministro
della Giustizia (l’attuale e i due che lo hanno preceduto) e dal
Sig. Presidente della Repubblica, consentono le seguenti
considerazioni:
1 – Ben può applicarsi anche all’Amministrazione della
Giustizia, con ogni opportuno adattamento, perfino il principio
di "esternalizzazione" delle funzioni che ha avuto grande
fortuna nell’ambito delle imprese industriali: esso consente di
"portare fuori" dall'ambito della magistratura cd. togata o
professionale, giudizi e funzioni in materia civile (ma
l’esperimento potrebbe estendersi all’amministrativo ed al
penale), affidandoli alla magistratura onoraria, in tal modo
velocizzando i giudizi con il consentire ai magistrati togati di
essere gravati da minor numero di processi, il tutto a costi
assai ridotti, addirittura ampiamente compensati e di gran lunga
superati dagli introiti che pervengono alla casse dello Stato
per ogni sentenza emessa in termini di imposte, bolli,
registrazione, ecc..
2 – S’è dimostrato che una autoreferenzialità totale della
magistratura togata non ha più ragione di esistere, perché molte
attività giurisdizionali possono essere degnamente e
proficuamente assolte da magistrati non togati, ove si curi
un’effettiva selezione dei soggetti da nominare, come, in
genere, è avvenuto per la nomina dei giudici onorari aggregati (G.O.A.):
avvocati con molti anni d’esperienza, magistrati a riposo,
avvocati e procuratori dello stato a riposo e delle avvocature
pubbliche, professori universitari e ricercatori universitari
confermati in materie giuridiche, notai anche in pensione.
Si tratta, allora, di confermare ed estendere l’esperienza,
affidando ai giudici onorari aggregati la trattazione di
controversie oltre il limite temporale di cui alla legge
istitutiva (la legge 22 luglio 1997 n. 276, volta a definire i
procedimenti civili pendenti avanti al Tribunale alla data dei
30 aprile 1995, fissa in cinque anni la durata dell'ufficio), in
tal modo evitando, oltre tutto, la dispersione, a danno della
“Giustizia”, perciò dell’intera collettività, di professionalità
già ampiamente acquisite, che hanno prodotto buoni risultati.
Il “materiale” certo non manca.
L’arretrato presso i Tribunali è ancora notevolissimo, presso le
Corti d’Appello i ritardi permangono endemici (e, come è logico,
maggiori sentenze di primo grado, comportano maggiori
“appelli”), la Sezione Lavoro è oberata da rilevantissimo carico
ed arretrato, altrettanto la Sezione Fallimentare, quella
Agraria, ecc..
E' tempo di comprendere, superando perniciosi “corporativismi” e
complessi da “primi della classe”, che l’ampliamento temporale e
funzionale che si propone offre, s’è dimostrato, indubbi,
tangibili vantaggi per la rapidità delle decisioni e per
l'alleggerimento del lavoro della magistratura togata, che
potrebbe maggiormente dedicarsi alla parte per certi versi più
delicata dell'attività giurisdizionale, quella penale, perché ad
essa si connettono le misure restrittive della libertà delle
persone.
Certo è illogico pretendere l’eventuale prosecuzione del lavoro
dei giudici aggregati mantenendo l’attuale retribuzione che,
pertanto, deve essere rivalutata alla luce degli anni trascorsi
dalla legge istitutiva, delle professionalità dei soggetti
nominati, della loro anzianità ed esperienza e dei positivi
risultati conseguiti nell’interesse pubblico.
Ove si tenga presente che la maggior parte dei giudici
aggregati, per bene servire, ha trascurato il proprio studio
professionale (o, addirittura, ha scelto la cancellazione
dall’Albo professionale), sembra doveroso un loro stabile
inquadramento nell’ordinamento giudiziario, in una qualunque
forma che, conservando l’attuale pressoché identità di compiti e
funzioni con il giudice togato, faccia salva la dignità di
anziani avvocati, e (pur se pochi) docenti universitari e notai.
A ciò non osta l’annunciato concorso per l’assunzione di 1.000
giudici togati: il tempo per l’espletamento del concorso, per
l’immissione in servizio dei vincitori, per il periodo di “uditorato”,
per l’assegnazione della Sede (presumibilmente non meno di 4 – 5
anni), in uno ai pensionamenti che frattanto interverrebbero, di
certo ancor più “affosserebbe” il sistema Giustizia (e, tra
l’altro, sia consentito affermare, giovani magistrati togati non
conseguirebbero, nell’immediato, i medesimi risultati di anziani
e selezionati giudici onorari aggregati, per legge istitutiva e
per legge di natura, dotati di notevole esperienza).
L’occasione per il proficuo inserimento dei giudici onorari
aggregati – certo, come si è detto, dignitosamente inquadrati e
retribuiti – ben potrebbe essere rappresentata proprio dalla
riforma, anch’essa annunciata, del processo civile.
Mi sia consentito concludere ricordando talune affermazioni,
perché di certo non confliggenti con quanto prima ho esposto,
stralciate da autorevoli interventi del Sig. Presidente della
Repubblica e dall’allora Sig. Presidente dell’Associazione
Nazionale Magistrati Dott. Mario Cicala.
Il Sig. Presidente della Repubblica:
1) In occasione della seduta del Consiglio Superiore della
Magistratura del 5 marzo 2001, così ebbe a dire:
"Nell'immediato, il problema degli organici va affrontato con la
più razionale utilizzazione dei meccanismi e delle risorse già
disponibili. Il Consiglio Superiore potrebbe elaborare su questo
tema il progetto di una nuova struttura degli uffici giudiziari
fondato sull'impiego di principi e metodi propriamente
"manageriali". Sullo sfondo dei problemi esaminati, va collocata
la cultura dell'amministrazione della giustizia, ispirata al
criterio della rigorosa valutazione della produttività dei
singoli magistrati. Per quanto riguarda i Giudici onorari
aggregati - sulla cui attività nel campo dello smaltimento
dell'arretrato civile, la maggior parte delle relazioni dei
Procuratori Generali formula giudizi positivi – debbo rilevare
che da alcune di tali relazioni risultano preoccupanti
scoperture degli organici”.
2) In occasione del saluto agli uditori giudiziari convenuti a
Roma per la scelta delle sedi il 17 novembre 2000 ha affermato:
“La "produttività" … del vostro lavoro è essenziale,
pregiudiziale all'ordinato svolgimento della vita civile. La
Costituzione è chiara: secondo la Costituzione nella vostra vita
professionale dovrete essere autonomi, indipendenti e soggetti
solo alla legge. Sulla tutela di questi valori fondamentali e
irrinunciabili, coessenziali al nostro ordinamento, come sulla
tutela della dignità della vostra funzione, vigila il Consiglio
Superiore della Magistratura. Ma i primi garanti della autonomia
e della indipendenza del vostro lavoro dovete essere voi stessi,
con la vostra irreprensibile condotta, con l'astensione da
comportamenti ed esternazioni non pienamente conformi all'etica
della vostra missione, con la capacità anche - all'inizio ho
parlato di umiltà - di accettare le critiche legittime al vostro
operato e di riconoscere gli errori eventualmente compiuti.
Il processo civile, per quanto riguarda lo smaltimento del
pesante arretrato, si sta attualmente giovando proficuamente del
lavoro dei Giudici Onorari Aggregati che operano nelle Sezioni
stralcio".
Il Dott. Mario Cicala in un articolo intitolato “Giustizia
malata” apparso in "Il nostro tempo" del 28 gennaio 2001, ha
affermato: “Le relazioni del Procuratore Generale della Corte di
Cassazione, dei Procuratori Generali delle 23 Corti d'Appello
italiane hanno ancora una volta sottolineato come il problema
della efficienza costituisca ormai il nodo centrale della crisi
della nostra giustizia e, quindi, del nostro stato che ormai è
difficile definire uno "stato di diritto", così come invece
vorrebbe l'art. 6 del Trattato Istitutivo della Comunità
europea. Lo stato di diritto è costume di vita, prassi costante,
modo di essere della Società; esso vive nella realtà concreta e
pertanto non è mai compiutamente e definitivamente attuato, ma
deve essere creato giorno per giorno dalle donne e dagli uomini
che vi appartengono; incalzati dal "senso dello Stato", cioè da
un impulso che induce a scavalcare egoismi e particolarismi in
una visione di alta idealità, che accomuna, quasi in una
religiosità laica, credenti e non credenti.
Tutti ogni giorno però dobbiamo amaramente constatare come
simile modello -nonostante il generoso sforzo di molti che
sovente hanno pagato con la vita il loro impegno- non sia
attuato in Italia; quindi dobbiamo condividere le allarmate
parole del Procuratore Generale della Cassazione Favara secondo
cui il processo è il "grande malato" della nostra Società. Vi è
del resto da sottolineare come dall'insieme delle relazioni
emerga un tema di immediato spessore: la rilevanza del fattore
tempo. Il decorso del tempo può vanificare lo steso oggetto del
giudizio ... il decorso del tempo cancella, attraverso la
prescrizione, la ragion d'essere della decisione punitiva.
L'eccessiva durata del processo mina la certezza del diritto, e
concorre a porre in forse la stessa prevedibilità delle
decisioni. Perciò ben a ragione il Procuratore Generale della
Cassazione ha criticato l'atteggiamento di molti magistrati che
insieme agli avvocati "tendono a formalizzare ogni controversia
in un processo di lunga durata e a rifugiarsi nei ritmi lenti e
comodi". La coscienza della necessità di ritmi processuali più
rapidi ed efficaci non è però rimasta nell'anno trascorso senza
qualche risposta. Si tratta per ora di timidi segni di
miglioramento - circoscritti al ramo civile- ma pur sempre di
speranze per una "inversione di tendenza" nelle leggi, negli
strumenti concreti per la gestione dei processi e nelle prassi.
Unanime è stato il giudizio positivo sull'opera del vasto numero
di giudici non di carriera o "onorari" che è stato messo in
campo da leggi recenti: giudici di pace e giudici onorari
aggregati hanno smaltito una notevole mole di lavoro; e le
preoccupazioni circa una insufficiente preparazione tecnica di
questi magistrati si sono rivelate in gran parte infondate".
--**--
MOZIONE DEI GIUDICI ONORARI AGGREGATI
DELLE SEZIONI STRALCIO DEL TRIBUNALE DI CATANIA
Magistratura Onoraria nell'Ordinamento Giudiziario: quali
prospettive? “Cui prodest " il modo col quale, a volte, la
Magistratura si misura con questi problemi ?
Da un sommario esame del "pensiero" della Magistratura di
carriera in ordine ai problemi relativi alla collocazione dei
Magistrati laici nella Giurisdizione emerge la preoccupazione,
sovrana su ogni altra, che siano chiamati a collaborare in
questa attività persone di buona preparazione professionale ed,
in qualche modo, dotate di regole idonee a salvaguardarne la
autonomia ed indipendenza e, quindi, di uno status diverso e più
articolato di quello vigente.
Troviamo fondata e legittima tale preoccupazione, ma rileviamo
come a volte sia errato e maldestro il tipo di approccio nei
confronti dei problemi, certamente gravi, di questa categoria da
parte di chi, pensando di difendere i principi dell'autonomia e
dell'indipendenza, lancia inconsapevolmente pesanti sassi nel
lago, già procelloso, dei numerosi Giudici laici.
Si dimentica, così, che senza la loro innegabile collaborazione,
l'amministrazione della Giustizia in Italia sarebbe in una crisi
probabilmente senza uscite; è infatti sconveniente chiamare i
pompieri e farli entrare nel Palazzo per salvarlo dalle fiamme,
e poi contestarne l'opera o l'utilità.
Questo giudizio si trae dalla concreta chiusura, di chiara
conservazione pur mascherata da una disponibilità verbale, a
ricercare future ed incerte soluzioni, dimostrata da settori
della Magistratura di carriera e della politica, verso i
problemi dei Giudici onorari.
Motivi di convenienza dovrebbero suggerire maggiore cautela,
atteso che questi giovani e meno giovani Magistrati laici,
reclutati nei modi più diversi ed impropri, in molti casi
amministrano con pienezza la Giurisdizione allo stesso modo dei
Giudici di carriera, della cui sicurezza sociale, professionale
ed economica sono quotidiani testimoni ma non fruitori.
E' inevitabile che i Magistrati laici traggano da questa loro
obiettiva condizione di lavoro i motivi per pretendere che
nell'agenda politica, insieme alle altre grandi tematiche della
Giurisdizione, entrino a far parte la scelta dei criteri per
uscire dalla loro evidente precarietà e, per quanto riguarda i
giovani, una riforma dei modi di reclutamento dei Giudici.
Ciò premesso, sorgono naturali le seguenti riflessioni:
1) se non sia il caso, in questo particolare momento di evidente
e gravissima emergenza della Giustizia, osservare soprattutto la
qualità, l'entità ed il costo del prodotto Giustizia comunque
reso dai Magistrati laici, così capovolgendo, in modo
chiaramente scientifico ed empirico, il senso delle indagini
indirizzate prevalentemente sui criteri, assai diversi fra loro,
di reclutamento dei Giudici onorari, ponendo invece sul tappeto
seri e concreti modi di proseguire nella loro massiccia
utilizzazione e fissando regole certe dei loro "status".
Per evitare una demagogica ed inammissibile sanatoria
relativamente ai Giudici Onorari di Tribunale ed ai Vice
Procuratori Onorari, si potrebbero mutuare dall'Ordinamento
Universitario regole e prassi ed, in particolare, il metodo
iniziale di cooptazione o selezione fra i migliori, da inserire
nel costituendo Ufficio dei Giudice con funzione gregaria e,
dopo non meno tre anni, un concorso per Giudice per titoli ed
esami, nel quale i titoli sono rappresentati dal prodotto
intellettuale ( provvedimenti giurisdizionali ed ogni altra
attività effettivamente svolta).
Tale operazione, corretta per i giovani, non ha alcun senso
ovviamente, anche per quanto si dirà appresso, nel caso degli
anziani Giudici aggregati di Tribunale, che hanno adeguatamente
svolto il lavoro a loro affidato.
2) Se non sia a questo punto utile e necessario agli interessi
della Comunità, una volta accertata la bontà o almeno la
sufficienza dei prodotto dei Giudici aggregati, già avvocati con
adeguata esperienza professionale e selezionati con apposito
concorso per titoli, prorogare la loro attività migliorandone il
trattamento, anziché disquisire sull'assurdo ed inutile quesito
se i Giudici Aggregati delle Sezioni Stralcio debbano essere
inquadrati o meno nei ranghi della Magistratura, atteso che gli
interessati non hanno ritenuto, pur possedendo idonei e certi
meriti, di chiedere una tale collocazione, estranea alle loro
aspirazioni.
Questa saggezza degli aggregati doveva essere motivo sufficiente
per recidere ogni motivo di sospetto o di timore chiaramente
paventato dai Giudici di carriera, che non perdono occasione,
però, contrariamente alle aspettative, per farne paludata
denuncia, di fatto opponendosi ad ogni ulteriore collaborazione,
e per chiedere che alla scadenza prevista i Giudici aggregati
cessino velocemente dal loro mandato.
Era ed è naturale aspettarsi dai Magistrati di carriera la loro
solidarietà per le richieste formulate dagli aggregati, ma, al
contrario, si spara stranamente sulla "Croce Rossa", laddove si
consideri che il compenso annuale medio al netto delle imposte,
lavorando a tempo pieno, non supera per costoro € 15.493,71 –
18.075.99 (30 35 milioni), importo che in molti casi viene
utilizzato per ottenere una misera pensione forense di vecchiaia
di £.1.200.000 mensili.
Non reca meraviglia il fatto che gli aggregati e gli altri
reagiscano energicamente e con astio a queste assurde posizioni,
atteso che essi mai hanno espresso opposizione alle legittime
richieste sindacali della Magistratura di carriera.
3) Se sia utile ed abbia senso, quindi, da parte di non pochi
sprovveduti, non si trova altra definizione, continuare
velatamente a domandarsi se i Giudici Aggregati possiedano o
meno i "quarti di nobiltà" necessari per entrare a far parte
della Magistratura di carriera, così provocando banalmente lo
sconcerto tra gli aggregati e le condizioni di un meschino
confronto, che certamente non facilita la soluzione degli
urgenti problemi della Giustizia. Confronto che vede schierata
da un lato parte maggioritaria della Magistratura e dall'altro
parte dell'Avvocatura, a difesa ciascuna delle proprie creature
rispettivamente Giudice di Pace e Giudici aggregati dei
Tribunali. Sta di fatto che per costoro gli accertati e cospicui
risultati delle Sezioni Stralcio non hanno alcuna valenza, anche
se ottenuti duramente in presenza di ingenerose critiche e nere
previsioni, espresse con convinzione da opposti versanti sin dal
loro sorgere.
4) Se i parlamentari, già Magistrati di carriera, vogliano
anzitutto, nell'interesse dei cittadini, la concreta ed ottimale
soluzione dei problemi della Giustizia, come è nel loro attuale
mandato, assumendo i provvedimenti relativi alla utilizzazione
al meglio in futuro, con l'eventuale taglio di rami secchi, come
è auspicabile e corretto avvenga in tutti i settori della P.A.,
le Sezioni Stralcio oppure, anche nello specifico caso,
intendano schierarsi, al di là di ogni altro interesse ed in
modo dei tutto irragionevole ed incomprensibile, insieme a chi
si oppone al riuscito esperimento.
Queste considerazioni si propongono di spingere il dibattito su
temi scarsamente trattati nei convegni ma ampiamente discussi
nei corridoi, sui quali occorre fare definitiva chiarezza.
Gli anziani avvocati, prestati temporaneamente ed
eccezionalmente alla Magistratura, hanno infatti il diritto di
sapere con la necessaria tempestività se il positivo esperimento
delle Sezioni Stralcio avrà un futuro e con quali prospettive,
atteso che finora lo Stato, in un atteggiamento di chiaro sapore
mercantilista, ha dato a costoro poco e preso da loro molto, in
termini di gratificazione morale ed economica.
Essi avvertono "uti cives", infatti, il palese pericolo che
venga disperso inutilmente un patrimonio di risorse
professionali a tutto danno della Comunità, con un'operazione
volgarmente definita di "usa e getta", pur di venire incontro ad
una forte, ma immotivata e, per molti versi irragionevole,
opposizione di consistenti settori della Magistratura e
dell'Avvocatura.
Marzo 2002
Giudici Onorari Aggregati
1^ e 2^ Sezione Stralcio del Tribunale di Catania
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