15 maggio
1946.
“Autonomia” della Regione Siciliana.
Parte seconda
Seppure sinteticamente, è evidente che, nella fattispecie,
occorre porre in risalto i punti salienti in cui la “autonomia”
della Regione siciliana si è rivelata più o meno inconsistente o
clamorosamente inefficace in materia di talune delle multiformi
attribuzioni (diritti e doveri) previste dallo “statuto
speciale”.
Statuto che, promulgato nel 1946, ha poi subito parziali
modifiche nel 1972 (adeguamento della legislatura alle altre
Regioni), nel 1989 (termine di convocazione dell'Assemblea dopo
le elezioni) e nel 2001 (elezione diretta del Presidente della
Regione e poteri discrezionali allo stesso attribuiti).
Ci si riferisce, in special modo, ai settori dei diritti
“fiscali” (art. 37 e 38), della viabilità (art.14 – lavori
pubblici), del credito e risparmio (art. 17 - punto “e”), della
tutela del territorio (art. 14).
Non è il caso di avventurarsi, e ce ne asteniamo a priori, nel
campo minato della cosiddetta “Autonomia Giudiziaria” (mancata
definizione e attuazione delle norme di competenza e di
funzionamento delle eventuali sezioni staccate della Corte di
Cassazione, della Corte dei Conti, del Consiglio di Giustizia
Amministrativa, del Consiglio di Stato) stante che trattasi di
settori parecchio intricati e difficili da sceverare (nel pro’ e
nel contro) e quindi di non facile valutazione e
approfondimento.
1 – FISCO.
Per quanto concerne l’annoso contenzioso riguardante la mancata
pur se parziale “restituzione” delle entrate fiscali di
spettanza alla Regione, come da norme statutarie di cui agli
art. 37 e 38 e in prosecuzione della statuita prassi del “fondo
di solidarietà nazionale” (sostanzialmente operante appieno sino
agli anni ‘70/’80 e parzialmente sino agli anni ‘90), va
ricordato che trattasi delle quote di imposte e tasse derivate
dai cospicui profitti delle aziende che “operano” e “producono”
nel territorio siciliano (usufruendo di servizi, ambiente e
infrastrutture) ma che, avendo le loro sedi fiscali altrove,
versano l’ammontare dei vari tributi in sedi diverse da quelle
dei territori ove operano i relativi stabilimenti produttivi, in
parole povere gli sportelli erariali della Sicilia.
E’ risaputo, infatti, che dette industrie, direttamente o
attraverso i gruppi azionari di riferimento, sono quasi tutte
domiciliate a Milano, Torino, Genova. Qualcuna a Roma mentre
altre, e sono ormai parecchie, fanno capo a multinazionali
estere.
E’ evidente, quindi, che la Sicilia procura al fisco un notevole
introito, valutabile in svariati miliardi di proventi diretti e
indiretti, mentre ai siciliani, stringi stringi, rimangono solo
le briciole.
Così facendo si seguita a consumare un truffaldino inganno in
danno dell’Isola?
La presenza delle complesse e mastodontiche industrie
petrolchimiche ed energetiche, in gran parte sorte in Sicilia
negli anni ’50 / ’60, a seguito del diffuso andazzo epocale
squisitamente speculativo e magari usufruendo del beneplacito
degli organi istituzionali di competenza territoriale, hanno
peraltro dato appiglio per una ingannevole varietà di
argomentazioni concernenti un positivo sperato apporto
occupazionale e di sviluppo economico delle zone interessate.
Argomentazioni peraltro sfruttate in malo modo da subdoli
demagoghi politici (passati e presenti) che, dimentichi delle
radici storiche e antropologiche dell'Isola di Trinacria, della
dignità civica di comunità e luoghi, delle aspirazioni isolane
ad un migliore avvenire - che ancora oggi, dopo secoli di
oppressione e di malgoverno, rappresenta un semplice miraggio
nel deserto - hanno a suo tempo permesso di consegnare ad una
masnada di affaristi privi di scrupoli, rinomati e fiorenti siti
del sacro territorio siciliano.
I citati pericolosi insediamenti industriali si sono
moltiplicati e sviluppati con una rapidità fuori dal comune (a
fine 2022 hanno registrato, ad esempio, oltre 16/miliardi di
export), senza che nei loro confronti fosse stato mai messo in
atto un effettivo, razionale e attento controllo di merito circa
le conseguenze ecologiche e sanitarie che le loro rilevanti
dimensioni ben prevedibilmente avrebbero apportato al
territorio.
Ci si riferisce in special modo agli stabilimenti industriali
che hanno posto piede nel tempo nei territori siciliani (RASIOM
- Gruppo MORATTI - ESSO Italia - AGIP - MONTEDISON - AGIP -
CEMENTERIE /Gruppo Agnelli - ENICHEM - ERG - Gruppo ROVELLI -
ISAB/Lukoil ecc. ecc.) e sull’altare dei quali sono state
sacrificate alcune delle più belle zone costiere della nostra
Isola, rendendo financo irriconoscibili e pressoché invivibili
antichissimi siti ricchi di preziosi retaggi storici,
archeologici e monumentali.
La ex “Rasiom” di Augusta, in particolare, è stata l’antesignana
e la catalizzatrice di ciò che molti considerano un vero e
proprio assalto alla diligenza.
Creata negli anni ’50 dal gruppo Moratti, per un lungo periodo
(dal 1961 al 2018) transitò nella gestione di ESSO Standard
(facente capo al colosso americano EXXON) e alla fine, nel
maggio 2018, è stata acquisita da Sonatrach Italia, strumentale
filiazione di una affermata multinazionale algerina.
Quest’ultima, dopo avere sbaragliato nel 2022 ogni concorrenza,
anche a seguito delle note vicissitudini della ex ISAB,
controllata dalla LUKOIL russa, ha portato a circa 8 miliardi di
euro il proprio fatturato.
2 – VIABILITA’.
In merito alla notoria scadente rete viaria e ferroviaria
siciliana, è da ribadire che parecchie vitali infrastrutture (in
particolare la viabilità nazionale e provinciale) sono in uno
stato di palese degrado e, in ogni caso, non risultano essere
adeguate alle esigenze del traffico e della sicurezza.
Ciò influisce pesantemente sulla competitività delle aziende del
vasto e variegato tessuto produttivo regionale (specie quello
dell'agro alimentare e dei primaticci), oltre che
sull’interscambio di passeggeri e merci.
La pseudo “autostrada Catania Palermo” è da anni in uno stato di
pietosa trascuratezza ed è assolutamente vergognoso che per
percorrere una distanza di appena 180 chilometri si debba
impiegare, se tutto va bene, un tempo che talvolta si aggira
sulle quattro ore.
La “Catania Messina” è ancora peggio e la litoranea che
congiunge il Capoluogo dello Stretto con Palermo (la “autostrada
tirrenica”) non è da meno.
Senza dire degli abituali ingorghi nelle zone capolinea, degli
incidenti che talvolta bloccano per ore la circolazione, delle
onnipresenti deviazioni per lavori in corso, dell’insufficiente
segnaletica, spesso poco visibile o obsoleta se non addirittura
inutile in quanto semi divelta o coperta da arbusti in libera
crescita, ecc. ecc.
E non va sottaciuta la cancrenosa incuria e la scadente pulizia
in cui generalmente versano molti ambienti urbani, zone verdi
comprese.
3 – CRISI DEL SISTEMA CREDITIZIO SICILIANO.
Il sistema creditizio nazionale, uscito fuori dall’infausto
lungo periodo di letargo causato dagli avvenimenti bellici
1940-1945, dovette affrontare, ripartendo quasi da zero, i gravi
problemi della ricostruzione.
Prima d’ogni cosa il rigurgito della mostruosa inflazione che
aveva distrutto il valore della moneta, che aveva depauperato le
risorse finanziarie del sistema produttivo e aveva falcidiati i
risparmi delle famiglie.
In Sicilia il tutto era aggravato dalla disastrata situazione
socio ambientale in gran parte connessa con l’annoso problema
del latifondo e con l’endemica presenza mafiosa, a prescindere
dai notevoli danni subiti dagli insediamenti abitativi, dalle
infrastrutture e dalle reti dei servizi essenziali.
Fu in un tale quadro d’emergenza e in una situazione sociale e
politica alquanto ribollente data la travolgente affermazione
del movimento indipendentista, che il Governo nazionale, anche a
fronte di accordi tutt’altro che chiari e leali con taluni
esponenti politici siciliani, decise di “concedere” alla
Sicilia, a mo’ di sedativo, la cosiddetta “autonomia”.
In funzione della stessa e pur a fronte delle molte limitazioni
frapposte, anche in materia di Credito e Risparmio (capoverso
“e” dell’art. 17 dello Statuto) avrebbe potuto concretizzarsi un
notevole e sostanziale decentramento dei poteri sino a quel
momento esercitati, in esclusiva, dal Governo nazionale.
Per manifesta incapacità dei politici siciliani che calcavano la
scena dell’Ente Regione, per remore burocratiche, per beghe
tornacontistiche di gruppi di potere locali, per colposa
disattenzione delle Istituzioni di riferimento, tale acquisita
potestà fu invece recepita e adottata in maniera quantomeno
impropria.
Salvo poi ad utilizzare soventemente la strombazzata
“autonomia”, nell’ambito della deleteria tendenza alla
spartizione dei cosiddetti “posti di sottogoverno”, per
soddisfare deteriori equilibrismi interni ai partiti o quale
compensazione per “trombature” di natura elettorale o d’altro.
Personaggi del sottobosco politico, privi di specifica
competenza, spesso tagliati fuori da altri incarichi, quando non
già bruciati per pregresse soggettive disavventure, furono
talvolta portati ad insediarsi in posti di alta responsabilità
amministrativa quali i Consigli di Amministrazione dei maggiori
Istituti di Credito e delle Aziende controllate dalla Regione.
Sarebbe difficile oltre che tedioso ricostruire il lungo elenco
delle “nomine” riprovevolmente conferite in tal guisa.
Lo strumento dell’autonomia prese ad essere utilizzato in
maniera utilitaristica, disinvolta e poco responsabile.
Un cattivo uso che nel caso specifico del delicato settore
creditizio non poteva non apportare, come di fatto ebbe ad
apportare, una sorta d’ineluttabile deterioramento del sistema
bancario regionale. Anzi, per molti versi, ne decretò il
graduale disfacimento e ne determinò, quindi, il saputo collasso
degli anni ‘90.
Escludendo il primo periodo post bellico (dal 1947 agli anni 60)
in cui, in verità, la guida degli Istituti siciliani era
affidata a uomini di assoluto merito e di provata capacità,
quali Lauro Chiazzese, Stagno D’Alcontres, La Loggia, Guarino
Amella, Restivo, Bazan, La Francesca, sarebbe interessante
accertare con quali criteri (non certo quelli della competenza
meritocratica) furono di volta in volta scelti e nominati i vari
consigli d’amministrazione dei più importanti Istituti di
Credito siciliani.
Si dovette assistere, conseguentemente, al dilagare di
spregevoli fenomeni di favoritismi (qualcuno asserisce che, non
tanto raramente, quei favori fossero più o meno oggetto di
scambi ben poco trasparenti), di nepotismo, di clientelismo
elettorale, di inusitate pressioni per la concessione di
esorbitanti fidi, di continue e strumentali interferenze in
materia di assunzioni e avanzamenti di carriera.
Non va dimenticato, tuttavia, che la Banca d’Italia - organo
istituzionalmente preposto alla vigilanza di merito - poche
volte s’oppose e quasi sempre, pur con riserva, le ratificò.
La crisi del sistema creditizio siciliano, ormai politicizzato
oltre che condizionato da pesanti interferenze a livello di
organi direttivi e deliberativi da parte di gruppi
imprenditoriali d’assalto e di poteri più o meno occulti ma
parecchio influenti, ebbe a manifestarsi già agli inizi degli
anni 80.
Sia la Regione (in forza della statutaria competenza) che la
Banca d’Italia (a fronte della doverosa e pertinente azione di
VIGILANZA) non ritennero confacente assumere adeguate e
significative contromisure.
Non seppero o non vollero intervenire a tempo per bloccare,
quando ancora era possibile, il degenerare della situazione
temporale che poi avrebbe determinato la notoria contemporanea
crisi del Banco di Sicilia e della Sicilcassa.
Specie per quanto riguarda quest’ultima, malgrado le infinite
ciance, gli “ordini del giorno”, le numerose sedute della
Assemblea Regionale dedicate al problema, malgrado le proteste
degli Organi rappresentativi della Fondazione Sicilcassa,
malgrado i “documenti” approntati dai sindacati e dall’ANCI
Sicilia, la gran parte della compagine politica siciliana e dei
parlamentari nazionali eletti in Sicilia, diede ampia
dimostrazione di non essere in grado d’affrontare e risolvere il
grave problema tanto prepotentemente (ma non inaspettatamente)
manifestatosi nel settore creditizio isolano.
E’ da sottolineare che furono parecchio pesanti le conseguenze
di tutto quel marasma, del quale, ancora oggi, se ne risente il
deleterio effetto.
Sarebbe troppo prolisso entrare nel merito dei criteri adottati
per giungere alle note valutazioni degli Organi tecnici e
politici, peraltro basate su contrastanti dati che qualcuno ha
ipotizzato fossero “pilotati” e che, talvolta, apparivano come
non rispondenti ad un sereno e obiettivo accertamento della
realtà.
Sta di fatto che in alto loco (Ministero del Tesoro e Banca
d’Italia) non si ritenne di fare ricorso agli stessi criteri
che, ad esempio, avevano portato a salvare il Banco Ambrosiano,
il Banco di Napoli, la Cassa di Risparmio di Calabria e diversi
altri importanti Istituti di Credito nazionali, precedentemente
venutisi a trovare in dissesto o in pericolo di liquidità per
vari motivi e cause.
Quasi si volesse fare sparire, forse anche per evitare
ripercussioni di carattere giudiziario a carico di chi non aveva
“vigilato” a tempo e in maniera efficace, un contenitore di
pregresse trascuratezze e di conclamate responsabilità
decisionali, si fece in modo che fossero accelerate e, si dice,
pilotate a dovere, le relative procedure ispettive che diedero
il via allo sfaldamento dell'ultra centenario sistema creditizio
siciliano.
Nei piani alti della nomenclatura istituzionale e di competenza
(Ministero del Tesoro e Banca d’Italia, in particolare) si
decise, alla fine, di procedere alla “liquidazione coatta
amministrativa” (tuttora in corso a distanza di circa 27 anni)
della Sicilcassa, dopo che era stato varato il provvedimento di
“riversamento” del suo patrimonio nel Banco di Sicilia, già
sotto controllo azionario (1997) di Mediocredito (perorato dal
Ministero del Tesoro, a suo tempo retto da Ciampi, già
“Governatore” della Banca d’Italia), di “Capitalia” (nel 2002)
e, infine, del Gruppo UNICREDIT, nel 2007.
A fronte di tutto ciò la Regione Siciliana - certamente
corresponsabile di quanto negli anni accaduto nel settore
creditizio regionale - ebbe, all’epoca, una influenza pressoché
nulla e non evidenziò alcuna forte iniziativa per salvare il
salvabile.
Per avere maggiori informazioni, basterebbe rifarsi ad alcuni
circostanziati servizi giornalistici del periodo di che
trattasi. Varrebbe la pena di rileggerli magari solo per
conoscere meglio date e circostanze, anche di natura legislativa
e tecnica, che potrebbero servire a fornire più esaurienti
informazioni.
In conseguenza di tutto ciò la Regione, oggi espropriata del
diritto statutario d’intervento nelle problematiche del sistema
creditizio operante in Sicilia (di fatto ogni potestà scaturente
dall’art. 17 - par. e - dello Statuto è stata assorbita dalle
Autorità creditizie nazionali - Banca d’Italia e Ministero
dell’Economia e delle Finanze - ex “Ministero del Tesoro”),
ricopre in atto un modestissimo ruolo in materia di Credito e
Risparmio.
Ove si escluda il marginale settore delle aziende aventi sede
sociale in Sicilia (Banche Popolari, Casse Rurali e Artigiane),
il Governo Regionale, in materia di strutture bancarie operanti
nel territorio siciliano, può solo esprimere pressoché
ininfluenti “pareri” riguardanti le oltremodo importanti
determinazioni di politica creditizia e di tassi.
In conclusione, lo sviluppo economico della Sicilia non può più
avvalersi del pregresso diretto supporto creditizio assicurato,
in uno spazio temporale di secoli di encomiabile attività,
dall’antico sistema delle banche siciliane, fra cui il Banco di
Sicilia che, a suo tempo, ebbe a godere del ruolo di “Banca
d’emissione”.
A ben poco di concreto, viceversa, può portare la operatività di
alcune piccole strutture bancarie che, già in partenza, sono
prive dei requisiti di concorrenzialità necessari per stare al
passo con le grosse concentrazioni creditizie internazionali e
con l’economia globale.
Sta di fatto che, in atto, in Sicilia non c’è più alcuna “Banca
locale tradizionale” ma esistono solo modeste “Aziende
creditizie” mentre imperversano dispoticamente parecchi
sportelli periferici dei colossi multinazionali del sistema,
impropriamente divenuti vere e proprie “aziende commerciali”
che, fra le tante altre cose, si occupano essenzialmente di
“vendere”, magari a caro prezzo, servizi bancari e creditizi.
4 – TUTELA DEL TERRITORIO.
In cambio di quanto prima segnalato in materia di aziende
inquinanti, di attività imprenditoriali deturpanti e talvolta
abusive, di incuria ambientale e igienica di vaste aree
abitative, parecchie preziose zone dell’Isola hanno ricevuto un
favoloso regalo: disastrosi sconvolgimenti ambientali,
inquinamento territoriale, atmosferico e marino, elevati rischi
per la salute delle popolazioni.
Non è questa la sede idonea per porre in risalto i preoccupanti
dati riguardanti l’esponenziale incremento delle malattie
oncologiche e respiratorie (spesso terminali) registrate nelle
zone di Augusta, Priolo, Milazzo, Gela.
Parecchi complessi industriali, siano essi di grande o di media
dimensione, hanno agito, in definitiva, con spregiudicatezza e
frenesia di profitto, alla stregua di voraci mostri che
stritolano e fagocitano ogni cosa.
E’ chiaro che tutto ciò non sarebbe accaduto ove non ci fosse
stato il palese assenteismo se non un vero e proprio assenso
manifesto o tacito dei vari apparati politico-amministrativi
regionali e locali che, per inconfessabili motivazioni (fra cui
anche il tornacontismo elettorale), non hanno saputo (o voluto)
guardare lontano e non hanno messo in conto le prevedibili
conseguenze poi puntualmente verificatesi in misura pressoché
catastrofica e forse irreversibile.
Qualche lustro addietro, oltretutto, in forza di tale
convinzione, i “generosi” magnati del Nord (qualcuno li ha
tacciati d’ essere “voraci volponi”), ottenute le necessarie
“concessioni” (non è difficile supporre con quali intrecci e con
quali ipotizzabili accordi sottobanco) hanno rifilato ai
siciliani tutto quel lerciume industriale che nessuno avrebbe
mai osato localizzare nelle spiagge liguri, in Versilia, nel
riminese, o lungo le sponde del Po e dell’Adige.
Sta di fatto che, a fronte dello scempio operato dalle industrie
petrolchimiche lungo le coste siciliane, il tanto vituperato
“abusivismo edilizio” risulta poco più che un passatempo da "Boy
Scouts".
E’ da ricordare che il citato controverso “Statuto della Regione
Siciliana” conferisce all’Assemblea ed al Presidente della
Regione, nell’ambito dei principi informatori della tanto
decantata “Autonomia”, la responsabilità della tutela del
territorio.
Perché tale potestà non è stata e non è scrupolosamente
esercitata ?
Per il semplice fatto che la scelta dei politici di Sala
d’Ercole, e quindi del Governo della Regione, è stata di volta
in volta elaborata e confezionata a Roma, nelle sedi dei partiti
nazionali legati alle logiche del potere politico oltre che a
varie “lobby”, alla Confindustria, alle “logge” più o meno
occulte, ai “gruppi” di potere.
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A fronte di tante inoppugnabili considerazioni sembra giusto
chiedersi perché i siciliani, almeno quelli meritevoli di tale
appellativo, seguitino a dare potere elettorale ai seguaci di
quella politica che ha dato spazio all’insediamento delle
nefaste industrie prima segnalate.
Appare quantomeno scandaloso, vieppiù, che interi capitoli di
spesa (miliardi e non bruscolini) siano assorbiti dall’oneroso
mantenimento dei 70 “onorevoli” di serie “B” che siedono a Sala
d'Ercole, alle spese di gestione dell'elefantiaco e sciupone
apparato governativo e amministrativo (quest’ultimo composto
spesso da dilettanti allo sbaraglio o da furbi carrieristi),
alle sontuose coreografie del “parlamentino”, della presidenza e
di parecchi assessorati regionali.
In quale capo d’accusa andrebbe inserito, inoltre, il reiterato
rinvio dei provvedimenti di eliminazione di quella pletora di
Enti e aziende regionali dimostratamente improduttivi pur avendo
le caratteristiche di ingordi mangiasoldi?
Sono di pubblica conoscenza, inoltre, i pesantissimi oneri di
gestione del personale il cui all’abnorme “organico” che
rappresenta la palla al piede dell’Ente Regione e non si riesce
a sapere con esattezza il complessivo numero dei dipendenti, pur
se qualche fonte di stampa asserisce che esso assomma da 22 a 24
mila unità, di cui circa 2 mila con la qualifica di “dirigenti”
e circa 7 mila con attribuzioni di elevato grado.
La Regione Lombardia, la più importante e più sviluppata
d’Italia, è amministrata abbastanza bene con un organico di
appena un terzo.
Anche gli organici dei vari Enti Locali sotto giurisdizione
regionale (Comuni, Province, Enti gestionali di servizi,
Consorzi di bonifica, Parchi regionali ecc. ecc.) sono divenuti,
di fatto, una sorta di trita miliardi e servono spesso a
soddisfare le pretese clientelari ed elettorali dei vari “boss”
politici, specie se portatori di più o meno ricchi portafogli di
voti.
Non è certo piacevole constatare che, di fatto, s’è consegnata
la Sicilia agli esponenti degli stantii schieramenti politici
nazionali di provata inaffidabilità fra cui parecchi nuovi
arrivati di origine nordista e di incerta e precaria consistenza
programmatica, contribuendo a determinare la ingovernabilità
della Regione.
Al suo interno, peraltro, esistono gruppi partitici che da
sempre hanno dimostrato di remare contro le sacrosante
rivendicazioni della Sicilia nei confronti del centralizzato
ponte di comando nazionale.
Sarebbe più confacente, quindi, parlare di una vera e propria
inqualificabile “subordinazione” al centralismo romano e padano,
subordinazione più o meno contestata a parole ma supinamente
accettata nei fatti.
E’ ben facile constatare, oltretutto, che Sala d’Ercole, con i
suoi 70 inquilini, parecchi dei quali ben definibili di “mezza
tacca”, non sembra più essere quel polmone che dovrebbe dare
ossigeno all’apparato vitale della Sicilia (forse non lo è mai
stato) ma, viceversa, sembra essere divenuta uno sfarzoso
“saloon” che ospita ciniche sceneggiate di discutibile valore
etico o un semplice punto di ritrovo per bravi, scaltri e
spregiudicati bucanieri da corsa.
La cronistoria di oltre un sessantennio di storia autonomistica
della Sicilia, porta a riflettere che dietro la facciata formale
e burocratica di un importante organo politico - istituzionale
sembra si sia sviluppato un ambiente in cui prolifera quella
mala politica che, in verità, non è appannaggio di uno specifico
settore ma coinvolge tutti gli schieramenti partitici, di
centro, di destra o di sinistra.
Si va sbandierando ai quattro venti (pur se talvolta è un
semplice corro di “vox populi”) che esistono vere e proprie
nomenclature volte a soddisfare interessi di gruppo o personali
e ad applicare una sorta di mercimonio negli appalti e nella
erogazione di servizi, ricavandone tangenti, regalie e favori
vari, anche elettorali.
Chi può affermare in coscienza di non essersi mai imbattuto in
variegate forme di clientelismo e di favoritismo (un surrogato
del “voto di scambio”), di sfacciato nepotismo, di corruzione,
di abuso di potere?
Senza dire dell’utilizzo distorto o improprio di consistenti
risorse di natura pubblica, finanziarie e non, di beni, di
servizi e strutture degli Enti locali e regionali, nell’ambito
dei quali, peraltro, non esiste alcuna seria propensione al
controllo e al contenimento delle spese non produttive.
Considerando il quadro complessivo della situazione affatto
tranquillizzante in cui oggi versa la martoriata Sicilia,
nell’ambito della famosa Italia a due velocità, è più che
giustificabile la tentazione d’affermare che, così stando le
cose, c’è da vergognarsi nell’essere apparentati con quella
parte della società isolana che, per ignavia, per incuria, per
dedizione ai canoni dell’approfittamento malavitoso, o per altri
fini poco trasparenti ed etici, ha abiurato all’amore per la
propria terra ed ha rinunziato a considerarsi erede della
civiltà e della cultura che hanno onorato, nei secoli, l’Isola
di Trinacria.
Si sta buttando alle ortiche, forse definitivamente, l’ambita
identità siciliana?
I Siciliani, nelle decorse settimane, hanno avuto la triste
conferma che al posto del già infido e ribollente stagno della
munifica REGIONE SICILIANA “spendi tutto” (una sorta di
collaudato colabrodo), è affiorata una mefitica palude (con
insidiose sabbie mobili) in cui si muovono, pressoché
indisturbate, variegate razze di aggressivi squali e di voraci
piranha dal volto umano, delle specie più evolute.
Non è fuor di luogo analizzare qualche punto essenziale della
anomala gestione dell'’Ente Regione da parte della
tornacontistica politica di cui sopra:
• premettendo che sin quasi alla fine degli anni sessanta la
Regione Sicilia disponeva di una florida situazione finanziaria,
l’attuale indebitamento complessivo - conseguenza
dell’incosciente operato dei politici e dei partiti che l'hanno
amministrata e l’hanno saccheggiata senza scrupoli - ha
raggiunto cifre da capogiro non più contenibili entro i limiti
di una corretta e sana gestione di bilancio;
• nel 2021 mentre il prodotto interno lordo (PIL) del sud si è
mediante attestato a 18 mila €. circa, la Sicilia ha acquisito
un primato: è l’unica regione italiana che continua ad avere un
PIL pro capite inferiore alla media italiana e una
disoccupazione più elevata rispetto al resto d'Italia
• anche nel settore del turismo, che dovrebbe essere il fiore
all’occhiello dell’Isola, si registra un negativo indice di
produttività;
• la Sicilia “dell’autonomia” vanta anche ben altri primati: in
base alle stime, l’Isola segnerà un dato pari al 18,7% in
materia di disoccupazione o di soggetti senza lavoro che dir si
voglia; quasi il doppio della media nazionale che si attesta al
9,5%.
• quella giovanile (dai 15 ai 29 anni) si aggira attorno al 40%,
a fronte di una media nazionale di circa il 30%;
• le cessazioni di esercizio di molte piccole e medie aziende
commerciali e di servizi stanno interessando sia i centri
storici che le periferie delle città e anche dei piccoli Comuni,
gettando nello sconforto interi quartieri e arrecando un grave
nocumento alla qualità della vita per chi vi abita;
• il reddito pro-capite continua a ridursi, il risparmio s'è
sensibilmente contratto, il potere d’acquisto delle retribuzioni
punta inesorabilmente al basso;
• le addizionali fiscali di cui beneficiano Regione ed Enti
Locali, sono aumentate, nel complesso, di circa 3 punti, pur
senza tenere conto del vessatorio incremento dei vari balzelli
aggiuntivi e accise contenuti nelle bollette ENEL e GAS ma che
nulla hanno a che vedere con le effettive forniture energetiche;
è evidente che trattasi di ladreschi sotterfugi impositivi (ai
quali nessuno è in grado di opporsi) mirati a tamponare i
variegati sconci amministrativi degli Enti in questione;
• e per finire in bellezza, risulta che circa il 33 % delle
famiglie siciliane s'è venuta a trovare al di là della tetra
“soglia di povertà”.
Non possono passare sotto silenzio, nello stesso tempo, gli
altri preoccupanti aspetti del disastro gestionale della Regione
(cui s'aggiunge quello della gran parte degli Enti Locali) che
si traduce in un irreparabile danno circa il regolare andamento
ed espletamento dei compiti e delle funzioni istituzionali.
La situazione di pesante indebitamento della quasi totalità
degli Enti locali (Comuni e Province, in particolare) è in gran
parte dovuta all’allegra, sprovveduta e per molti versi
colpevole gestione degli stessi; va segnalato, in proposito, che
in parecchi casi, per procacciarsi voti o per meschini
intrallazzi politici, gli organici del personale risultano
essere stati ampliati a dismisura.
La paralizzante burocrazia limita e scoraggia, oltre che gli
sperati nuovi investimenti esterni, l'apertura di nuove attività
produttive, mentre i complicati e farraginosi dettami
legislativi regionali (viepiù in forza dei relativi
“regolamenti” applicativi) complicano la vita quotidiana dei
siciliani in generale. Da ciò scaturisce, ovviamente, il
proliferare della corruzione e l’imperante ricorso al
favoritismo.
Nessuno può disconoscere (o giustificare) la disastrosa
situazione in cui versa, ormai da tempo, l’Ente Regione.
Situazione chiaramente giunta (speriamo non irreversibilmente)
ai margini del dissesto, o “default” che dir si voglia.
I giulivi e ben pasciuti 70 titolari degli scanni della sfarzosa
“Sala d’Ercole”, facente parte del “regale” scenario di “Palazzo
dei Normanni”, dovrebbero smetterla di cianciare a vuoto e di
correre dietro a interessi personali, parentali e amicali.
Conclusioni e suggerimenti
Considerando che costituzionalmente le Regioni non si possono
“commissariare”, forse sarebbe cosa utile porre in liquidazione
coatta parecchie delle branche amministrative della Regione
Siciliana?
Sarebbe forse cosa più consona che una sostanziosa parte dei
sopra citati organici, fosse trasferita d’ufficio fra le file
degli addetti ai lavori di pubblica utilità, imponendo loro di
“lavorare” nel senso letterale del termine?
L’alternativa potrebbe essere quella di porre i relativi
componenti in quiescenza o in cassa integrazione.
Analogo trattamento andrebbe posto in opera anche per molti
“onorevolicchi” di Sala d’Ercole più o meno “democraticamente”
eletti.
E a proposito dei virtuali "costi e ricavi" della incongrua
politica regionale, posta in cantiere da oltre tre lustri, non
sarebbe male che si decidesse di chiedere a gran voce la
“riforma” della inapplicata famosa "autonomia", datata 1946 e
pervenuta al semaforo rosso della inattuabilità per sacro volere
della nefasta partitocrazia di marca romana?
L'attuale Presidente della Regione, temporaneo ospite di Palazzo
d'Orleans, non può certo riconoscere, per dovere d'ufficio, che
l'odierna realtà è del tutto sconfortante.
Sicuramente sa che tale realtà è forse parecchio più triste e
forse irreversibile di quanto le artate apparenze vorrebbero far
credere.
L’ammetterlo, traendone le conseguenze, sarebbe una encomiabile
manifestazione di dignità (non solo di serietà) sua e di gran
parte della scadente classe politica, chiamata da una dubitevole
democrazia a rappresentare una massa di immaturi e disattenti
elettori.
Perché non indire un onesto "referendum abrogativo" di una
“autonomia capestro”, artefice di variegati enti e strutture
mangiasoldi e maestra di soffocante burocrazia, oltre che di un
incongruo e anoressico sviluppo economico?
E’ da presumere che a molti fa comodo tenere in efficienza e ben
rifornita la attuale "mangiatoia".
Alla luce dei fatti rassegnati, sembrerebbe che il tanto
strombazzato principio di una funzionale autonomia sia venuto
meno rispetto alla sua iniziale finalità che era quella di
rappresentare gli ideali del sicilianismo.
La sua incompiuta applicazione dimostra oltretutto che la
Sicilia, depredata, maltrattata ed emarginata, non è in grado,
in atto, di difendersi dall'orda famelica dei veri detentori dei
poteri forti rappresentati dal centralismo partitico,
dall’affarismo speculativo, dall’alta finanza, dalle lobby
industriali, commerciali e di casta.
La fragile navicella di taluni simposi dedicati al “risveglio
della identità siciliana”, dopo una lunga traversata nel mare
parecchio agitato di tanti frazionamenti e di molte discordanti
vedute, ha posto i propri ormeggi nel porto delle nebbie della
realtà isolana, tutt’altro che incoraggiante.
Le onde lunghe dell’individualismo esasperato, dell’egoismo
culturale, della critica pregiudiziale, del poco rispetto per il
pensiero altrui - giusto o sbagliato che possa essere -,
dell’ipocrita enunciazione di sermoni validi solo per gli altri
ma quasi mai per se stessi, della scarsa sobrietà intellettuale
e ideale, ne hanno contrastato la navigazione e l’approdo.
Altro che spirito di serena partecipazione rispetto alla odierna
congiuntura della Sicilia autonomista che sembra abbia smarrito
il comune senso della propria storia.
Seguitano a prevalere più le divergenze fatte d’inguaribili
egocentrismi che le convergenze fatte di dialogo costruttivo e
di “non violenza” psicologica.
L’ambigua personalità egocentrica dei soliti prevenuti e
incalliti contestatori di professione dimostra, invece, che poco
o niente rimane dei sentimenti di vera sicilianità, ammesso che
la stessa possa continuare ad esistere e a prosperare.
L’invocato pluralismo che dovrebbe contraddistinguere una
collettività socialmente matura e rispettosa di ogni sua
componente, non può esistere quando si è portati a pensare che
sono sempre gli altri a sbagliare, quando presuntuosamente s’è
portati a pensare che la verità sta solo in se stessi, quando
s’è portati a sostenere che l’ignoranza, la scarsa qualità
intellettuale, la pochezza delle argomentazioni, sono
esclusivamente retaggio di chi non la pensa come noi.
Tutto ciò non è certo l’humus in cui potrebbe rifiorire lo
spirito di una autentica “identità siciliana” che, almeno per il
momento, è solo una utopia ammantata di speranza.
Maggio 2024
luau
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