L’argomento di che trattasi è stato oggetto, di recente,
di una trasmissione di RAI-STORIA, sotto la guida del valente
giornalista Paolo Mieli e con la partecipazione della
preparatissima Prof.ssa Chiara Colombini, dell’Istituto per la
Storia della Resistenza e della società contemporanea (Istoreto).
Avendo attentamente seguito tale reportage, mi sono rifatto al
ricordo di mio cognato Giuseppe Miccichè - Ufficiale del Regio
Esercito in Grecia nel 1941 1942 e 1943, che ebbe a vivere
quella tragica esperienza proprio nei luoghi e nei modi esposti.
Prima della sua dipartita, avvenuta nel 2005, ha lasciato
parecchio materiale riguardante la sua triste odissea, peraltro
raccontata e inserita in un breve testo dedicato ai familiari.

INTERNATI MILITARI ITALIANI (i.m.i.)
di Augusto Lucchese
L’epopea dei cosiddetti INTERNATI MILITARI ITALIANI (I.M.I.),
ancora oggi largamente sconosciuta alla massa degli italiani pur
se estremamente tragica, ebbe il suo incredibile prologo nei
fatidici giorni di inizio settembre 1943. Il termine Internati
Militari Italiani (Italienische Militär-Internierte) fu
attribuito alla notevole massa dei soldati italiani catturati,
rastrellati e deportati nei giorni immediatamente successivi
all’annuncio dell'armistizio dell'8 settembre 1943.
Giorno 3 di quel mese, come risaputo, ebbe luogo la firma a
Cassibile - SR – del protocollo di “resa senza condizioni”
dell’Italia alle potenze alleate (impropriamente e falsamente
presentata come “armistizio”), mentre il giorno 8, sotto la
spinta ricattatoria del Comando Alleato di Algeri (Eisenhower),
Badoglio non poté tergiversare ulteriormente (come suo solito) e
dovette notificare ufficialmente al popolo italiano e al Mondo
l’accettazione del vessatorio e umiliante diktat imposto dai
vincitori. Solo che né lui, nella qualità di Capo del Governo e
di responsabile delle Forze Armate, né i capi militari
dipendenti, avevano doverosamente adottato alcun idoneo
provvedimento atto a fronteggiare, a tempo debito, le ben
prevedibili e inevitabili conseguenze.
Gli avvenimenti che precedettero e seguirono la dichiarazione
ufficiale dell’armistizio (19,45 dell’8 settembre 1943)
stravolsero ogni razionale aspettativa, e fu il caos. Oggi, alla
luce dei fatti, sembra possibile affermare che l’Italia avrebbe
forse patito meno danni se quell’Armistizio non fosse stato
chiesto e accettato, piuttosto che subirne passivamente e poco
dignitosamente le conseguenze. Formalizzando quell’imperfetto
quanto irrazionale documento, sia il Governo
badogliano-monarchico che i Governi alleati e il Comando
interalleato di Algeri, non seppero valutare la circostanza che
stavano assumendosi la grave responsabilità d’avventurarsi in un
vero e proprio campo minato. Solo formalmente fu ottenuto lo
scopo di sganciare l’Italia dal carro di Hitler, mentre la
guerra nella penisola (come del resto in tutta Europa) si
protrasse ancora per un lungo periodo e, anzi, s’intensificò con
sistemi di reciproca violenza e crudeltà. Di contro, con
assoluta noncuranza, furono mandati allo sbaraglio milioni di
persone e si condannarono a morte diverse centinaia di migliaia
di militari e di incolpevoli civili. Gli Alleati, in definitiva,
non seppero preventivamente imporre all’inetto governo
badogliano una chiara linea d’azione che prevedesse, quale
condizione basilare per la prosecuzione delle trattative di
resa, l’approntamento dei piani mirati a prendere possesso, al
momento dell’annuncio del cosiddetto armistizio, dei vasti
territori presidiati in esclusiva dalle FF.AA. italiane. Nel
luglio-agosto del 1943 ciò era ancora strategicamente e
tecnicamente possibile ed è confermato da quanto lo stesso
Hitler ebbe a dire a Mussolini in occasione del loro primo
incontro dopo la liberazione di quest’ultimo da Campo
Imperatore: - “…il tradimento italiano, se gli Alleati avessero
saputo sfruttarlo, avrebbe potuto provocare il subitaneo crollo
della Germania …”. Ove ciò fosse avvenuto per lungimiranza degli
Alleati e per l’efficienza dell’apparato di governo dell’Italia
(non ci fu né l’una né l’altra), la guerra in Europa sarebbe
potuta finire almeno un anno e mezzo prima, evitando ulteriori
massacri quale quello dello sbarco in Normandia (operazione
Overlord). Pur non prendendo in considerazione l’irrazionale
“genio” dell’infingardo Badoglio, un sentito complimento alla
rovescia non può essere negato ai vari Roosewelt, Churchill,
Eisenhower e ad altri influenti personaggi alleati. Dall’alto
dei cieli, chi in particolare ebbe a lasciarci la pelle,
certamente non può giudicare favorevolmente il loro affrettato e
lacunoso decisionismo del momento. Solo che i vincitori, si
dice, hanno sempre ragione.
---------------------
Circa un milione e mezzo di militari - sparsi, oltre che nel
territorio nazionale, in Provenza, in Corsica, nei Balcani, in
Grecia e nelle Isole del Docanneso - furono di fatto abbandonati
al loro destino, privi di direttive e senza neppure essere stati
preventivamente posti a conoscenza di ciò che stava per
avvenire. Anche i vertici delle Grandi Un ità
e i Comandi di settore erano all’oscuro di tutto. Badoglio e lo
Stato Maggiore (complice la Monarchia) si comportarono in
maniera inqualificabile, di gran lunga peggiore rispetto alle
inadempienze che nell’ottobre 1917 avevano determinato la
tragica disfatta di Caporetto. Del resto, taluni artefici della
nuova sciagura italiana, vedi caso, erano gli stessi uomini di
punta d’allora.
Le insicure e poco rispondenti iniziative tendenti ad ottenere
dagli Alleati il famoso “armistizio”, erano state portate avanti
maldestramente e di nascosto dai Tedeschi che, però, avevano
subodorato quanto si stava tramando a loro insaputa. Da tempo,
infatti, avevano predisposto adeguate misure (piano “Alarico”)
per assumere il controllo militare del territorio italiano e
procedere al disarmo delle varie unità e reparti delle regie
Forze Armate italiane. Hitler, infuriato, aveva tacciato con
l’epiteto di “traditori” gli esponenti dell’apparato
istituzionale, governativo e militare al momento in carica.
---------------------
Questa sintetica premessa è indispensabile per entrare nel
merito dell’oscuro e disatteso capitolo storico che riguarda,
per l’appunto, i cosiddetti INTERNATI MILITARI ITALIANI
(I.M.I.), circa 700/mila uomini che da “alleati” (in funzione
dell’ “Asse Roma - Berlino”, del “Patto d’acciaio”, e del “Patto
Tripartito”) si trovarono, nell’arco di poche ore, ad essere
considerati ”nemici” oltre che, come detto, “traditori”.
“L’otto settembre 1943 è una data fatale per il nostro Paese,
….. come il 10 giugno1940 e come il 25 luglio 1943. Sono,
questi, i punti fermi della nostra storia recente …. poiché non
è difficile tessere su di essi una trama concreta, dalle linee
inconfondibili, la trama della disfatta. Trama, linee sicure,
che servono come da filo conduttore per chi voglia rendersi
conto dell’attuale crisi “. Così scrive Carlo Bozzi a pag. 23
nel suo articolato e brillante testo “Oltre la disfatta”
(Edizioni Delfino – Milano – 1952), introducendo una dotta
disamina dei rivolgimenti istituzionali che seguirono agli
oscuri avvenimenti del luglio-settembre ’43 e quelli
conseguenti, cruenti, fratricidi, disastrosi, che si protrassero
sino all’ aprile 1945. Avvenimenti che, in prosieguo,
decretarono la fine della Monarchia e crearono le condizioni per
l’avvento della attuale zoppa democrazia repubblicana la quale,
malgrado basata su una Carta Costituzionale degna del massimo
rispetto, tuttora stenta ad esprimere personalità politiche
capaci di elevarsi al di sopra delle parti e che, a livello
morale e civico, possano essere realmente capaci di pilotare la
complessa e purtroppo malconcia macchina dello Stato
democratico.
E non è fuor di luogo, traendo spunto proprio dagli avvenimenti
in trattazione, fare rilevare che non s’è persa l’abitudine,
prettamente italiana, di prediligere le parole ai fatti. Ancora
oggi, gli ampollosi discorsi dei politici di professione, le
ciance dei capi partito, i sermoni profusi in occasione di varie
ricorrenze (talvolta elevate agli altari della “memoria
nazionale” per intercessione di quella parte politica che ne ha
tratto e ne trae vantaggio elettorale), quasi sempre sono
fondati su demagogici “luoghi comuni” che non rispecchiano la
verità storica di taluni avvenimenti.
Non va sottaciuto, a tal proposito, il fatto che l’esimia classe
dirigente politica post liberazione, ha spudoratamente impiegato
ben 50 anni prima di prendere coscienza e riportare alla memoria
(novembre 1997- medaglia d’oro al valore militare) l’inumana
odissea dei militari italiani internati nei “lager” e nei campi
di lavoro tedeschi, dopo che, spesso con la forza, erano stati
sopraffatti e disarmati. Odissea dignitosamente vissuta (in
taluni casi eroicamente) dalla stragrande maggioranza dei
“deportati”. Il loro sacrificio, i patimenti, le impietose
angherie, la fame, il massacrante lavoro forzato, non hanno
niente di meno (forse qualcosa in più) rispetto alle sofferenze
di altre categorie di prigionieri. Fra l’altro non godevano
neppure del trattamento previsto dalla convenzione di Ginevra
del 1929 e, quindi, non erano sotto la tutela della Croce Rossa
Internazionale. Il 20 novembre 1943, infatti, fu respinta la
richiesta di potere fornire assistenza agli “internati” poiché
"non erano prigionieri di guerra”.
----------------------------
Ai militari italiani deportati fu offerta, a seguito del loro
disarmo, la scelta di aderire alla neonata Repubblica Sociale di
Salò. Solo il 10% accettò. Gli altri, non essendo “prigionieri
di guerra”, divennero “internati militari” e, dall'autunno del
1944, furono in gran parte utilizzati, spesso coartatamente,
come mano d’opera. Gli internati furono impiegati nei campi e
nelle fattorie, nelle industrie belliche, nei servizi
antincendio e sgombero macerie delle città bombardate Una sorta
di nuovo schiavismo.
L’alimentazione era insufficiente e per integrarla si ricorreva
anche agli avanzi reperiti fra le immondizie (bucce di patate o
resti dei refettori tedeschi) o a piccoli animali come topi,
rane e lucertole. Le misere disponibilità di moneta, neppure
lontanamente consentivano l’acquisto di generi di prima
necessità o per l'igiene personale.
I controlli erano frequenti e spesso davano luogo a gravi
punizioni e anche a percosse. Le punizioni collettive
determinavano l'inasprimento del rigore o la riduzione della
razione alimentare. Nelle primordiali baracche non esistevano
servizi igienici. Gli internati disponevano solo degli indumenti
con cui erano stati catturati che, di massima, erano del tutto
inidonei a contrastare il freddo delle zone in cui erano ubicati
i “lager”. Molti si ammalarono di tubercolosi, polmoniti e
pleuriti. Erano frequenti anche epidemie tifoidee. I tedeschi,
quasi con disprezzo, definivano i militari internati come
Badoglio-truppen. Alcune cifre servono meglio di ogni altra
argomentazione a mettere in luce la disastrosa situazione
innescatasi per l’incapacità, per la codardia, per la doppiezza
comportamentale dimostrata da un po’ tutti i componenti
dell’equipe del governo badogliano (con la palese commistione
dell’apparato monarchico) nei 45 giorni che vanno dal 25 luglio
43 (colpo di stato e arresto di Mussolini) al nefasto pomeriggio
dell’8 settembre quando venne annunciata l’accettazione
dell’armistizio, o resa incondizionata che dir si voglia. Sono
dati desunti dalla approfondita elaborazione della
documentazione ritrovata negli archivi italiani e tedeschi. Come
tali li riportiamo, senza alcuna variazione:
• In pochi giorni i tedeschi disarmarono e catturarono 1.007.000
militari italiani, su un totale approssimativo di circa
2.000.000 di uomini sotto le armi. Di questi, 196.000 scamparono
alla deportazione dandosi alla macchia o perché si trovavano in
zone fuori controllo dei tedeschi. Dei rimanenti 810.000 circa
(di cui 58.000 catturati in Francia, 321.000 in Italia e 430.000
nei Balcani), oltre 13.000 persero la vita a causa di azioni di
guerra alleate durante il trasporto dalle isole greche alla
terraferma. Solo 94.000, decisero di accettare l’offerta di
aderire alla Repubblica fascista di Salò.
• Nei campi di concentramento del Terzo Reich vennero deportati
circa 710.000 militari italiani con lo status di IMI. Entro la
primavera del 1944, altri 103.000 si dichiararono disponibili a
prestare servizio per la RSI, come combattenti o come ausiliari
lavoratori. Circa 600.000 rifiutarono di continuare la guerra al
fianco dei tedeschi.
• Non risulta possibile stabilire ufficialmente il numero degli
IMI deceduti durante la prigionia. Si presume che oscillino tra
37/mila e 50/000 fra cui circa 23.000 per malattie o
denutrizione e 4.600 per esecuzioni capitali.
• La maggior parte degli internati sopravvissuti ritornò in
Patria tra l'estate del 1945 e i primi mesi del 1946.
• Il rientro avvenne mediante treni approntati alla meno peggio.
Il 6 giugno fu riaperta la ferrovia del Brennero, da cui presero
a defluire da 3.000 a 4.000 italiani al giorno. Nello stesso
periodo furono riaperti i varchi alpini del San Gottardo e del
Sempione. Alcune migliaia di ex IMI finirono, purtroppo, in mani
russe e iugoslave e continuarono la prigionia per diversi mesi,
ancora dopo la fine della guerra.
Novembre 2017
|