2 GIUGNO
1946 - 2 GIUGNO 2024
// 78 anni
di REPUBBLICA //
Ricorrendo il 78° anniversario della nascita
della Repubblica Italiana, in alto loco, in seno ai vari settori
interessati in specie al Quirinale, ci si è dato da fare per
porre in cantiere una dovizia di iniziative celebrative, pur se,
in gran misura, si sono poi rivelate ben poco confacenti con il
difficile momento che l’Italia e il Mondo stanno attraversando.
Fra le tante manifestazioni esterne ha
primeggiato, come di consueto, la tradizionale “parata” ai “Fori
Imperiali” lungo la ben nota arteria romana realizzata nel corso
del contestato “ventennio” e il cui appellativo di “imperiale” è
solo l’espressione di una sbiadita rimembranza di un glorioso
passato che, di massima, si e no avvantaggia il turismo.
Quest’anno, oltretutto, essa s’è svolta in
maniera affatto appariscente, sia per le difficili condizioni
ambientali dovute alla copiosa pioggia che per la
insoddisfacente e disarmonica “sfilata” di gran parte dei
“settori” partecipanti.
Una illogica concentrazione di ben retribuiti
uomini in divisa (circa 5000) e di qualche centinaio di mezzi
motorizzati di rilevante cilindrata il cui “sfilamento” ha
indubbiamente comportato un notevole onere e ha attivato,
ovviamente, un abbondante emissione di ossido di carbonio CO2.
Non è mancato il reiterato sfrecciare, su per il
cielo della Capitale, della celebre e costosissima “pattuglia
acrobatica”, meglio nota come “Frecce Tricolori”, così come,
anche stavolta, s’è dato spazio allo spericolato e rischioso
atterraggio in zona tribune di un gruppo di “paracadutisti”
della “Folgore” all’uopo dispendiosamente addestrati.
Nell'ambito delle sfarzose tribune - ben al
riparo dalla pioggia battente - s’è dato spazio alla esibizione
di un numeroso stuolo di politici d’ogni provenienza e levatura,
oltre che al copioso coacervo di tronfi Generali e Ammiragli,
parecchi addirittura portatori di ben tre stelle ad integrazione
della simbolica “greca”, magari appesantiti da fiammanti
paramenti da “grande uniforme”, da mostrine a tutto petto, da
decorazioni e medaglie che a stento trovano spazio nella giubba,
pur se talvolta di discutibile origine e significato.
Senza dire della consueta folla di servizievoli
personaggi di rincalzo, di “addetti al seguito”, di invitati di
rispetto.
Alla luce di quanto sopra rassegnato le consuete
stantie iniziative collegate alla “Festa della Repubblica” del 2
giugno, particolarmente la citata “parata” ai Fori Imperiali,
denotano palesi incongruenze, frutto del solito vacuo formalismo
che trova la sua massima estrinsecazione nella forzata
scenografia della sfilata di eterogenei “gruppi
associazionistici” a bordo dei costosi e inquinanti mezzi
motorizzati di cui sopra oltre che di diffusamente ben poco
marziali reparti militari e paramilitari, faticosamente e
costosamente approntati alla bisogna.
A parte la estemporanea e patetica “passeggiata”
dei paludati e folcloristici sindaci.
S’è potuto notare, a più riprese, l’espressione
riservata, taciturna e quasi compunta del Presidente Sergio
Mattarella, interrotta solo da qualche sporadico cenno di saluto
alle bandiere dei reparti in transito, magari accompagnato da un
formale applauso.
La Presidente del Consiglio Giorgia Meloni,
di contro, come spesso le sta accadendo in quest’ultimi tempi, a
prescindere dal continuo sfoggio (talvolta a distanza di appena
poche ore) di appariscenti capi di abbigliamento di classe
(presumibilmente parecchio costosi) e a parte i forzati sorrisi di prammatica a taluni
ossequianti e pedissequi interlocutori (o pro “cameraman”), anche
in questa occasione non è stata in grado di nascondere
pienamente i tratti alquanto irrigiditi del suo viso, affatto rilassato.
Il copione, alla fin fine, ha rappresentato un
qualcosa di più accostabile ad una “festa di paese” che ad una
incisiva “parata militare” o celebrativa.
Con buona pace di chi farebbe volentieri a meno di simili
sceneggiate che lasciano il tempo che trovano oltre che l’amaro
in bocca a fronte degli eclatanti sciupii di energie umane e di
preziose risorse finanziarie che esse inevitabilmente
comportano.
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Per altro verso, ove si valuti attentamente la eclatante notizia
riguardante le critiche elargite al Presidente della Repubblica
(addirittura invitato a dimettersi) da parte dell'esagitato
massimo esponente di una ben nota parte politica, non si può non
rimanere parecchio esterrefatti circa il complessivo
inarrestabile deterioramento dell'attuale apparato
istituzionale.
Tale attacco mancino, oltretutto, proviene da un entourage
politico dai trascorsi affatto patriottici, oltre che
recidivamente aduso a tali comportamenti pur se strumentalmente
inserito nei gangli vitali della coalizione che fortunosamente è
alla guida del Paese.
Sono in molti ad asserire che l’attuale sistema istituzionale,
pur se non ad unanimità sorto dalle ceneri della controversa
Monarchia sabaudo piemontese, non ha ottenuto i risultati
sperati e, di fatto, dopo un iniziale slancio positivo, vissuto
di pari passo con la promulgazione della nuova “Costituzione” e
con la appagante “ricostruzione” dello Stato, l’odierno scenario
è pervaso da parecchie zone d’ombra e crea non pochi dubbi.
E’ venuta meno la veneranda concezione della responsabile e sana
politica di un tempo ed è subentrata, purtroppo, la ben poco
apprezzabile egemonia degli esponenziali partiti e dei vari
centri di potere, più o meno occulti, in seno ai quali è
proliferata una impreparata e mediocre compagine di improvvisati
“conducator”.
E’ prosperato un ambiguo stato di fatto che da qualche
“ventennio” a questa parte ha debilitato e stremato il fragile
organismo della Nazione, vieppiù in funzione delle sconce
baruffe mirate alla cencelliana spartizione del potere, baruffe
talvolta scadute a livello di becere beghe di bottega.
S’è andato avanti, specie nell'ultimo lustro, in corsa con la
tendenza al “bel vivere”, quasi seguendo le orme di quella parte
della società che, parecchio cinicamente, pascola nel benessere
e nella ostentazione correndo dietro a fatui sciupii di facciata
o a quelle tante e multiformi iniziative ludiche dai chiari
connotati classisti e discriminanti.
Uno scenario a dir poco pernicioso che privilegia le “caste”, i
potentati economici, gli alti dignitari dell'apparato statale
civile e militare, creando profonde e rovinose fratture nella
società nazionale e innescando patogeni sintomi di malessere
sociale che a definirli solo casuali sarebbe come condividere la
diffusa malafede del mondo politico istituzionale.
Da tale stato di cose, in parallelo aggravato dal costante e
progressivo rosso del debito pubblico dello Stato, è
prevalentemente scaturita la piaga della corruzione, delle
tangenti, del mercato dei voti, degli sproporzionati rapidi e
forse illeciti arricchimenti.
E’ semplicemente vergognoso, in merito, il tacito silenzio
assenso da parte di talune strutture di controllo (di vertice o
di periferia) al risaputo sistematico assalto alla diligenza da
parte di chi pratica a cuor leggero l’irrazionale e sconvolgente
sistema dell'uso del potere per finalità settoriali o di parte.
Non è difficile rendersi conto dell'aduso scorretto modo di
amministrare la cosa pubblica, specie quando si da vita ad
intrighi, sotterfugi, abusi per favorire antichi e nuovi settori
lobbistici in cui si annidano speculatori ossessionati dalla
sfrenata corsa al profitto, magari incrementandolo con
architettate elusioni o evasioni fiscali.
Senza dire dell'esponenziale crescita dei parametri di
inefficienza totale o parziale dei servizi essenziali dovuti
alle comunità (istruzione, salute, sicurezza sul lavoro,
trasporti e viabilità, tutela e cura del territorio ecc. ecc.),
degli insufficienti adeguamenti strutturali ai canoni di un
proficuo sviluppo economico, degli scarsi interventi di
manutenzione del territorio mirati a prevenire e contenere le
disastrose conseguenze dei rivolgimenti naturali e dei disastri
ambientali.
Tutte cose che palesemente contrastano con la enunciazione
propagandistica, diuturnamente divulgata a fini elettorali, di
un finto o solo statistico benessere collettivo, di una sorta di
permanente “miracolo economico all’italiana”.
Il tutto assecondato dalla subdola influenza esercitata da
numerosi indefinibili “business man” di stato, oltre che dal
prezzolato mondo dei “mass-media”.
Il susseguirsi e il diffondersi di fatti ben poco giustificabili
imporrebbero a chi di dovere di porre fine alla politica di
favoreggiamento settoriale a scapito della collettività,
correggendo la rotta prima che sia troppo tardi, specie se si ha
un briciolo di riguardo per il destino delle future generazioni.
Ma l’odierno apparato istituzionale è in grado di farcela?
I dubbi sono tanti e l’orizzonte è parecchio cupo.
La gente, checché se ne voglia dire, è stanca, perplessa, e,
magari sbagliando, ritiene che non sia più il caso di andare a
votare.
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Non rimane che prendere atto della ingiustificabile mancanza di
rispetto per quella consistente massa di cittadini (trattasi
risaputamente di milioni di persone) che vivono nella povertà,
nella indigenza, nella costrizione a continue rinunce, nella
mancanza della adeguata assistenza sociale, assillati dai
disservizi burocratici e sostanziali della pubblica
amministrazione.
E siccome si dice che zucchero non guasta bevanda, la
invereconda RAI, come da antidiluviana usanza, non è venuta meno
alla predilezione di convenzionali e strumentali reportage fatti
di mancata esauriente informazione, di confusionarie
interlocuzioni, di incompleti e disattenti riferimenti alle
varie fasi delle manifestazioni.
2 giugno 2024 A. Lucchese
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