Una data da ricordare:
25 LUGLIO 1943 –
ARRESTO DI MUSSOLINI.
Sono trascorsi 78 anni da quel 25 luglio 1943 quando nella
Italia stremata per i disagi, le sofferenze, le privazioni, le
ferali e distruttive incursioni aeree nemiche, oltre che
militarmente provata per l’avverso svolgimento delle tristi
vicende belliche di oltre tre anni di guerra non voluta e mal
condotta (GRECIA / AOI / LIBIA / TUNISIA / SICILIA/ (in aggiunta
ai patiti insuccessi navali di Genova, Taranto, Punta Stilo,
Capo Teulada), s’abbattè il “coup d’etat” ordito dall’entourage
di Vittorio Emanuele III per “far fuori” Mussolini e il
fascismo.
A detta dello storico Gianfranco Romanello, (pag. 1339 de “La
seconda Guerra Mondiale” - Gruppo Editoriale Fabbri - 2°ristampa
– 1986 ) “… il 25 luglio venne girata una pagina della storia
d’Italia, ma le nubi di un’altra tragedia si fecero ancora più
scure”. “Giungerà presto, infatti, l’infausto e tragico 8
settembre 1943. Un disastro di gran lunga peggiore della tragica
disfatta di Caporetto, dell'ottobre 1917”.
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Trascurare la conoscenza della storia, quella vera non quella
monca o distorta, preferendo ignorarla per correre dietro ai
racconti di sciocca fantasia, del mondo dei balocchi, delle
favolette per allocchi o, peggio ancora, ai materialistici
piaceri goderecci del consumismo sfrenato, è una autentica
condanna a rimanere nel limbo della mediocrità. E’ inutile
allora lamentarsi che la società civile è diretta al capolinea
dello sfascio, che i politici mal governano le istituzioni, che
le infrastrutture cascano a pezzi, che la sporcizia e l’incuria
per il territorio sono quasi ovunque il marchio segnaletico di
un paese da “quarto mondo”, che i centri urbani sono, di
massima, da classificare “invivibili”. Ciò è quanto la parte
sana della Nazione non merita, pur se subisce l'operato di una
sfacciata minoranza di mediocri arrivisti, di gente senza
scrupoli, di corrotti, di speculatori, di imbonitori da fiera,
che ogni giorno riversa, nei luoghi della convivenza sociale,
una sorta di virtuale “raccolta indifferenziata” di indegni
comportamenti.
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Ecco una sintetica ricostruzione dei
fatti accaduti in quei giorni, ferma restando, per chiunque, la
facoltà di esprimere, mediante le pertinenti informazioni
fornite, un proprio soggettivo giudizio.
25 luglio 2021
LuAu
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25 LUGLIO 1943 – ARRESTO DI
MUSSOLINI.
Il Gen.le Ambrosio (Capo di Stato Maggiore Generale delle
FF.AA.), già il 22 luglio aveva preso contatto col segretario di
Badoglio affinché informasse il Maresciallo di “tenersi pronto”
- per il 24 o 25 - in previsione della riunione del Gran
Consiglio del Fascismo che “sicuramente avrebbe fatto fuori
Mussolini”.
Badoglio, appresa la notizia, la comunica ai familiari e ordina
di “portare su dalla cantina” - fornitissima “riserva” in cui
erano conservati oltre 5 mila pezzi “da collezione” di rinomati
vini - una bottiglia di “veuve Cliquot” (pregiato vino francese)
da porre in ghiacciaia e da tenere pronta per brindare allo
“sperato” avvenimento: “la fine di Mussolini”. Chiara
dimostrazione della meschina mentalità del malfidato
Maresciallo, mentalità offensiva sia verso la Nazione stremata e
sofferente che, in particolare, verso quegli italiani che nulla
avevano a che spartire col profondo rancore da lui nutrito verso
il Duce. Aveva disinvoltamente dimenticato, peraltro, che sino
al dicembre del‘41 lo aveva osannato a gran voce, in ogni
occasione, e l’aveva adulato senza ritegno al fine di ottenere
onori, favori e prebende varie.
Per inciso, è d’uopo aprire una breve parentesi. Nel corso della
convulsa riunione del citato Gran Consiglio del Fascismo,
Mussolini ebbe a difendersi dall’accusa di avere “accentrato” in
lui anche il potere militare (“cucendosi sulla giubba i galloni
di Maresciallo”, come affermato da Grandi, promotore dell'ordine
del giorno di sfiducia), sostenendo che tale potere gli era
stato offerto dal Re su suggerimento di Badoglio. A tal
proposito, lesse una ossequiosa lettera autografa di
quest’ultimo, con la quale lo invitava ad accettare l’incarico
di “Comandante Supremo delle Forze Armate”.
Tenuto conto dell'ambiguo modo di procedere del Maresciallo, può
darsi che la citata sollecitazione fosse il frutto avvelenato di
talune sue recondite finalità. Prima fra tutte, quella di
scrollarsi di dosso, almeno in parte, il peso delle
manchevolezze che gravavano sulla sua coscienza di incontrastato
responsabile di vertice delle FF.AA. Non poteva non essere
conscio, infatti, di non avere saputo rimediare, nei lunghi anni
del suo incontrastato incarico (dal maggio 1925 al dicembre del
1940, per l’esattezza), alla sostanziale impreparazione tecnica
e logistica delle stesse, alla mancanza di validi piani
strategici che avrebbero dovuto permettere di agire con
immediatezza al momento della ormai ineluttabile guerra. Senza
dire del sostanziale disinteresse dimostrato a fronte dei
problemi riguardanti l’impiego e l’operatività dei consistenti
reparti schierati nei vari settori di prima linea. Un altro suo
recondito intendimento poteva essere quello di conservare, di
fatto, le prerogative di comando, pur evitando che parecchie
responsabilità gravassero direttamente su di lui.
Chiusa questa parentesi-premesa, è bene ricordare che lo stesso
Grandi aveva informato il Sovrano, già nelle prime ore del
fatidico 25 luglio, circa l’esito della votazione sull’ordine
del giorno di sfiducia nottetempo votato dal Gran Consiglio del
Fascismo. Tale informazione conferiva il crisma di attuabilità
dei piani per porre fuori gioco Mussolini.
E’ ormai acclarato, tuttavia, che il complotto, coordinato
personalmente dal Re (qualcuno sostiene sin dall’aprile ‘43),
era stato architettato in gran segreto e ne era a conoscenza
solo il Duca Acquarone, Ministro della Real Casa.
Il Monarca, in merito, s’era avvalso della “segreta adesione” di
alcuni alti esponenti dell'apparato militare dell’epoca fra cui
il Gen.le Ambrosio (Capo di Stato Maggiore Generale delle FF.AA),
il Gen.le Carboni (del S.I.M) e il Gen.le Angelo Cerica (Corpo
dei Carabinieri). Al Gen.le Castellano, infine, nella qualità di
aiutante maggiore del Gen.le Ambrosio, era toccato il compito di
approntare “la trappola” in cui far cadere Mussolini. Tutto era
predisposto, comunque, sin dal 19 luglio.
Sorgono spontanee, a questo punto, alcune riflessioni.
Considerato che in quel momento Mussolini era ancora capo del
Governo e Comandante Supremo delle FF.AA., come valutare il
citato “complotto”, se non come un autentico reato di “alto
tradimento”?
Come definire la riprovevole condotta dei citati generali se non
con la definizione di “sedizione”?
Come giudicare l’operato del Capitano dei Carabinieri Paolo
Vigneri (1), se non come “un atto di grave insubordinazione e di
sequestro di persona”?
E’ evidente, a proposito di quest’ultimo, che, nel momento in
cui, all’uscita da Villa Savoia, agisce per sbarrare la strada a
Mussolini e, in assenza di uno specifico “mandato”, lo costringe
a seguirlo, con le buone e con le cattive, ebbe a commettere,
ovviamente, un grave reato di abuso di potere, oltre che di
illegittimo “fermo”. Nella qualità di pubblico ufficiale non
avrebbe dovuto infrangere lo statuito dovere della tutela della
legalità, vieppiù perché nessuno dei superiori (“congiurati” o
non) deteneva il potere di esonerarlo da tale obbligo.
Anche Ambrosio e gli altri generali erano da considerare, in
quel frangente, “rei di alto tradimento”, sia perché erano nel
pieno esercizio di pubbliche funzioni e sia perché, quali
elevati esponenti della scala gerarchica militare, erano in quel
momento formalmente e sostanzialmente alle dipendenze dirette
del “Capo delle Forze Armate”, Mussolini.
Sembra che solo Cerica abbia avanzato, in materia, qualche
timida riserva, affermando: “… siamo o no nel campo
costituzionale?”.
Gli aderenti alla reproba congiura, oltretutto, non potevano
trarre alcuna valida giustificazione dal fatto che era stato il
Re a fornire le direttive. Avrebbe dovuto essere ben chiaro a
tutti che, nel rispetto dello Statuto vigente, neppure il
Sovrano era in grado d’impartire simili ordini, se non
commettendo un atto eversivo e venendo meno al dovere di
“tutore” della legalità costituzionale.
Eppure tutto ciò che avvenne in quelle turbolenti giornate (un
autentico colpo di stato) non diede adito ad alcuna azione da
parte della competente magistratura, militare o civile che
fosse, e non fu mai aperta alcuna circostanziata inchiesta, pur
a fronte dei gravi e palesi reati commessi, peraltro penalmente
perseguibili d’ufficio.
Si giunse quindi, non per un fatto occasionale o per una
emergenza dell'ultimo momento, bensì nell'ambito di un
prestabilito e preciso piano eversivo, a quel triste pomeriggio
di domenica 25 luglio in cui, alle 17 e venti circa, Mussolini
viene “fermato”, caricato su una traballante ambulanza e
“tradotto” per le vie di Roma, alla stregua di un qualsiasi
malvivente, sino alla Caserma “Podgora”, da dove sarà poi
trasferito all’isola di Ponza.
Ogni cosa era stata meticolosamente preordinata, addirittura
predisponendo gli argomenti che il Sovrano avrebbe dovuto
esporre nel corso dell'ultimo colloquio con Mussolini, prima
che, al termine dell'udienza, scattassero le previste modalità
del suo sostanziale “arresto”.
Nella misura in cui il “potente” Duce del fascismo non s’era
reso conto del tranello tesogli - malgrado molte avvisaglie
avrebbero dovuto allarmare sia lui che il suo “staff” - è
pensabile che fosse stata anche ipotizzata la sua ingenuità.
Essendo convinto di potere contare ancora sulla lealtà del Re,
s’era buttato, di fatto, in bocca al lupo, accompagnato solo dal
suo segretario, De Cesare, e dall’autista.
Poi, ad uso e consumo del popolo italiano e per camuffare la
triste vicenda, i responsabili dell'indegna cospirazione
inventarono, inoltre, una spudorata menzogna. Affermarono il
falso asserendo che il Re aveva puramente e semplicemente
“accettato le dimissioni del Cav.re Mussolini”.
Sta di fatto che Mussolini non era andato in udienza dal Re per
presentare volontariamente le proprie “dimissioni”, mentre è
risaputo, di contro, che il regio decreto di nomina del suo
successore, Pietro Badoglio (a seguito della rinuncia di Paolo
Thaon di Revel e di Enrico Caviglia), era stato già predisposto,
redatto e firmato sin dal mattino.
Alle ore 18,30 infatti, appena un’ora dopo l’illegale arresto di
Mussolini, il citato Badoglio, preventivamente avvisato, giunge
a Villa Savoia per prendere atto della sua nomina a “Capo del
Governo e Primo Ministro Segretario di Stato” e per discutere
con il Re sulle relative modalità.
Da li a poco il noto “speaker” dell'E.I.A.R., Giambattista
Arista, leggerà alla radio, con voce afona e anonima, il
comunicato del Quirinale e i proclami del Re e di Badoglio alla
Nazione, ambedue concordati, parecchio in anticipo, con il
venerando ex Presidente V. E. Orlando.
Nel messaggio attribuito a Badoglio (basta leggerlo con
attenzione per rendersi conto che non era farina del suo sacco),
risaltava l’infelice frase “la guerra continua” che diverrà poi,
oltre che il simbolo dell'ambiguo operato del suo governo,
l’appiglio giustificativo della nomea di “traditori” che Hitler
e la sua cerchia appiopperanno agli italiani.
Al suo rientro a casa, il graziato e riabilitato Maresciallo,
potrà finalmente stappare la famosa bottiglia di “veuve Cliquot”,
brindando all’amara sorte cui, a parte la colpevolezza o meno di
Mussolini, stava andando incontro la Nazione.
Avranno inizio, così, “gli ambigui 45 giorni (2) di Badoglio che
tante ulteriori sofferenze porteranno ai militari, nei vari
settori di guerra, ed alla popolazione”.
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(1) - Il Capitano Paolo
Vigneri, nativo di Calascibetta (EN), dopo la guerra divenuto
Notaio in Catania, fu collaborato, in quella circostanza, dal
Capitano Raffaele Aversa, dal sottotenente Carmelo Marzano e dai
sottufficiali Bertuzzi Domenico,Gianfriglia Romeo e Zenon Sante.
(2) – I 45 giorni di Badoglio sono calcolati dal 25 luglio all’
8 settembre 1943 quando ignobilmente lui, la Casa Reale al gran
completo e un codazzo di seguaci più o meno titolati abbandonò
Roma, si avventurarono verso Ortona e si imbarcarono per
Brindisi ove diedero vita al tisico Regno del Sud.
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