25Agosto2022
Lectio euristica
Tra l’idea e la realtà,
tra la motivazione e l’atto,
cade l’ombra.
T.S. Eliot
Il caso Ettore Majorana, punto.
di Fernando Luigi Fazzi
Peccato che i dialoghi fra me e Leonardo Sciascia si sono
interrotti per l’incurabile malattia che portò u zuNardu alla
fine dei suoi giorni.
Nell’ultimo periodo della sua vita, nel prepararsi al trapasso,
non volle, ma soprattutto non poté, più affrontare “ problemi
spinosi e complessi ”, non per mancanza di lucidità mentale,
questa la conservò sino all’ultimo, ma proprio per mancanza di
forze fisiche.
I lunghi dibattiti richiedono non poche energie fisiche e
mentali, perché non sono coinvolte solo mente e parola, ma
sentimenti intimi che, ogni volta, è difficile esternare, se non
forzando la nostra interiore riluttanza nel darli “ in pasto ” a
chi spesso non ci capisce e quindi non è in grado di entrare
sulla stessa lunghezza d’onda.
L’interlocuzione si trasforma nel detto evangelico: “ Non
gettate le cose sante ai cani e le perle ai porci, perché non le
mettano sotto i piedi e non vi si volgano contro per sbranarvi
(Matteo VII,6) ”. Non tutto è fatto per tutti.
Così rimase fra cielo e terra la mia ipotesi su “ La scomparsa
di Majorana ”, di cui Sciascia ne ha fatto un best seller
internazionale, sul quale ancora oggi si dibatte.
Senza nulla togliere al valore dello scritto duzuNardu
timidamente desidero analizzare, insieme a voi, ed a lui in
maniera postuma, le mie riflessioni, perplessità, conferme e
conclusioni sul caso Majorana.
Caratteristica fondamentale di Ettore era: una eccezionale
intelligenza scientifica, rivolta alla matematica ed alla fisica
quantistica nucleare. Direi piuttosto un genio. Una natura
timida, schiva, ombrosa, dal carattere melanconico, come tutti i
geni coscienti della propria diversità, e per la stessa isolati
ed autoisolati, per segni concreti di incompatibilità agli
altrui limiti, guerreggianti nei suoi confronti.
Sin dalla prima infanzia si accorge che l’ambiente sociale
(talvolta anche famigliare) gli è distante.
Non è capito, e lui non fa niente, per timidezza, per
sensibilità, per essere capito.
A quattro anni lo interrogano, per divertimento, a risolvere
radici quadrate di numeri multipli con virgola, e di potenze
plurime, alle quali risponde elaborando il risultato a mente, in
pochi secondi, da sotto un tavolo, per timidezza e vergogna,
recependo la sensazione come di “ figura da baraccone ”,
creandogli sofferenze, mutismo, introversione, riservatezza e
solitudine.
“ Stimmate caratteriali ” che si porterà dietro per tutta la
vita.
Visse Ettore, sin da bambino, il dramma di Mozart, il cui padre
portò Amadeus in giro per le corti europee, per lucro; i
Majorana per prestigio, per dare “ lustro ” alla famiglia.
Entrambi non rendendosi conto del male che avrebbero fatto alla
crescita dell’equilibrio psichico dei loro piccoli geni.
L’anima del genio, un’entità così astratta che dovrebbe portare
scritto in fronte “maneggiare con cura ”, e che invece la
società vessa con crudele grossolanità.
Subito una domanda: “ È stata questa irrequietezza interiore,
che gli ha scombussolato carattere e temperamento, tanto da
portare Ettore al suicidio?”.
“ Itispossible ”, dicono gli inglesi con l’acume da Sherlock
Holmes, della Polizia italiana di quei tempi.
A me, che le cose troppo facili e scontate fanno venire
l’orticaria, questa soluzione non mi convince, così cerco di
sollevare il coperchio per addentrarmi negli anfratti del
mistero, per farmene idea personale.
Descritto il carattere di Ettore, andiamo a costruire i fatti,
nel tentativo di“ricucire” i vuoti, come se fossero “ buchi neri
” nelle galassie del pensiero.
Non farò la storia, fra l’altro ben ricostruita da Leonardo
Sciascia con “ La scomparsa di Majorana ”. Oggi anche: il
Professore Antonino Zichichi; Mario Porro “ Ettore Majorana - La
scienza e la verità ”; Adolfo Bruno “ Il segreto di Majorana ”;
Eugenio Coccia “ I ragazzi di Fermi ”; Francesco Agnoli “ La
guerra silenziosa di Heisenberg ” …ecc. E poi Emilio Segrè:
Nobel, collega e amico di Majorana; Edoardo Amaldi, fisico dei “
ragazzi di Via Panisperna ”, divenuto operatore umanitario per
lo smantellamento delle armi nucleari, collega e amico di
Majorana; Laura Fermi, moglie ebrea di Enrico Fermi ecc, ecc,
ecc.
Nel mio piccolo, mi limiterò ad affrontare ipotesi sinora
incomplete, fuorvianti, poco chiare, evasive nei fatti: dalla
Polizia del tempo, a tutto ciò che ne è susseguito.
Iniziamo dai rapporti fra Ettore ed Enrico Fermi. E poi fra
Ettore ed Heisenberg, e le divagazioni col fisico danese
NielsBohr.
Nel 1929 Majorana a 23 anni si laurea in Fisica Teorica
all’Istituto di Fisica di Roma, diretto da Enrico Fermi.
Majorana era stato presentato a Fermi da Emilio Segrè, il quale
aveva convinto Majorana a passare dalla facoltà di Ingegneria a
Fisica, più consona alle sue capacità ed aspirazioni
scientifiche.
È fondamentale sapere che al primo incontro avuto con Fermi,
avvenuto nello studio dell’Istituto di Fisica - come
raccontaAmaldi - Majorana fu subito coinvolto nella ricerca
della soluzione di un modello statistico: “ il potenziale
universale di Fermi ” (in seguito denominato Thomas-Fermi), nel
quale Fermi e la sua “ equipe ” lavoravano da giorni con grande
incertezza, mediante l’aiuto di strumenti di calcolo.
Majorana diede un rapido sguardo alla tabella in cui erano
sequenziati i valori numerici e se ne andò.
L’indomani,ritornò da Fermi, chiese di rivedere la tabella che
aveva visto di sfuggita il giorno prima, estrasse un fogliettino
dalla tasca, lo mostrò a Fermi che trasalì dalla meraviglia.
Majorana in un solo giorno aveva trovato la soluzione certa che
confermava i calcoli di Fermi, trasformando “ l’equazione di
secondo grado di Thomas-Fermi ”, in “ equazione di primo grado”
di Riccati, integrata da una scala numerica.
Ad inizio anno 1928 Majorana entrò a far parte dei fisici
denominati “ i ragazzi di Via Panisperna ” a Roma, dove aveva
sede l’Istituto di Fisica diretto da Fermi.
L’aneddoto descritto è rappresentativo per capire come Fermi,
sin dal primo incontro venne a conoscenza delle doti “ geniali ”
di Majorana, il quale l’anno successivo conseguì la laurea in
fisica teorica con la tesi: “ La teoria quantistica dei nuclei
radioattivi ”, a pieni voti e lode.
L’inizio ed il prosieguo dei rapporti fra Fermi e Majorana sono
importanti per capire le sfaccettature positive o meno, che
hanno portato Ettore a fare scelte radicali al fine di formulare
una ipotesi plausibile della sua scomparsa.
Nel gruppo dei “ ragazzi di Via Panisperna ”, nonostante il
rapporto di reciproca stima, paritetica con Fermi — col quale
spesso entrava in competizione su calcoli complicatissimi, che
Fermi affrontava lentamente con il regolo calcolatore (una
specie di computer ante litteram),e Majorana rapidissimo a mente
— Ettore viveva l’ambiente con distacco e diffidenza, come
avviene fra il genio e gli altri, anche se intelligentissimi.
Il genio salta tutti gli scalini e vola da una punta a l’altra
dello scibile. Le altre menti, pur se illuminate, hanno bisogno
di salire la scala gradino per gradino, verificando ogni singolo
passo, per la durata di un tempo spesso indeterminato.
Altro aneddoto rappresentativo, Ettore si fermava ovunque fosse,
rapito dal “ lampo di genio ”, scarabocchiava nella carta delle
sigarette e tirava fuorisoluzioni che scherzando presentava ai
colleghi, i quali gli dicevano di pubblicarli, ma lui
appallottolava il bigliettino e lo buttava nel cestino. I
colleghi si precipitavano a recuperarlo.
Il genio sforna continue soluzioni, gli altri si bloccano alla
prima difficoltà.
Questa è la natura umana, ed alla natura non si comanda, se ne
prende atto.
Ed è quello che fece Fermi. Aveva per Majorana un infinito
rispetto ed ammirazione. Lo vantava in ogni contesto. Lo
esortava a pubblicare le sue geniali soluzioni. Majorana
ringraziava e soprassedeva. Durante il periodo di relativa
presenza presso l’Istituto, in un pacchetto di sigarette “
Macedonia ” di cui era fumatore, prese appunti sulla teoria del
“ nucleo fatto di protoni e neutroni ”, prima che
WernerHeisenbergla pubblicasse. Ettore, si rifiutò di
pubblicarla, dicendo che “ era roba da bambini ”; ed a
Heisenberg diedero, per tale teoria, il Nobel.
Gli altri prendevano il Nobel su cose che lui considerava “ roba
da bambini ”, e gli appunti li buttava come al solito nel
cestino della carta straccia.
Fermi lo esortò di accompagnarlo ad un congresso a Parigi, per
esporre la sua teoria sul nucleo. Non solo si rifiutò, ma proibì
a Fermi di parlarne. Più avanti vedremo cosa avvenne.
Sciascia definisce questi atteggiamenti: “ Oscuramente sente in
ogni cosa che scopre, in ogni cosa che rivela, l’avvicinarsi ad
un mistero di morte ” ( pag. 34 edizione Adelph).
Sente in quella materia per lui facile da sviscerare, facile da
aprire, come una melagrana, per estrarne i singoli chicchi, un
presagio, una divinazione di morte per l’umanità e per il mondo.
Potremmo definirla: “ la sindrome di una muta Cassandra ”.
Questo il punto chiave che solo uno scrittore illuminato,come
Sciascia, dalla mente fra: poeta, scrittore, psicologo,
indagatore, riesce ad “ afferrare al volo ”.
Più avanti lo verificheremo nel mettere insieme i cocci,
completandoli nel vuoto dei fatti, sic et simpliciter, “
invisibili ” all’occhio distratto.
Manca nel trattato meritorio di Sciascia, in quel raccogliere i
tasselli del puzzle della vita di Majorana, dalla
scomparsa,all’ipotesi della morte, un tassello oscuro per una
mente “ agnostica ” come quella di Sciascia. Ma importantissimo
al fine di completare il filo logico dell’enigma: “ la
religiosità ”.Credere in un Essere Superiore:“ laFede
”.Componente fondamentale per capire l’anima di una
persona;l’alfa e l’omega d’ogni essere umano.
Una cosa sottovalutata, perché sconosciuta, alle menti solo “
raziocinanti ”. Coloro che vorrebbero spiegare il mistero della
fede, con il ragionamento portato allo sfinimento,
vivisezionando ogni singola parte di un corpo per trovare “ la
particella della vita ”, l’anima pulsante, invisibile ai sensi,
principio e fine d’ogni vita, anche quella del singolo atomo o
parte millesimale di esso.
Majorana legato alla madre, e lei a lui, da un amore che
definirei “ religioso ”, era non solo credente, ma di una fede
incrollabile, e lo dimostrerò più avanti, con i fatti.
Nessuno ha affrontato con necessaria dovizia quest’aspetto del
nostro genio, facendo due più due, mettendo insieme i fatti.
Poiché il pensiero genera azioni, e le azioni esternano il
pensiero, creando deduzioni “ logiche ”, quelle che vorrebbero
trovare, i “ raziocinanti ” ai quali tutto ciò sfugge per “
presupponenza ”. Potrebbe loro passare un elefante sotto gli
occhi e non lo vedrebbero.A chi glielo farebbe osservare
direbbero come dicono che:“hai scambiato una nuvola per un
elefante. Le tue sono fantasie! ”.
Li commisero! Non si può essere “ giusti ” se non si ha in fondo
al cuore una fede ferrea nell’Ente Supremo ”, che tutto valuta e
di noi conosce.
La fede è una “ Grazia ” che solo lui può concedere o negare.Un
esempio per tutti: Saulo di Tarso.
Questa, una delle sostanziali differenze fra Majorana eFermi “
agnostico ”. Per non menzionare la velocità di pensiero:
Ferminel “ marasma”, che aveva bisogno dell’aiuto di strumenti e
di altre competenze di supporto, per trovare soluzione alle
proprie teorie. Majorana tutto a mente, velocissimo.
È questo il motivo per il quale Fermi avrebbe voluto la costante
presenza (aiuto) di Majorana? Risposta … Si!.
Seconda domanda:“ … per questo lo ‘ blandiva ‘, convinto che le
sue lodi lo avrebbero persuaso a “ supportarlo ” nelle ricerche,
nelle soluzioni, e nelle scelte? Risposta … Si!.
Terza domanda: “ … e per questi stessi motivi Majorana si è
sempre tenuto a debita distanza dal suo “ mentore ”? Risposta …
Si!
Perché Majorana non intendeva essere “ l’asso nella manica ” di
uno scienziato il cui unico fine erano le “ soluzioni
scientifiche ”, senza dubbi di coscienza sull’applicazione
pratica dei risultati sul nucleare. Cioè: “ auxilium ” a una
fredda mente scientifica.
Capita spesso che dopo i disastri ci sia un ripensamento, una
contrizione: Einstein; alcuni piloti che sganciarono l’atomica;
Oppenheimer … e molti altri. Non Enrico Fermi. Lui rimase sempre
orgoglioso del risultato ottenuto.Pago!, come Hitler, ed i suoi
accoliti, con la Shoah? A voi l’ardua sentenza!
Se Fermi fosse ancora vivo, gongolerebbe nel vedere che persino
la Repubblica delle Banane, oggi può costruirsi un armamentario
atomico: virtù di un’altra branchia dello scibile umano “ la
tecnica ”.
La tecnica: più che scienza “ sistema ”, che intende trasformare
la “ razza asinina ” in luminari, tramite l’osservanza
pedissequa di abecedari denominati “ Capitolati e Protocolli ”,
per insegnare i ciechi a vedere, gli storpi a camminare, gli
asini a volare, i cretini a sentirsi geni con i galloni sulle
spalle e i titoli roboanti nei bigliettini da visita, che
autorizzano il cretino alla richiesta di “ laute parcelle ”; e
congressi, e titoli da affiggere nel muro dello studio, a
incutere rispetto, al fine di sanguinosi riconoscimenti
economici.
Questo il mondo in cui Fermi era ideologo, ideatore,
sostenitore, primo attore, ligio esecutore.
Ritorniamo a Majorana, perché è l’esempio da portare come “
stendardo ” per le generazioni presenti e future.Questo, è
quello che vorrei.
Avvenne che, dopo il rifiuto di Majorana a partecipare al
Congresso di Parigi, in cui Heisenberg presentò la sua teoria
del nucleo formato da protoni e neutroni, “imperfetta!”
Sicuramente meno esatta di quella esposta da Majorana a Fermi,
che non volle: né pubblicare, né portarne a conoscenza il mondo
scientifico, né autorizzare Fermi a parlarne.
Alla fine dell’esposizione di WernerHeisenberg, Fermi,nel
congresso di Parigi,dichiarò che a stessa soluzione era già
arrivato da tempo Ettore Majorana. Infrangendo il patto di
alleanza con il genio di cui godeva stima e rispetto.
Da quel giorno, e per quel fatto, Majorana non svelò più a Fermi
i propri avanzati “studi sul nucleare ”.
Fra i due si creò una insanabile “ scissione ”, un lento e
progressivo allontanamento.
Nel 1933 Fermi, probabilmente al fine di recuperare il rapporto,
convinse Majorana a recarsi in Germania, all’Istituto di Fisica
di Lipsia, diretto da Heisenberg. Quasi certamente anche per
sapere a quale livello erano giunti in Germania nello studio del
nucleare.
Teniamo presente che successivamente, la soluzione per la
costruzione della bomba atomica basata sulla “ fissione nucleare
”, agli Americani, ed alla equipe da questi assemblata con
l’acquisizione dei più grandi scienziati atomici del mondo, la
diede la prima “fissione nucleare artificiale di un atomo di
uranio, mediante bombardamento neutronico ”, che porta la firma
di Enrico Fermi e dei “ ragazzi di Via Panisperna, suoi fedeli
collaboratori. A dire il vero, scoperta per caso. Neanche se ne
accorsero. Mentre se ne rese, perfettamente conto Majorana, sin
dal primo momento.
Il 20 Gennaio del 1933, Majorana si reca all’Istituto di Fisica
di Lipsia per conoscere Heisenberg. L’aneddoto è subito curioso
perché l’Istituto si trovava fra il macello e il cimitero; e
questa triade: macello-cimitero-Germania hitleriana = Istituto
di Fisica nucleare, sembra quasi emblematica.
Come vedremo, per Majorana quell’incontro fu decisivo.
Riporto come lo descrive Sciascia:
L’incontro con Heisenberg crediamo (plurale maestatis, al posto
di credo) sia stato il più significativo, il più importante, che
Majorana abbia fatto nella sua vita: e più sul piano umano che
su quello della ricerca scientifica. (pag. 46 de “ La scomparsa
di Majorana ” edito Adelph).
Frase “ lapidaria ” per la ricerca che stiamo conducendo.
Essa, in parole semplici ci dice: Heisenberg scientificamente
aveva poco da insegnare a Majorana, piuttosto aveva lui da
trarne profitto. Ma per Majorana fu la conferma che anche
Heisenberg“ temeva profondamente il nucleare ”, per un motivo
che si confessarono tacitamente: “ la immensa capacità
distruttiva”. Entrambi erano perfettamente consapevoli che
mettere nelle mani degli uomini un’arma così potente equivaleva
a dare all’uomo senza scrupoli, ai demoni della terra, la
possibilità di immensi disastri. La possibilità di distruggere
il mondo in maniera irreversibile: persone, animali, piante,
città, metropoli, terre, acque, lo spostamento dell’asse
terrestre, ogni forma di vita: l’Apocalisse.
La spada di Damocle che pende oggi sul mondo.
In quegli incontri e dialoghi, attraverso disegni, formule
-matematiche e scientifiche- entrambi maturarono la ferrea
decisione che nessuno di loro due avrebbe contribuito a
costruire gli ordigni malefici generabili con la scissione
nucleare.
Sciascia inquadra Heisenberg con una frase letteraria
incontrovertibile e chiara: era un filosofo “ euristico ” di
tipo socratico, l’amore per il “ bello, il buono, il giusto ”,
che non gli consentiva zittire la propria coscienza morale
sull’altare del demoniaco nucleare.
Per questo, sin dal primo momento entrarono in “ sintonia
empatica ”, quella che nasce dall’incontro di due anime simili.
Heisenberg non parlava l’italiano e Majorana non parlava
tedesco, ma dialogavano con gli strumenti dell’anima, attraverso
una comune componente: la scienza euristica, intuitiva.
La nostra descrizione qua potrebbe finire. Chiudersi. Lasciare
al pensiero del singolo il proseguimento e le deduzioni. Ma, se
mi fermassi non soddisferei la curiosità dei “santomasini ” che
vogliono mettere le dita nelle piaghe: toccare per credere.
Così sono costretto a proseguire, indagando i fatti, passo
passo, insieme a voi, per arrivare a una ipotesi calzante, ad un
pronunciamento chiaro, sulla scomparsa di Majorana. Come Agatha
Christie: offrire ai lettori, che con tanta pazienza mi stanno
seguendo, una “ UNICA, PLAUSIBILE, CONCLUSIONE ”.
Lasciamo Heisenberg alle sue angosce, e passiamo a Bohr, fisico
danese, professore di Heisenberg, che Majorana a seguire andò a
trovare; ritenendo di non poterne trarre profitto a causa di una
marcata senescenza. Lo definì “ rimbambito ”.
A dire il vero Bohr, a guerra mondiale dichiarata, avrebbe
potuto avere, per conto di Heisenberg, una funzione importante:
fare sapere all’America, ed agli scienziati di Los Alamas, che
il progetto atomico, in sue mani nella Germania di Hitler, era
da lui boicottato e non sarebbe arrivato alla costruzione della
bomba atomica. Il fine era chiaro, sospendere la costruzione
della bomba atomica, da parte dell’America.
Il messaggio purtroppo arrivò in America in maniera distorta,
per lo stato di rimbambimento di Bohr. Almeno così fu
dichiarato, non si sa se vero o per accelerare il “ Manhattan
Project ”, come era stata denominata la realizzazione della
bomba atomica. Ritengo, in ogni modo, che il progetto non
sarebbe stato interrotto.
Gli americani avevano deciso, il mondo aveva deciso: “ doveva
scorrere sangue, tanto sangue ” per lavare l’onta giapponese
dall’attacco a tradimento di “ Pearl Harbor ”, e lo sterminio
degli Ebrei da parte di Hitler ed i suoi fedeli tedeschi-ariani.
E se la guerra non avesse avuto una svolta decisiva, dopo lo
sbarco in Normandia e il bombardamento atomico di Hiroshima e
Nagasaki, sono certo che qualche propaggine della Germania
avrebbe subito un bombardamento atomico, possibilmente
depotenziato.
I morti, le immani distruzioni?: “ effetti collaterali! ”.
Questo che vi sto descrivendo, sono certo, erano cose ben chiare
nelle menti di Majorana e di Heisenberg.Il quale, quest’ultimo,“
boicottò ” con una capacità inverosimile la realizzazione
tedesca di una bomba atomica che, come dice correttamente
Sciascia: “ progettarla sicuramente poteva ” (pag. 51,13).
La stessa cosa non poté farla Majorana con Fermi! Majorana era
un’anima sincera, semplice e genuina, nonavrebbe sopportato né
il peso, né la possente pressione. Aveva paura che, anche
involontariamente, avrebbe in qualche modo potuto contribuire
alla fabbricazione di questo immane ordigno di totale
distruzione.
Su questa decisione rifletté per ben tre anni, tre anni di
inferno interiore.
Divenne ancor più cupo, scontroso, distaccato da tutti e da
tutto. Smise di frequentare l’Istituto di Fisica, gli incontri
amichevoli con i colleghi, e soprattutto con Fermi.
La possibilità di abbandonare l’Istituto di Fisica si presentò
con un concorso a cattedra per professore di Fisica presso
l’Università di Palermo. All’altro capo dell’Italia.
Come sempre, i vincitori del concorso, una triade, erano stati
designati a tavolino, già prima del bando: Gian Carlo Wick,
Giulio Racah, Giovanni Gentile (figlio del filosofo del
Fascismo) terzultimo. Partecipando al concorso, Majorana sarebbe
risultato in assoluto il primo, e Gentile sarebbe stato
scalzato. Con il compiacimento di Ettore che mal sopportava
l’ingerenza politica nel sistema meritocratico di chi è più
capace.
Che cosa possiamo farci? In Italia è una storia millenaria
legata al sistema “ baronale” che resiste ad ogni cambiamento,
come una “ disgrazia ”, una insanabile ferita. Nasce
dall’esigenza che “ la mediocrità ” ha bisogno di “ yes man ”,
per coprire la propria incapacità. Ed i politici, gli influenti
uomini di chiesa e di professione, hanno il compito di “
inserire ” i figli incapaci di uomini di potere in posti dove
possano fare “i ducetti ” e arraffare tanti soldi. La cosiddetta
“ virtù dei cretini ”. Così ben descritta da Laurance Peter, nel
suo libro dal titolo “ Principio di Peter ”, che sottintende: “
il principio dell’incapacità ”. Secondo l’inconfessabile
presupposto che “ anche i cretini hanno diritto di vivere
(bene)”.
Il guaio è che loro vivono immeritatamente bene, a volte
benissimo. Chi vive male sono le persone che subiscono i guai
che i cretini combinano, a raffica, senza tregua, senza neanche
dare il tempo a che il collaboratore capace e solerte metta le
pezze nei buchi creati dal cretino.
Il cretino si salva sempre, poiché scarica sul solerte
collaboratore errori e responsabilità. E questo purtroppo in
ogni settore, a macchia d’olio. Per questo in Italia mancano i
veri managers. Per inesistenza di “ meritocrazia ”.
Ogni tanto, molto raramente a dire il vero, si erge “ l’angelo
vendicatore ” che vuole fare giustizia, bollare i cretini ed
assegnare medaglie al merito. Ebbene quest’angelo viene: o
comprato, o zittito in ogni modo.
Per cui bisogna dedurre che “ il mondo è dei cretini ”. Almeno
in Italia. Anche in questo “ transea mundi ”.
Majorana non transige, e così Fermi gli fa assegnare una
cattedra di Fisica Teorica, all’Università di Napoli, per “
Chiara fama ”, sarebbe come dire molto di più di una “laurea ad
honoris causa ”, con il diritto all’insegnamento.
Questa soluzione Majorana la prese per quello che era “ un
raggiro ”, tanto che a distanza di meno tre mesi diede “ forfait
”. Anche perché, a Napoli sarebbe stato ad un “ tiro di schioppo
” da Fermi e dai “ i ragazzi di Via Panisperna ”, con in più
l’obbligo di pubblicare per continuare a meritarsi la “ Chiara
fama ”. Entrambe cose a cui non intendeva sottostare, nella
maniera più categorica.
La sera del 25 Marzo, prima di imbarcarsi sul postale Napoli -
Palermo, scrive una garbata lettera ad Antonio Carrelli,
direttore dell’Istituto di Fisica di Napoli, preannunciandogli
la sua prossima scomparsa e scusandosene per il fastidio che la
cosa avrebbe arrecato a lui, all’Istituto, ed agli studenti del
suo corso.
Bisogna premettere che, prima della partenza del 25 Marzo 1938,
Majorana aveva prelevato in banca tutti i soldi degli stipendi
universitari e la parte di eredità a lui spettante, richiesta
alla famiglia. Questo è un fatto certo.
Il giorno dopo scrive una seconda lettera a Carrelli, dal Grande
Hotel Sole di Palermo, insieme ad un telegramma, per dirgli “ il
mare mi ha rifiutato ” (depistaggio,conl’ipotesi di tentativo
disuicidio) e che quella sera avrebbe preso il postale Palermo -
Napoli. Confermava la decisione di lasciare l’insegnamento.Al
rientro si sarebbe trovato all’albergo “ Bologna ” di Napoli,
per eventuali chiarimenti (altro depistaggio).
Il fine del depistaggio?: “Far supporre di essersi recato a
Palermo con l’intenzione di barattare l’insegnamento di Fisica a
Palermo, con il suo posto di docente a Napoli?Ulteriore
depistaggio…“ giunto a Palermo, avendoci ripensato, per tutta
una serie di impossibilità, con la morte nel cuore, decide il
suo rientro immediato a Napoli, con il postale (traghetto della
Tirrenia), per poi, durante il viaggio di rientro, scomparire,
rendendo così per certa la sua decisione di suicidio in mare ”.
Da quel momento non si saprà più niente della sua sorte, per cui
tutto si conclude con l’ipotesi di suicidio durante la
traghettata.
Questo, nonostante testimonianze attendibili che dichiarano: il
biglietto di Majorana, essere stato ritirato allo sbarco al
porto di Napoli, dalla compagnia di navigazione. Nella sua
stessa cabina viaggiò il Professore Vittorio Strazzeri, docente
dell’Università di Palermo, che ne diede testimonianza.
Sciascia ipotizza che non si sia mai imbarcato sul postale
Palermo - Napoli e volutamente abbia fatto perdere le tracce.
Io sono per la tesi che si sia imbarcato. Abbia passato una
notte di estrema agitazione nel decidersi a mettere in atto il
suo proposito di diventare “ un fantasma ”, che tutti avrebbero
cercato e nessuno trovato.
La decisione irreversibile che Majorana prese sul postale fu
certamente, oltre che estremamente sofferta, di quelle che non
lasciano spazio ai ripensamenti, e che, fatto il primo passo, si
rafforzano sempre di più. Come succede fra una coppia che, dopo
aver vissuto un amore travolgente, totalizzante, si rompe “
l’incantesimo ” che si trasforma in totale rigetto.
Escludo che Majorana abbia scelto il rigetto, sacrificando il
dono della vita, di cui un credente convinto, quale era, non
avrebbe mai accettato. Ma una razionale, pur se difficilissima
scelta di “ eclissarsi ” dal “ male che lo circondava ”, quella
si!
Escluso il suicidio, non ci resta che esaminare, passo passo, le
motivazioni, per valutare l’entità della scelta.
Ho sempre asserito che nei: pensieri, parole ed opere “ c’è il
DNA ” di ogni nostra scelta, di ogni nostra azione. Per
esaminare sino in fondo un fatto che sconvolge una esistenza
bisogna calarsi, come uno speleologo, negli anfratti più
profondi, reconditi e oscuri dell’animo o anima che dir si
voglia, del soggetto. Ho espresso nel dettaglio, in un lungo
articolo, del 3 Gennaio 2022, dal titolo “ Da Freud a Jung,
l’inconscio questo sconosciuto ”, il mio punto di vista sulla “
scomposizione ” del costrutto di una personalità:
dall’inconscio, al sub-conscio, al conscio. (che allego).
Già in quell’articolo ipotizzavo sulla scomparsa di Majorana un
mistero molto più complesso della soluzione di “
auto-annientamento ”.
La parola “ auto-annientamento ” è più calzante del suicidio. Un
essere umano può, se vuole, “ spegnere le pulsioni ”, anche le
più possenti, se ritiene che queste contrastano con il suo “
Credo ”. Ed è quello che intendo sostenere con il seguente
scritto, affrontando i singoli passaggi che possano avere
determinato una così strana decisione, eccezionalmente
contrastante con il pensiero e le scelte della quasi totalità di
noi comuni mortali, non “ geni ”. Ho escluso il suicidio, per
ragioni religiose di “Credo ”. Mi accingo ora ad esaminare tutta
una serie di ipotesi contrastanti con la personalità di Ettore
Majorana, e nel contempo rafforzare il “ canale ” che ci porterà
ad una più logica conclusione, sempre in base alla coerenza con
la sua “ anima ”.
Da inconfutabile documentazione, che chi vuole la potrà cercare,
Majorana era un’anima sensibilissima. Sensibile al punto tale
che lo rendeva: schivo, incomprensibile, ombroso, silenzioso,
avverso ad ogni forma di violenza fisica, verbale, morale.
Parlando poco, quasi niente, comprensibilmente rendeva nervosi i
suoi interlocutori, che stupiva con piccoli scritti, talvolta
sul solito pacchetto o foglietto contenente le sigarette che
voracemente fumava, per poi accartocciare e buttare nel cestino,
geniali soluzioni da Nobel, da lui definite “ giochi da bambini
”. Che i colleghi dell’Istituto di Fisica puntualmente correvano
a raccogliere.
Assodato il fatto che fra Majorana e Fermi c’era lo stesso
rapporto che esisteva fra Cimabue e Giotto: la differenza tra un
bravo pittore e un genio. Ancora… la differenza tra il
Verrocchio e Leonardo da Vinci: due dimensioni, tra “ fervida
intelligenza ”, e “genio ”.
Cosa che ammetteva lo stesso Fermi, quando parlando di Majorana
ne descriveva la spiccata genialità, paragonandola a quella di
Galileo e Newton.
Ne nascono “ geni ”, per ogni settore dello scibile, pochissimi:
assolute rarità nell’arco della storia dell’uomo.
Non si possono neanche definire “ anticipatori ”, poiché “
creano cose uniche, che gli altri, nei secoli, continueranno a
studiare, finché l’uomo esisterà.
Voglio qui soddisfare una domanda che ricorrentemente mi viene
posta: “ Chi per me il più grande, in assoluto? ”. A domanda,
risposta senza dubbi, né tentennamenti arzigogolati, progenie di
agnosticismo: “ IesusNazarenus: detto il Cristo ”.
Chiudo questo ultimo argomento, ritenendolo troppo vasto per
inserirlo in questo scritto.
Ricolleghiamoci alle parole di Sciascia quando definisce
l’incontro con Heisenberg, da parte di Majorana, “ il più
importante della sua vita ”, sulla qual cosa concordo.
Quello che ci manca è chiedersi in che modo e perché
quell’incontro può avere determinato in Majorana la scelta di
scomparire?
Per fare ciò, dobbiamo cercare di capire cosa si possono avere
detto, i due fisici, sul nucleare.
I due esponenti più rappresentativi e avanzati della ricerca
sulla“ fissione nucleare ”: realizzazione, causa, effetti!
A tal fine dobbiamo chiarire alcuni fatti fondamentali, uno dei
quali è che Heisenberg non parlava l’italiano (e cercava di
insegnare il tedesco al collega), e Majorana non parlava
tedesco.
Ma allora come era possibile che passassero ore e ore in
dialoghi che entrambi definirono “ molto interessanti? ”. E quel
che conta, concordando quasi su tutto: ipotesi, sviluppo,
soluzioni, realizzazioni concrete e pratiche delle soluzioni.
Parlavano attraverso: “ formule matematiche! ”.
Questa la ragione che portò entrambi a rendersi conto di quanto
potesse essere “pericoloso ” metter una tale “ potenza ” nelle
mani degli uomini senza scrupoli: né morali, né religiosi, né
umanitari, affetti da smisurata megalomania e lucida, disumana
follia.
Si resero conto che parlavano di immani disastri: annientamento
di popoli e nazioni. A questo arrivarono seguendo ragionamenti
sviluppati ad infinita potenza, anche se, sino a quel momento,
solo sulla carta, ma che a sperimentarli c’era da inorridire,
per scienziati dotati di una coscienza.
Li vedo, mentre scrivono formule e schizzi: disegni abbozzati in
cui identificano esplosioni pari al satellite che milioni di
anni addietro aveva colpito la terra, causando la distruzione
del mondo dei dinosauri, e della vita per un periodo di tempo
infinito, sino ad una lentissima ripresa; e l’insediamento
dell’uomo.
Mi spingo persino a pensare che quelle formule e quegli schizzi
avessero in embrione, non solo la bomba atomica, ma anche la
bomba H (all’idrogeno), Gamma, Beta, Iota, Alfa e Omega, come
l’Apocalisse di Giovanni, sino alla distruzione del mondo, e non
si sa se:“ lo sconvolgimento del sistema solare ”. A catena,
come avviene nella scissione dell’atomo: dall’infinitamente
piccolo all’infinitamente grande.
Questi concetti apocalittici si possono “ leggere ” nei
comportamenti di Majorana e di Heisenberg.
Majorana da quel giorno divenne ancora più cupo, pensieroso,
scontroso, totalmente chiuso in se stesso, ce lo confermano
tutti coloro che ne descrissero i comportamenti: colleghi,
famigliari, amici, la moglie di Fermi. Meditava, meditava,
meditava. Vedremo più avanti cosa decise.
Heisenberg, non potendo sfuggire alle “ grinfie ” di Hitler,
decise che:“ non avrebbe mai realizzatola bomba atomica, da
mettere nelle mani della follia di Hitler e di Mussolini ”.
Di questa cosa mi fa esserne certo, inHeisenberg: il tentativo
di informare gli americani che, in Germania era inesistente la
possibilità della costruzione della bomba atomica, poiché il
progetto era nelle sue mani:“ bloccato e boicottato ”.
Purtroppo l’informazione arrivò in America in maniera distorta
per l’avanzato stato di senescenza del tramite, il fisico Nils
Bohr, suo ex professore.
In Germania l’autorità nucleare era Heisenberg e disponeva lui;
tutto doveva passare attraverso le sue mani.
In Italia Majorana aveva Fermi ed i “ ragazzi di Via Panisperna”
che di remore, da perfetti artigiani della scienza, non ne
avevano neanche l’ombra, anzi, se fossero stati in grado di
realizzare da soli la bomba atomica, lo avrebbero fatto,
raccogliendone i vantaggi. L’Immane distruzione l’avrebbero
considerata, come la considerò Fermi: “effetti contingenti! ”.
Avrebbero esaltato i risultati, raccogliendo onorificenze e
vantaggi (come Fermi) con citazioni nel libro mastro “ dei
grandi d’ogni tempo ”. Si sarebbero giustificati come Adolf
Eichmann al processo per i crimini della Shoah: “… ero solo un
piccolo ingranaggio, esecutore di ordini superiori ”.
Eichmann fu condannato a morte perché era nell’esercito dei
perdenti. Mentre gli scienziati che costruirono l’atomica erano
con i vincitori. E la storia la scrive il vincente. Tranne che
davanti al Creatore e davanti, per chi ce l’ha, la propria
coscienza.
Dobbiamo proseguire, pur se a tentoni, ma con il lume della
ragione e la luce dell’immaginazione: calarci dentro gli strati
dell’incognito, nelle profondità abissali dell’anima di Majorana.
Normalmente per fare questa operazione “ maieutica ” si
abbisogna di una completa compenetrazione nel magma
incandescente dell’anima, della quale, attraverso alcuni lapilli
che sfuggono ai più, si può dedurre e calcolare la potenza di
fuoco che cova nel profondo.
Sappiamoche:Majorana, dopo avere acquistato il biglietto, nella
notte dal 27 al 28 Marzo 1938 si ipotizza essersi imbarcato sul
postale da Palermo a Napoli. All’arrivo, la compagnia di
navigazione dichiara di avere ritirato il biglietto del
passeggero, rientrandone in possesso.
Alcuni ipotizzano che a Palermo non si sia imbarcato, e sia
sparito:“ Sciascia ”.
Altri sostengono che durante la traversata si sia buttato in
mare, e affogato, ed il corpo sia stato portato via dalle
correnti, disperdendolo. Tesi perseguita principalmente dagli
organi di Polizia; sollecitati da alti organi politici (persino
Mussolini) e dai famigliari di Ettore Majorana. Organi della
Polizia che, in mancanza del ritrovamento del corpo (per cui
mancando la cosiddetta “ prova, provata ”), tagliano corto ed “
afferrano ” la conclusione più semplice, pur di “ lavarsene le
mani” ed apporre un timbro sul fascicolo.
D’altronde, si sa, gli organi di Polizia aborrono perseguire le
ipotesi, sono “santomasini” e basta.
La testimonianza del passeggero, il professore VittorioStrazzeri
docente dell’Università di Palermo che dichiara di “ avere
viaggiato nella stessa cabina con Ettore Majorana ”,
identificato su una foto a lui mostrata, la ritengono “ labile
”, perché su foto e non per conoscenza personale, in una cabina
scarsamente illuminata.
A sostegno del mancato imbarco, l’ipotesi di una eventuale
cessione del biglietto, da Majorana ad altro passeggero
vagamente rassomigliante, amico o sconosciuto che fosse. Quante
fantastiche fantasie, potremmo definirle: “ Del Cavalier
Fantasio? ”.
Altra ipotesi: sparizione subito dopo l’arrivo a Napoli.
Scartiamo l’ipotesi del suicidio, per manifesta e comprovata
religiosità di Majorana, il cui credo vieta il suicidio in
quanto “ negazione di Dio ” che ci dà la vita e ci assiste per
tutto l’excursus della nostra esistenza, decidendo Lui quando il
nostro cammino è completo. Per questo “ Credo ” a nessun essere
vivente possiamo togliere la vita, neanche a noi stessi.
Per il credente “ dare o darsi la morte ” equivale a tradire il
Massimo Fattore.
Ettore dimostra la sua incrollabile fede, attraverso una serie
infinita di fatti, non ultimo l’allontanarsi, al rientro da
Lipsia, dall’Istituto di Fisica di Roma, e maggiormente da
Fermi, in quanto fortemente determinato a realizzare con la
fissione nucleare la bomba atomica: da Majorana ritenuta un’arma
ispirata dal male assoluto, contro la vita e contro l’umanità.
L’arma dell’Apocalisse.
Il fatto stesso che in proiezione vede tutto ciò, lo inorridisce
e decide di staccarsi da questo demoniaco obiettivo, a qualunque
costo, anche quello di “ scomparire ” agli occhi dei colleghi,
degli amici e persino della famiglia. Scomparire, in quanto non
voleva, neanche accidentalmente, favorire gli avanzamenti di
quegli studi infernali.
Non ha importanza “ eclissarsi ” a Palermo o a Napoli. Piuttosto
meglio Napoli, per lasciare traccia della sua presenza sulla
nave e facilitare così l’ovvia conclusione della sua scomparsa
per annegamento. Questo gli avrebbe dato il vantaggio del “ Fu
Mattia Pascal ” di Pirandello: osservare il mondo con un piglio
distaccato, e quindi decidere se e quando eventualmente
ricomparire.
Diamo per certo che questa deve essere stata la soluzione più
adatta e consona a ciò che il suo genio, in quel momento
storico, permeato da una malvagità assurta a valenza di vita,
gli suggerisce. Ho dovuto riassemblare i cocci per forgiare il
vaso.
Per concludere ci manca sconfessare un’altra ipotesi: la
partecipazione volontaria o obbligata, di Majorana alla
realizzazione della bomba atomica in un altro Stato, amico o
nemico, attraverso un eventuale rapimento o partecipazione
volontaria. Ipotesi questa promossa dall’idea di voler
contribuire alla costruzione della bomba atomica per “simpatia ”
verso la Germania, e di riflesso per Mussolini.
Questa ipotesi è così assurda che fa sorridere:
In primis: se fosse andato in Germania, Hitler avrebbe avuto la
bomba atomica, molto prima della “ fantasmagorica ” squadra
messa in piedi a Los Alamos dagli americani. Avrebbe bruciato le
tappe, come era suo solito fare con chiunque, compreso
Fermi.Majorana non aveva bisogno di tutti i supporti e gli
aiuti, come quelli che necessitavano a Fermi ed ai “ ragazzi di
Via Panisperna ”. Quello che loro realizzavano in gruppo e con
tutta una serie di mezzi tecnici, in tempi indeterminabili, lui
lo realizzava a mente, in frazioni di secondi o quasi, mettendo
nero su bianco in un pezzettino di carta delle sigarette.
In secundis: dare l’atomica a Hitler, avrebbe significato darla
pure a Mussolini.Che necessità aveva di sparire dall’Italia e
dagli occhi del mondo? Lui genio acclarato? E se rapito e
portato contro la sua volontà, in incognito, in Germania, nello
staff di Heisenberg, alla fine della guerra sarebbe rientrato
nella sua terra, fra la sua famiglia. La moglie e la numerosa
prole di Heisenberg ne avrebbero comunque dato notizia. Cosa che
non è avvenuta.
Ultimo enigma: perché alcune carte da lui prodotte, nel più
assoluto silenzio, prima e/o dopo la sua scomparsa, sono state,
da lui stesso distrutte?
Questo il punto, più interessante ed esplicativo che ha bisogno
di un salto nel vuoto, con l’assistenza dei precedenti (le
deduzioni logiche che si costruiscono pietra su pietra, su le
solide fondamenta delle caratteristiche personali e l’ausilio
della filosofia euristica). Né più e né meno del fondamentale “
credo filosofico ”, sia di Majorana, che di Heisenberg, entrambi
amanti dello scibile: filosofia, letteratura, scienza, poesia,
credo religioso, amore per la vita e per il creato, musica (che
accarezzi l’anima), matematica (quale entità metafisica di
Pitagora), realtà cosmica ecc.
In sintesi, amore e rispetto per la vita e per il creato. Il
mondo dei “ giusti ”, amanti “del bello, del buono e del gusto ”
in ogni sua forma e sostanza, nel rispetto delle “grandi
armonie”. (vedi il decalogo de: “ Il fantastico mondo di
Narconte ”).
Majorana cercava di arrivare ad una forma di autocombustione
dell’energia atomica, a beneficio dell’umanità, e non per la
distruzione, in un cerchio “ completo ” di moto continuo.
Ci sarebbe riuscito se anziché la malvagità umana essere dedita
alla distruzione, avesse accettato di trasformare il flebile
velo che separa il bene dal male: in un “invalicabile confine ”.
Ci sarebbe riuscito se una coalizione di saggi, come lui e
Heisenberg, avessero avuto a disposizione gli aiuti necessari
alla sperimentazione di teorie rivolte al bene e non al male, in
ogni sua essenza.
Non avendo i quali hanno preferito “ staccarsi dallo sviluppo
scientifico ”: Heisenberg boicottandolo; Majorana scomparendo
fra le “ selve oscure ”, oasi della vita e della morte.
Come Dante:
“ Nel mezzo di cammin di nostra vita
mi ritrovai per una selva oscura
ché la diritta via era smarrita.”
flf
P.s.: A compendio si allega il saggio:“ Da Freud a Jung,
l’inconscio questo sconosciuto”
Catania 03 Gennaio 2020
Da Freud a Jung, l’inconscio questo sconosciuto.
di Fernando Luigi Fazzi
Eppure ci speravo immensamente che almeno gli esperti di un
qualche settore dello scibile fossero esenti di vuoti da dover
riempire, di manchevolezze evidenti, di buchi profondi nei quali
si perde il filo della ragione, di domande non evase. Di cose da
apprezzare senza perdersi strada facendo.
Solo il messaggio messianico, alla fine, risulta tondo in ogni
sua parte. Solido e concreto, pieno e completo senza vuoti o
domande evanescenti.
Il resto sono fuochi di paglia che nascono, ardono, e si
consumano in mille ceneri portate dal vento. Nati, come sono, in
alcuni momenti della vita, che poi, inevitabilmente, non hanno
lasciato traccia. Come se fossero stati scritti sulla battigia
di un mare in tempesta con le sue lunghe onde che tutto
travolgono e cancellano. Senza rispetto sulla profondità o meno
dei pensieri e delle riflessioni che erano state deposte sulla
sabbia.
Ecco perché le cose si ripetono con una puntualità inesorabile.
Sempre uguali. Di una prevedibilità esasperante, assoluta. Come
in un film che appena terminato, riprende da un inizio sempre
uguale a se stesso.
Niente che possa stravolgere: i fatti, l’animo dei soggetti che
nascono, vivono, scompaiono, senza che nessuno e niente batta
ciglio. Fermarsi a guardare, cose e fatti, da una ‘angolazione
differente’.
Un attimo prima, tutti pronti, osannanti, agitarsi come l’essere
stati invasati da qualcosa di grande, irrinunciabile; un attimo
dopo, tutto cancellato, archiviato nel dimenticatoio, più
assoluto.
Per poi magari rispolverarne i contorni, ‘per convenienza’.
Quando i fatti successivi richiamano alla mente che quel
qualcosa era stato enunciato e dimenticato.
Ed ora è doveroso rispolverarlo per vedere se nella ‘profezia’
anticipata ci fossero dei risvolti di cui oggi bisogna
‘convenientemente’ tenerne conto.
Così: riprendiamo il negletto, facciamogli una statua,
intestiamogli una strada, scriviamogli una paginetta falsamente
melliflua, segnaliamo ai posteri che, alla fine, lo abbiamo
capito e gliene stiamo rendendo merito.
In vita lo abbiamo beffeggiato, gli abbiamo voltato le spalle,
spesso vessato, definito ‘pazzo visionario’.
Se il giusto potesse parlare loro, gli indicherebbe tutte le
volte in cui era facile riconoscerne ‘la verità enunciata’.
Bastava soltanto fermarsi in un attimo di riflessione.
Bastava guardare la verità senza l’occhio interessato del
tornacontismo immediato, della tracotanza, della superficialità
e della superbia mal posta. Rendersi conto, separare il pazzo
visionario dal giusto.
Era facile riconoscerlo, parlava del bene, del giusto, del
buono, insomma parlava di amore, qualcosa che non ha valore
fisicamente intrinseco.
È talmente grande che colma e straripa ogni catino.
Va oltre ogni cosa tangibile, parla all’anima; non al corpo,
all’occhio, ai sensi.
Nell’immediatezza di tutto ciò, le anime comuni è come se
avessero una cesoia.
Idee e fatti tranciati, da quelle che Freud definisce ‘censure’,
dall’alto verso il basso del nostro ‘Io’ profondo. ‘Censure’ che
albergano il nostro ‘cosciente’: un frammisto di animalità ed
evoluzione.
Affrontiamo il concetto nel dettaglio.
Il nostro ‘Io’ (dicevano i latini in una locuzione ‘Ego sum qui
sum’: io sono chi sono. Cioè io sono io, sono colui che sono.
Bibbia: Esodo 3,14), esercita tutta una serie di censure con le
cesoie. Trasferendo i contenuti direttamente nel
‘dimenticatoio’, senza porsene pensiero; almeno non
nell'immediatezza.
Corre qui affrontare la formazione dell’Io, per averne un
concetto più completo. Altrimenti diventa impossibile capire
molte manifestazioni dell’Io, nel singolo caso e
nell’universale.
Il discorso sull’Io è molto sottile, poiché implica azioni che
possono sembrare incomprensibili.
Né a subirne l’influenza avviene solo in alcuni casi. Lo
facciamo sistematicamente, ogni qualvolta siamo di fronte a un
fatto inusuale, ritenuto eccezionale, degno di attenzione.
Ci viene istintivo, e non poniamo sufficiente accortezza al
fatto che ci addentriamo con ‘nonchalance’ nell’animo di una
persona, per ‘classificarla’ dentro schemi ‘prestabiliti’.
Appioppiamo alla persona ‘un’etichetta’ e andiamo avanti.
Ci dimentichiamo del detto: ‘Non giudicare se non vuoi essere
giudicato. Se vuoi giudicare qualcuno, inizia a giudicare te
stesso’.
Ad occuparsi degli antefatti lasciamo che siano gli altri,
coloro che sono stati ‘delegati’ a farlo. Succede continuamente:
nelle aule dei tribunali, nei confessionali, negli scontri
accesi di chi agisce ‘per istinto’. Come dichiarano
successivamente, quando commettono fatti gravi. Convinti che
questo li assolva, mentre è proprio il contrario.
I perversi, i pervertiti intrisi di odio, non si chiedono il
perché del loro ‘essere’. O, per lo meno, non se lo chiedono a
sufficienza.
Non se lo chiedono prima, quando si erano presentati i primi
sintomi, le prime manifestazioni di fatti inconsulti. Prima che
‘il bubbone’ esplodesse all’improvviso. Con la loro
interpretazione dei fatti, intrisa di ‘superficialità’, che,
alfine, genera sconvolgimenti.
Proviamo ad aprire questo mondo troppo spesso sconosciuto, e
sottovalutato, dell’Io.
Iniziamo subito nel dire che la classificazione che da Freud a
Jung in poi è stata fatta, è altamente meritoria. Ma, come tutte
le cose, dall’inizio dell’intuizione ‘alla evoluzione’, ci sono
progressioni come il salire una scalinata buia, della quale se
ne scorge l’inizio e si pensa: “chissà dove mi condurrà?”. Lo
scopriamo man mano che progrediamo.
Freud divise l’Io in due ‘grandi mondi’: il conscio, e
l’inconscio; cercando i contorni ed i contenuti, come in una
foto globale, nel tentativo di studiarne luci, ombre, e paesaggi
all’interno del quadro generale. E lo fece da neurologo e da
scienziato.
Si prefiggeva, come poi avvenne, di buttare ‘le basi’ per una
scienza nuova, che affrontasse le problematiche legate alle
nevrosi, per ‘avvicinarsi’ ad un problema molto più grande e
molto più complesso e profondo: ‘la schizofrenia’, che Jung
definì ‘una ferita nell’anima’.
Per fare ciò, Freud, da perfetto scienziato, partì con
l’esaminare ciò che di ‘tangibile’ aveva a disposizione: le
manifestazioni palesi del soggetto, le azioni, il pensiero
manifesto, e l’analisi dei sogni, iniziando da quelli più
ricorrenti o più ‘angoscianti’. Con l’ipnosi analizzò lo stadio
leggermente al di sotto del ‘conscio’, anche attraverso la
memoria pregressa, spesso ‘censurata’, messa come ‘polvere sotto
il tappeto’, e lo chiamò ‘pre-conscio’.
Si muoveva in un mondo, precedentemente poco analizzato. Aveva
bisogno di piantare ‘luci’ durante il percorso, affinché altri,
contemporaneamente e successivamente a lui, potessero
‘scandagliarne’ i percorsi da lui battuti, alla scoperta di
altri ancora da battere.
Stabiliti i presupposti, vediamo che cosa possiamo trovare di
‘intuitivo’, percorrendo un tracciato certo: il lume del
pensiero, che si estrinseca in concetti di stringente
razionalità.
Cominciamo col dire che molto spesso, direi quasi sempre, un
problema complesso implica conoscenze, a sua volta, già
scandagliate e perfezionate in più settori dello scibile.
Si passa dalla religione, alla filosofia, alla sociologia,
all’antropologia, all’umanistica… all’arte con tutte le varie
sfaccettature, alla letteratura, alla fisica, e così via.
Si diceva una volta che: “Tutte le strade portano a Roma, io
dico che ‘tutte le strade portano a Dio’, ed all’uomo; quindi
all’anima”.
Orbene, per affrontare questo mondo, diciamolo pure,
estremamente complesso, diversificato, intangibile (non cade
sotto il diretto controllo dei sensi, se non in rari casi),
quale è l’Io, dobbiamo entrare nell’ordine del fatto che tutte
le conoscenze possono essere utili per aiutarci a fare, anche
solo, un piccolissimo passo avanti.
Da parte mia seguirò due strade, a me più congeniali:
l’intuizione e la ragione ‘stringente come una morsa’. L’Alfa e
l’Omega, il principio e la fine, del pensiero. Da dove inizia,
sino a dove si chiude il cerchio.
Non perché mi senta più saggio di altri, ma solo perché i
problemi difficili e complessi mi piace affrontarli, sino a dove
sono in grado di arrivare.
Inizierò da un presupposto, o se volete da un teorema da
dimostrare, come si dice per quelli matematici.
L’anima di Jung, e l’Io di Freud, sono due mondi divisi, ma
interdipendenti.
Sull’anima, siccome rientra nel mondo del soprannaturale, mi
permetterò solo di fare fugaci riferimenti, in quanto è un mondo
‘imperscrutabile’. Rientra troppo nella sfera della ‘Grazia’ che
non è elargibile dalla scienza umana. Solo, ciascuno di noi,
interiormente ed individualmente, può esserne cosciente.
Dell’altro mondo, quello dell’Io, ne ho un’idea un po’ più
concreta.
È un mondo più complesso e composito per essere classificato
esclusivamente in ‘conscio e inconscio’, con tutto il grande
rispetto dovuto a Freud, a Jung, alla psicologia ed alla
psichiatria.
L’Io, a me risulta essere: un universo fatto di ‘infiniti
strati’ contenuti all’interno di ‘tre sistemi’ distinti ed
interdipendenti: ‘il conscio, il sub-conscio, e l’inconscio’.
Ognuno di loro formato da strati, su strati, su strati ancora,
individualmente differenti; e ciascuno strato, tutto un pianeta
estremamente diversificato.
Del ‘conscio’ ne parleremo dopo avere esaminato gli altri due.
Ci arriveremo se iniziamo dal fondo di questo universo:
l’inconscio. Definiamolo, nei limiti del possibile, nella sua
natura, entità, funzione e consistenza.
Dobbiamo raffigurarcelo come una enorme ‘nebulosa’, piena di
fuochi, fiamme, carne, ossa, mente, fatti presenti e fatti
rimossi; sapori dolci e sapori amari, vomitevoli, velenosi.
Vissuto e mai vissuto, pensieri concreti e pensieri evanescenti.
Aspirazioni, sogni, gioie, dolori, intuizioni, e distruzioni
catastrofiche.
Insomma, in questo enorme ‘calderone’ fatto di umano, di divino,
e di demoniaco, c’è, o ci può essere, di tutto.
Come in un inferno dantesco, ma molto di più, in quanto
nell’inferno di Dante ci sono uomini e fatti; non vengono
affrontati i ‘pensieri scaturenti’. Eppure questi sono i
promotori che innescano la miccia per le azioni ed i percorsi da
fare, da rimandare, o da abortire. Quindi un mondo che, come in
una pentola in ebollizione, si muove in un moto perpetuo: il
nostro ‘essere’ nella sua interezza.
Immaginiamoci questo ‘magma’ incandescente, grande quanto un
oceano in tempesta, con tutto il suo contenuto: terre, acque,
pesci, barche, tsunami, tempeste, quieti, andirivieni, popoli e
cose diverse fra loro, e molto di tutto questo, ‘sconosciuto’.
Una entità impossibile da classificare, ma, come in una
dettagliatissima enciclopedia, da conoscere solo in quella
parte, quel singolo vocabolo o pensiero che, per necessità
fortuita, dobbiamo o vogliamo conoscere.
Troppo grande e differente, l’uno mondo dall’altro, per darne
una classificazione o conoscenza completa.
Impossibile la certezza, in quanto cambia in base al punto di
esame, o ‘al taglio’ ed ‘al posizionamento’ dello sguardo,
esteriore ed interiore, di chi intende cimentarsi in questo
difficilissimo compito.
Bisogna prima fare tutti gli scongiuri ad evitare che una
‘folata’ di fuoco, grande e forte quanto una ‘scissione
nucleare’, non ci ‘incenerisca’, mettendo fine alla nostra
presunzione.
La stessa parola lo dice ‘presunzione’, il presupporre una cosa
che possibilmente è diversa, in quanto cambia, non solo di
fronte ad una verità concreta, ma anche in base alla complessità
e diversità di chi la esamina.
Diamo per scontato che quello di cui dobbiamo occuparci, dice
Freud, alla fin fine sono i fatti concreti. La realizzazione di
azioni da esaminare, se vogliamo essere ‘di aiuto’ al singolo
soggetto.
In questo ci aiutano molto il secondo ed il primo stadio:
‘sub-conscio e conscio’.
Il sub-conscio, è ‘ipotesi di realizzazione’ di qualcosa di
positivo o di negativo che si appiglia al conscio in maniera
pulsante e consistente.
È da qui che si cominciano a percepire e subire ‘le censure’,
come definite da Freud. Se non ci fossero ‘le censure’, ciascuno
di noi sarebbe travolto, aprendosi alla vita della cognizione,
senza difese. Saremmo trasformati in esseri alienati e ci
annienteremmo gli uni con gli altri, senza rimorsi, né
convincimento alcuno. Esseri senza leggi, né morali, né
naturali.
Forse solo all’atto della creazione, come avviene all’atto della
nascita, l’uomo era ed è ‘grezzo’ di coscienza; di
consapevolezza, del suo mondo interiore ed esteriore. Di un
mondo specificamente personale, in quanto cambia per una immensa
diversità di fattori, che vanno dal contesto interiore ed
esteriore in cui l’individuo nasce e si evolve alla vita.
Verificheremo dopo con quali e per quali responsabilità dirette
ed indirette.
È vero, c’è sempre una doppia faccia nelle cose, nei pensieri e
nei fatti. Ad un bene maggiore, può contrapporsi un maggior
rischio. Una scoperta o intuizione possono nascondere baratri di
immane distruzione.
Ecco perché dobbiamo porci la domanda: “Ma ciò che sto per
compiere è bene o è male, e per chi l’una o l’altra cosa” ?
Per esempio, non so se ‘la scomparsa di Majorana’ sia dovuta o
meno ad un profondo esame di coscienza sulla fisica quantistica
e la fissione nucleare, applicata alla distruzione di uomini e
cose.
Noi oggi alziamo agli altari Einstein.
Mi chiedo se era cosciente delle conseguenze ‘negative’ della
scissione dell’atomo, a priori; o, come avvenne dopo, a
posteriori, con il manifesto ‘Russell-Einstein’ (9 luglio 1955),
contro la guerra e l’impiego del nucleare.
Personalmente considero il nucleare come ‘l’escremento’ peggiore
della mente e dell’animo umano.
L’uomo dovrebbe vivere della natura e nella natura, con
rispetto, devozione ed amore.
Oggi vive nell’odio e nel più superficiale disprezzo della
natura, dell’umanità, del mondo, dell’universo; in una parola:
‘nel disprezzo della vita, e per la vita’.
Ritorniamo al sub-cosciente.
Che succede quando dall’inconscio, superate le ‘grandi e potenti
pareti delle censure’, emergono, rafforzati da possenti spinte,
fatti e pensieri, positivi e negativi, grezzi nella loro
essenza, come vandali alla conquista della vita, e si
posizionano nel secondo stadio ‘sub-conscio’, in attesa di
‘esplodere’, alla conquista dello stadio successivo ‘il
conscio’. E lì, nel sub-conscio, questo ‘estratto di pensieri ed
azioni’ provenienti dall’inconscio, subiscono ‘il filtro’ di
altre censure che in linea di massima, riescono a ‘bloccarne’
molti, attraverso altri stadi concentrici, invertiti come un
imbuto rovesciato, che partono da un’ampia base, e man mano
vengono sfrondati da cerchi sempre più stretti, sino ad emergere
dalla punta di questo ‘iceberg’, verso lo stadio successivo, per
l’appunto ‘il conscio’; il quale, a sua volta seleziona pensieri
ed opere secondo un ordine di accettazione e priorità, per
settore e competenza. Quando, questo processo si blocca, per
lotte cruente fra accettazione e rifiuto, nei passaggi di questi
infiniti stadi, differenti in ogni soggetto, secondo la propria
maturità interiore… si verifica la ‘nevrosi’, che, in base alla
gravità, può sfociare, se non rimossa, in nevrastenia,
schizofrenia, follia; cioè un progressivo distacco dalla realtà.
La ricerca, là dove è possibile, di questo ‘blocco’, è il
difficile, delicato e complesso compito della psicologia e della
psichiatria; ma è anche ove si annida la tanta ‘fuffa’,
spacciata per scienza.
Diciamo pure, per darne un’idea, che dal terzo al secondo
stadio, il mondo del ‘magma incandescente’ si riduce come:
dall’universo al pianeta terra.
Tutto il resto rimane sotto, nell’immenso calderone, ed è un
bene che così sia. Le cosiddette ‘censure’ sono una benedizione
infinita per tutti, anche per chi commette atti di assoluta
ferocia, che altrimenti dilagherebbe.
Allorquando le censure risultano fragili o di scarso spessore e
consistenza, dall’inconscio emergono esseri demoniaci, come:
Hitler, Stalin, Pinochet, la bomba atomica, la Shoah degli
ebrei, i Khmer Rossi di PolPot, lo sterminio dei Tutsi, degli
Armeni, degli Indiani d’America, dei Curdi ecc., ecc., ecc.
Bastano pochi esseri, senza ‘freni inibitori’, perché
l’inconscio faccia emergere, della natura umana, il lato più
oscuro e distruttivo, con l’aggravante che, come in una
‘fissione nucleare’, genera una esplosione del male che alberga
in ogni essere umano, trascinando con sé eserciti di esseri solo
apparentemente innocui o apparentemente, per tornacontismo,
dediti al bene: mistificatori per eccellenza, dall’anima nera
come la pece, e la lingua più ‘biforcuta’ di un serpente a
sonagli.
Il bene, normalmente, non ha bisogno di manifestarsi
apertamente, si esercita senza secondi fini, si fa e basta. Già
nel farlo c’è l’arricchimento. Non ha bisogno di riconoscimenti;
i quali sono inutili orpelli che gratificano i lillipuziani di
ogni scibile e conoscenza.
L’umanità non ha bisogno di questi microbi striscianti,
all’inseguimento del successo, né di questi tanti incantatori di
serpente.
Riflessione del giusto, Virgilio dice a Dante:
“Non ragioniam di lor, ma guarda e passa” (canto terzo
dall’Inferno – gli ignavi) “… tu vedrai le genti dolorose /
c’hanno perduto il ben dell’intelletto”.
Non è difficile dedurre i rimanenti ‘filtri’ esistenti tra
sub-conscio e conscio.
Per rimanere nel mondo della ‘cosmogonia’, se il sub-conscio
rappresenta ciò che la terra è nei confronti dell’universo (un
granellino infinitesimale), il conscio nei confronti del
sub-conscio è ‘un orticello’, ove si svolge, cresce, anela e si
sviluppa la singola nostra esistenza.
Ma questa ‘porziuncola’ che noi, singolarmente presi,
rappresentiamo, nell’infinito esistere del cosmo, è un intero
universo di fatti ed azioni che sono la nostra ‘unicità’.
Ecco perché dobbiamo essere estremamente attenti alle nostre
scelte ed alle nostre azioni, se vogliamo essere all’altezza del
duro compito che ci assegna l’esistenza, in una ‘galassia’ di
esistenze, prima, durante e dopo della nostra complessa vita.
Chi si arroga il diritto di giudicare, deve frapporre fra sé ed
il suo giudizio una ‘onestà interiore’ ed una ‘correttezza d’animo’
che travalichino… le umane debolezze.
Ama! E ti sarà perdonato … l’inevitabile errore che è insito
nella natura umana.
flf
|